«Non è fortuna, ma la protezione di Dio. La sua mano ha salvato Trump quella sera. È stata la mano di Dio», è il commento del Rev. Nathaniel Thomas, delegato della Convenzione Nazionale Repubblicana e pastore del distretto di Washington, DC alla Convention di Milwaukee, riportato nell’articolo del New York Times di Michael C. Bender. La distanza che separa Maradona dal candidato presidente non potrebbe essere più grande, e certamente il Rev. Thomas non conoscerà il gol miracoloso segnato di mano dall’argentino nel Mondiale del 1986 contro l’Inghilterra, eppure l’aura che circonda i due non sembra distinguersi troppo se non i per i capelli, quello di certo non ce l’hanno in comune.
«Un miracolo. Si è salvato per miracolo. L’attentato spingerà molte più persone a unirsi a questa lotta», ha detto Tyler Bowyer, delegato della Convention nazionale repubblicana dell’Arizona. «Più che semplici elezioni di destra contro sinistra, questo è il bene contro il male», ha invece affermato Brett Galaszewski, vicepresidente del Partito repubblicano della contea di Milwaukee. Per i sostenitori più devoti del candidato presidente, il proiettile che gli ha graffiato l’orecchio e non lo ha ucciso per pochi centimetri è l’ulteriore prova della protezione di un potere superiore, che oltre a proteggerlo vorrebbe vederlo nello Studio Ovale. È questa la tesi portata avanti da molti dei suoi seguaci, già in circolazione dalla campagna elettorale del 2017 e ora, dopo il tentato assassinio al comizio elettorale di Butler, più forte che mai.
I comizi di Trump sono sempre stati una via di mezzo tra un festival rock e una manifestazione religiosa, con un’atmosfera sempre più simile a quella a cui si assisterebbe in chiesa. Un grande rituale collettivo, che genera effervescenza, identità condivisa e coesione sociale. Un raduno di Trump a Las Vegas a gennaio si è aperto con una preghiera di Jesus Marquez, un anziano di una chiesa locale, che ha citato le Scritture per dichiarare che Dio voleva che Trump tornasse alla Casa Bianca. E a un raduno in South Carolina a febbraio, Greg Rodermond, pastore della Crossroads Community Church, ha pregato Dio di intervenire contro gli oppositori politici di Trump, sostenendo che stavano «cercando di rubare, uccidere e distruggere la nostra America». «Dio, crediamo che tu abbia scelto Donald Trump come strumento nelle tue mani per evitare che ciò succeda», ha aggiunto Rodermond.
Il mese scorso Marjorie Taylor Greene, deputata repubblicana della Georgia, aveva paragonato Trump a Gesù in seguito alla condanna per il caso Stormy Daniels, dicendo come entrambi fossero stati accusati «da governi radicali e corrotti».
Quella di Trump sembra infatti una missione messianica piuttosto che una campagna elettorale per le presidenziali. Per quanto la sua vita sia stata tutt’altro che pia, ha attirato un nucleo impegnato di seguaci che lo vedono come scelto da Dio per un secondo mandato alla Casa Bianca. Resterebbe da capire come sia possibile che cristiani contrari all’infedeltà e all’immoralità abbiano scelto un uomo sposato tre volte che non riesce a nominare un solo versetto della Bibbia e chiama l’ostia eucaristica «un piccolo cracker» come loro Messia. «Deve esserci qualcosa di molto più grande in gioco», ha detto Michael Thompson, governatore repubblicano della contea di Lee, in Florida, guardando verso il cielo come per invocarlo. «Non credo che la persona media potrebbe sopportare un decimo di quello che Trump ha passato. Quindi sì, penso che probabilmente sia stato scelto al momento giusto nella storia del nostro Paese», commenta il politico.
La capacità – e la volontà – di Trump di capitalizzare tale devozione per scopi politici rimane cruciale per capire come evolverà la sua campagna elettorale e si concluderà la sua terza nomina presidenziale, nonostante sia stato condannato per trentaquattro reati, accusato di ancora più crimini e condannato a pagare 83,3 milioni di dollari alla scrittrice E. Jean Carroll per averla diffamata dopo essere stato accusato di stupro. Non c’è dubbio che il successo dell’ex presidente nel dipingere le sue azioni giudiziarie come persecuzioni abbia alimentato l’entusiasmo per la sua candidatura e per il suo nuovo ruolo di guerriero-sopravvissuto.
All’indomani della sparatoria, Trump non ha indugiato un attimo nel descrivere in maniera eroica, quasi epica il fallito attentato in cui è rimasto ferito, parlando sia di fortuna sia di protezione divina. Il memorabile pugno alzato con i due rivoli di sangue che ne coprono il volto hanno segnalato sin da subito la narrativa che il Repubblicano ha voluto creare. In un’intervista con The Washington Examiner, si è attribuito il merito di aver girato la testa per guardare un grafico sull’immigrazione su uno schermo e aver così evitato che il proiettile gli colpisse il cranio. Ironia della sorte è che sia stato proprio un grafico sull’immigrazione a salvargli la vita.
