Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – Ho pedalato sei giorni nei Paesi Bassi e ho avuto la costante sensazione di trovarmi su un altro pianeta. Niente di nuovo, penserete. Amsterdam, Utrecht, Haarlem, Rotterdam e Eindhoven strabordano di bici e infrastrutture dedicate; il territorio è pianeggiante, perfetto per un mezzo a pedali. Sono tutte caratteristiche ben note, supportate da dati, report e classifiche, ma che prese singolarmente non spiegano fedelmente la diffusione (impressionante) della mobilità sostenibile in terra olandese.
Per capire il Dna ciclabile dei Paesi Bassi bisogna abbandonare le grandi città e spingersi in quei posti dai nomi spesso impronunciabili e che faticano a superare il migliaio di abitanti. Uscendo dai radar del turismo di massa, scatta la magia. Ogni piccolo paese è infatti collegato agli altri da piste o corsie ciclabili segnalate, sicure e continue, che non si interrompono sul più bello.
Nelle rare situazioni in cui manca l’infrastruttura, ecco che entra in gioco una Zona 30 in cui la sensazione di sentirsi al sicuro è costante. Il merito è del limite di velocità ridotto, dei dossi stradali, della segnaletica chiara e di tutti gli interventi urbanistici che inducono al rallentamento, ma non solo: la presenza del “doppio senso ciclabile”, che in Italia verrà affossato dalla riforma del codice della strada, permette alle persone in bici di procedere in senso opposto rispetto alle persone in auto, con queste ultime che appena vedono un mezzo leggero non esitano a frenare e ad allargarsi. Il “doppio senso ciclabile” è uno dei migliori esempi di cooperazione tra utenti della strada: nei Paesi Bassi funziona, in Italia non siamo neanche consci della sua esistenza (è stato introdotto nel 2020).
I collegamenti ciclabili tra piccoli e grandi centri abitati sono l’elemento chiave per esaltare il ruolo sociale della mobilità sostenibile, che ha il potenziale di connettere – a costi relativamente bassi – territori e servizi altrimenti isolati, oltre che di ridurre il numero di auto in entrata nelle città più popolose e trafficate. Prendiamo l’esempio di Milano, una piccola metropoli sempre più ciclabile al suo interno, ma che ogni giorno accoglie circa seicento-settecentomila automobili provenienti da fuori: un numero che fatica a calare e che crea ingorghi, caos, scontri e soste irregolari.
Insomma, concentrarsi sui confini urbani significa affrontare il problema a metà e senza una visione sistemica. Questa è l’annosa lacuna della ciclabilità in Italia, dove le ambizioni e i dibattiti attorno al tema sono spesso confinati all’interno della sfera urbana. Rendere il discorso elitario, limitato a chi vive nelle città, sarebbe un errore imperdonabile.
Nei Paesi Bassi non succede perché la bicicletta è una sorta di “allacciatrice” sociale, sinonimo di normalità, semplicità ed efficienza negli spostamenti. Nei piccoli paesini e nei quartieri, così come nelle aree periurbane, spiccano ad esempio le fietsstraat, contraddistinte da una segnaletica immediata: davanti c’è una bici bianca e dietro un’automobile rossa, perché quella strada – priva di piste ciclabili in sede – è stata ottimizzata per il traffico ciclabile e per una convivenza tra mezzi diversi. E per una convivenza efficace, gli utenti più vulnerabili devono avere garanzie e tutele maggiori: un concetto che non vale solo per le strade.
Lo sciame di mezzi a pedali nei pressi delle stazioni di Amsterdam o Utrecht è affascinante, proprio come i parcheggi per biciclette sotterranei che indicano da fuori il numero di posti disponibili. Il vero spettacolo, però, è ciò che accade nei comuni che noi in Italia definiremmo «di provincia».
Nei Paesi Bassi è perfettamente normale vedere una persona anziana inforcare la propria bicicletta e pedalare tre, quattro o cinque chilometri per raggiungere il paesino di fianco, che magari ha un supermercato più ampio o un negozio più servito. Nei Paesi Bassi è perfettamente normale vedere una mamma o un papà accompagnare i figli all’asilo o al campo estivo su una cargo bike, così come è perfettamente normale incrociare un corriere che fa consegne in bicicletta o un gruppo di amici che va a cena pedalando.
Nei piccoli centri olandesi, dove un intervento bike friendly fa meno rumore rispetto a ciò che accade in una metropoli, è spesso impossibile capire dove inizia o finisce una corsia ciclabile, perché è talmente ben collegata alle altre da formare un’unica, grande ed efficiente infrastruttura. È la conferma che nei Paesi Bassi la ciclabilità non è un asset comunicativo da sbandierare, ma una componente matura – in grado di insediarsi autonomamente nell’immaginario delle persone – della cultura nazionale.
In circa quattrocentocinquanta chilometri percorsi, abbiamo visto due mezzi a motore parcheggiati in sosta vietata sulle bike lane. E, soprattutto, non abbiamo mai avuto la sensazione di essere in pericolo, anche perché nei Paesi Bassi le ciclabili esistono – letteralmente – anche di fianco a certi tratti autostradali. Pedalare in posti del genere è un esercizio per ricalibrare la propria visione, imparare dai migliori e sognare, ancora più insistentemente, un Paese diverso. Il percorso per riuscirci è però ancora lungo. Basti pensare alle due notizie più recenti in fatto di mobilità e sicurezza stradale: una “doccia fredda” dopo un viaggio del genere.
La prima riguarda i dati Istat sugli scontri stradali nel 2023 in Italia: 3.039 morti (-3,8 per cento rispetto all’anno precedente), 224.634 feriti (+0,5 per cento) e 166.525 incidenti (+0,4 per cento). Il report ha anche segnalato un aumento delle vittime per i conducenti di monopattini, biciclette e bici elettriche. In Italia si registrano cinquantadue morti per incidenti stradali ogni milione di abitanti: è il diciannovesimo peggior dato dell’Unione europea, la cui media si attesta a 45,5. Per la cronaca: le morti per milione di abitanti nei Paesi Bassi, nono miglior Stato membro dell’Ue, sono meno di quaranta (pagina cinque del report).
La seconda notizia è sulla già citata riforma del codice della strada, veloce non solo nei contenuti ma anche nel suo iter in Senato. Settimana scorsa si sono conclusi i lavori commissione Trasporti e Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, punta all’approvazione definitiva «entro l’estate». A tal proposito, è uscito un nuovo documento in grado di comunicare in modo esaustivo le lacune di questa norma. L’analisi è stata redatta da Andrea Colombo, ex assessore alla Mobilità di Bologna ed esperto legale in materia di sicurezza stradale e mobilità sostenibile, e Alfredo Drufuca, ingegnere dei trasporti e responsabile tecnico di Polinomia srl, e firmata dai massimi esperti italiani in materia: da Matteo Dondé a Federico Parolotto, da Patrizia Malgieri a Anna Donati. Si può leggere e scaricare qui.