Le religioni sono tornate e hanno messo le mani sulla politica

"Non se ne erano mai andate davvero", spiega il professor Manlio Graziano, esperto di geopolitica delle religioni. Ma adesso, sia cattolici che islamici, hanno assunto un nuovo peso e cercano di influenzare le scelte della politica

L’epoca del disincanto è finita. L’ondata laica che negli anni ’70 aveva raggiunto l’Europa sta scemando. Sotto, rimane la religione: ha resistito, si è un po’ modificata e ora guadagna posizioni. Non solo sul fronte dell’Islam o del rinascimento induista: il cristianesimo rimane forte. Ed è vivissima l’influenza della Chiesa cattolica, «quella che ha più peso di tutte dal punto di vista politico», come spiega il professor Manlio Graziano, esperto di geopolitica delle religioni, professore alla Sorbona di Parigi e all’American Graduate School. Capita di sottovalutare il peso della fede, ed è sempre un errore. Dal Medioriente agli Usa la parola di Dio conta ancora molto. Studiata, interpretata, predicata. E poi, chissà perché, ama intervenire nei dibattiti politici.

La religione è tornata, insomma.
Sì, ma si può dire che non se ne sia mai andata. Non solo c’è, ma ha sempre più un peso politico rilevante. Sia in termini di indirizzo che di presa sociale. E la più forte, sotto questo aspetto, è sempre la Chiesa cattolica: centralizzata, organizzata, ha una visione globale e una prospettiva di lungo termine. Fa una politica sua.

Le altre chiese no?
Sono più limitate. Ad esempio, la chiesa ortodossa russa ha come sfera di influenza il mondo russo. Oltre non va. Si appoggia, per resistere, alle politiche della regione in cui si trova. La chiesa cattolica, invece, agisce anche per conto proprio.

E l’Islam? Con la serie di attentati terroristici che stanno colpendo l’Europa se ne parla sempre di più, a volte anche a sproposito.
È una situazione diversa. L’Islam in sé non è un attore politico. È uno strumento politico.

Tutti i presidenti americani, nei loro discorsi, hanno fatto riferimenti a Dio. Li faceva Bush e nei discorsi di Obama, poi, abbondavano. Solo nelle ultime elezioni, con lo scontro di due personalità come Donald Trump e Hillary Clinton la religione è passata in secondo piano

Che significa?
Chiunque può utilizzarlo per le proprie finalità politiche. Tutte le religioni, soprattutto quelle con un testo sacro, possono essere piegate per sostenere una posizione e il suo esatto contrario. Si cercano i versetti o le sure che fanno al caso proprio e li si mette in evidenza. L’Islam non sfugge a questa regola. Già in passato è stato impiegato per sostenere svariate ideologie politiche. Per capirsi, la scorsa settimana in una bancarella di Parigi ho visto un vecchio libro sull’Islam marxista…

Certo. Però al giorno d’oggi, per prendere una decisione politica, non è più necessario avere l’avallo del testo sacro.
Non ne sarei così sicuro. Negli Usa, per esempio, è ancora importante. Tutti i presidenti americani, nei loro discorsi, hanno fatto riferimenti a Dio. Li faceva Bush, nei discorsi di Obama, poi, abbondavano. Solo nelle ultime elezioni, con lo scontro di due personalità come Donald Trump e Hillary Clinton la religione è passata in secondo piano. Trump ha imposto la sua visione fortissima – e al tempo stesso povera – usando pochissimi slogan e senza dover ricorrere alla religione.

Un cambiamento?
No. Perché questo non vuol dire che i maggiori gruppi religiosi americani non si siano schierati. Anzi, se si va a vedere, si nota che lo hanno sostenuto. I cattolici hanno votato in maggioranza per lui, e non accadeva dal ’68 [con Hubert Humphrey] chela maggioranza del voto dei cattolici andasse al candidato che ha ottenuto meno voti popolari. Questo rende chiaro che sia stato un investimento politico.