«La cosa più incredibile è che mi è capitato non solo di girarmi, ma di girarmi esattamente al momento giusto e nella giusta misura», ha detto Trump. «Se mi fossi girato solo a metà, avrebbe colpito la parte posteriore del cervello. Al contrario, mi avrebbe preso in pieno, dritto per dritto. E poiché il grafico era alto, ho alzato lo sguardo. Le probabilità di fare una virata perfetta erano circa un decimo dell’uno per cento. Non dovrei essere qui oggi», ha aggiunto. «È stato Dio a impedire che accadesse l’impensabile», ha poi commentato sul suo canale Twitter.
«Dio ha protetto il presidente Trump», ha pubblicato sui social media il senatore della Florida Marco Rubio, il cui nome compariva tra i candidati vicepresidenti oltre a quello di J.D. Vance. Lo speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Mike Johnson ha parlato di «miracolo», descrivendo il movimento della testa del candidato repubblicano «un segno dell’opera di Dio». Steve Bannon, ex stratega di Trump alla Casa Bianca, ha detto che quella sera il repubblicano era protetto «dall’armatura di Dio», espressione poi recuperata nella veglia di preghiera organizzata dal gruppo conservatore Turning Point Action domenica scorsa durante la convention di Milwaukee.
L’idea che Dio svolga un ruolo divino in politica non è una novità, in particolare tra i repubblicani. Tra gli elettori del Grand Old Party, infatti, secondo un sondaggio del Public Religion Research Institute e della Brookings Institution, più della metà ritiene che il Paese dovrebbe essere strettamente cristiano. Quando si tratta della presidenza in particolare, le narrazioni dell’intervento divino sono state poi intrecciate nel discorso culturale americano fin dall’inizio di quella che Andrew Whitehead, professore di sociologia alla Clemson University ed esperto di nazionalismo cristiano, chiama la «religione civile» americana, una dimensione di natura quasi-religiosa che pervade la sfera politica e la vita pubblica del Paese.
«I grandi leader sono stati storicamente identificati con il modo in cui Dio li stava usando, o con il fatto che Dio li aveva messi lì per uno scopo. Per l’America, una nazione relativamente nuova, questo mito cristiano è diventato un elemento fondamentale nella creazione di un’identità nazionale. Dopo la morte di George Washington, sono emerse storie sulla sua religiosità, su quanto fosse un grande uomo», ha aggiunto Whitehead.
Trump si inserisce così in una lunga serie di presidenti e candidati presidenziali repubblicani che hanno dato priorità agli elettori evangelici e che, in maniera più o meno esplicita, conscia o spregiudicata, hanno fatto della religione un’arma propagandistica acchiappavoti. Basti ricordare che non casualmente nel 2017 Trump aveva nominato come suo vice Mike Pence, storico rappresentante dell’elettorato evangelico, la cui ricandidatura non è più certamente possibile dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. In tutto ciò, però, Trump sembra distinguersi dai suoi predecessori, avendo catturato l’immaginazione evangelica senza essere particolarmente evangelico religioso.
«Retorica nazionalista cristiana, difesa dell’eredità cristiana dell’America, tutti questi sono stati luoghi comuni in tutta la storia del Paese. Ma ciò che rende Trump interessante, che evidenzia la potenza di questa sua retorica nazionalista cristiana è che, indipendentemente dalla pietà e devozione personali, l’uso di quella retorica ha ancora risonanza, e la gente continua a votare per lui», sostiene Whitehead. Questa narrazione sembra funzionare perché consente agli evangelici di trarre vantaggio dalla personalità di «uomo forte» di Trump – in termini pratici, la sua capacità di ottenere voti – consentendo loro di giustificare teologicamente il loro sostegno e preservare la loro percezione del Repubblicano come candidato sostenuto da Dio.
«Qualcuno come Ted Cruz inizialmente potrebbe essere stato un “candidato più puro” per quanto riguardava gli evangelici. Ma quando è diventato chiaro che Trump stava ottenendo risultati migliori alle primarie repubblicane, hanno cambiato tattica. Devono avere qualche tipo di ragione biblica, teologica o cristiana per il loro sostegno. Ma devono anche sostenere un vincitore», conclude Whitehead.
Insomma, Trump non è semplicemente sopravvissuto alla crocifissione. Non è soltanto risorto. «È diventato il suo stesso Secondo Avvento. Si è battezzato nel suo stesso sangue. L’intervento divino ha dimostrato che era destinato a tornare. Ciò che si richiede ai suoi sostenitori è una dichiarazione di fede», come scrive sul Guardian il consulente politico democratico Sydney Blumenthal. Resta da capire se avrà la devozione assoluta. Come ha detto più volte, vuole infatti essere il presidente di tutta l’America, non di metà America. «Non c’è alcuna vittoria nel conquistare solo metà dell’elettorato», nonostante il suo Progetto 2025 limiti i diritti fondamentali della maggior parte dei cittadini che vorrebbe rappresentare.