Quando si dice che “in Italia solo il 20 o il 30% dei battezzati va in Chiesa ogni domenica”, si dimentica che si tratta di un numero altissimo di persone. Nessun partito, nessuna organizzazione sindacale è in grado di mobilitare così tanta gente a cadenze così regolari

Negli anni ’70 le religioni erano meno importanti, però.
È da quel periodo che si vede un ritorno sulla scena pubblica. Negli anni ’60 avevamo assistito al cosiddetto “disincanto”. Ed è vero che c’è stato un cambiamento, indotto dalle migliori condizioni economiche. Anche oggi nel mondo, a parte il caso degli Usa, esiste una correlazione tra maggiore ricchezza e minore religiosità. I Paesi più religiosi sono quelli più poveri (africani e asiatici), mentre i Paesi europei, più forti dal punto di vista economico, hanno visto un calo. Questo però non esaurisce il discorso, specie quando si parla di politica.

È innegabile però che le persone credenti, almeno in Italia, siano diminuite.
Stiamo attenti, però. Quando si dice che “in Italia solo il 20 o il 30% dei battezzati va in Chiesa ogni domenica”, si dimentica che si tratta di un numero altissimo di persone. Nessun partito, nessuna organizzazione sindacale è in grado di mobilitare così tanta gente a cadenze così regolari.

Vero.
E poi, se pure è diminuito l’aspetto quantitativo, quello qualitativo è molto più marcato. Sono di meno, ma credono di più. Da quando andare in Chiesa non è più un dovere sociale si può vedere, con uno sguardo, che chi continua ad andarci è un cristiano convinto. È un nucleo più polarizzato e, quando c’è da prendere una decisione politica, sono molto più compatti.

Lo si è visto nelle battaglie recenti per i diritti degli omosessuali.
Sì, in Italia, ma anche in Francia. È forte e diffuso. Tutte le battaglie politiche, sia chiaro, sono condotte da minoranze. Quella cattolica è la minoranza meno minore di tutti.

Storicamente l’Islam non è violento (o almeno, non più e non meno di tutte le altre religioni), ma alcuni singoli sì

Al centro delle cronache oggi, però, c’è l’Islam. Anche loro sono minoranza e, in molti casi, radicale.
È una questione complessa. Spesso il dibattito si attorciglia intorno alla questione della violenza dell’Islam.

Appunto. È una religione violenta?
Questo lo devono decidere i teologi musulmani. Ma non lo sanno, perché si contraddicono tra di loro. Dal punto di vista storico è violento? No. Prima degli anni ’70 non lo era. Se poi lo fosse diventato oggi, in modo maggioritario, dovremmo stupirci non del fatto che gli attentati siano tanti, ma del fatto che siano pochi. Dovremmo avere almeno 50 attentati al giorno. Ma non ci sono. Per cui la risposta è un’altra.

Cioè?
Che storicamente l’Islam non è violento (o almeno, non più e non meno di tutte le altre religioni), ma alcuni singoli sì. E si tratta di criminali, piccoli delinquenti falliti, emarginati dalla società che hanno abbracciato la causa jihadista perché è di moda. Negli anni ’70 sarebbero stati anarchici, o brigatisti, o fascisti. Poi i media alimentano questa concezione eroica del martirio, danno loro risalto e importanza e creano un fenomeno di imitazione.

Va bene. Ma il problema non sono solo i terroristi. Riguarda anche l’Islam moderato, cioè quello non violento. È compatibile con i valori occidentali?
È una domanda che riflette un errore di prospettiva.

Quale?
La definizione dei valori occidentali. Quali sono? Se si guarda a quello che si pensava in Europa circa 50 anni fa non si notano molte differenze. Le donne erano escluse da molte posizioni di lavoro. Gli omosessuali discriminati ed emarginati. Eppure erano occidentali.

Sì. Ma il problema è oggi, non 50 anni fa.
È una questione di integrazione, ma reale. Come gli Europei hanno raggiunto certe convinzioni, così lo faranno anche loro. Se però si insiste a stigmatizzarli, a evidenziare le differenze, a confinarli nell’identità del “musulmano” che gli cuciamo noi addosso, loro reagiranno. Le enfatizzeranno. Risponderanno alle nostre provocazioni e noi alle loro. A causa di un ceto politico spesso infantile, perpetueremo questa differenza.

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