I portavoce della Commissione si ostinano a nascondersi dietro il muro del no comment, ma è chiaro che a Ursula von der Leyen non deve piacere troppo la piega che sta prendendo la partita per comporre il suo nuovo Collegio. Il primo era stato quello con più donne di sempre: tredici su ventisette, inclusa lei che è stata la prima del suo genere (letteralmente) a sedersi sullo scranno più alto del Berlaymont. Nel suo secondo mandato, tuttavia, le cose rischiano di andare molto diversamente.
La presidente in pectore dell’esecutivo comunitario aveva raccomandato ai governi nazionali di proporle i nomi di un candidato uomo e una candidata donna per occupare la casella che spetta al proprio Paese, salvo nel caso in cui volessero riconfermare i commissari uscenti. Ma, all’avvicinarsi della scadenza che la stessa von der Leyen aveva fissato al 30 agosto, solo sei dei ventuno candidati già decisi dalle cancellerie sono donne.
Oltre alla presidente stessa (che occupa la casella tedesca), in quota femminile ci sarà a farle da vice l’Alta rappresentante per la politica estera, incarico per il quale i leader dei Ventisette hanno nominato l’ex premier estone Kaja Kallas. Gli altri nomi femminili sono la popolare croata Dubravka Šuica (commissaria uscente alla Democrazia e demografia), la socialista spagnola Teresa Ribera (ministra alla Transizione ecologica), la popolare svedese Jessika Roswall (titolare degli Affari europei) e l’eurodeputata popolare finlandese Henna Virkkunen.
Tolte von der Leyen e Šuica, nel nuovo esecutivo Ue ci saranno altri cinque volti noti, tutti maschili. C’è il liberale francese Thierry Breton, considerato da molti come l’uomo del presidente Emmanuel Macron al Berlaymont (nel suo primo mandato ha gestito il Mercato interno), c’è il popolare lettone Valdis Dombrovskis (titolare dell’Economia e del commercio nella Commissione vdL I e già al suo terzo incarico a Bruxelles), il socialdemocratico slovacco Maroš Šefčovič (addirittura al suo quarto giro in Commissione, da ultimo come responsabile del Green deal), il popolare olandese Wopke Hoekstra (incaricato dell’Azione per il clima nel quinquennio appena concluso) e il nazionalista ungherese Olivér Várhelyi, fedele alleato del premier Viktor Orbán (attualmente detiene la delega all’Allargamento e alla politica di vicinato).
Gli altri undici nomi ufficializzati fin qui sono quindi di altrettanti uomini. Vienna ha proposto il popolare Magnus Brunner, attuale ministro delle Finanze; per Cipro ci sarà il più volte ministro Costas Kadis; il candidato ceco è il titolare dell’Industria e del commercio Jozef Síkela; Atene ha nominato il popolare Apostolos Tzitzikostas, governatore della regione della Macedonia centrale; per l’Irlanda è stato scelto il liberale Michael McGrath, ministro delle Finanze; la Lituania manderà a Bruxelles l’eurodeputato popolare Andrius Kubilius. Un altro europarlamentare popolare candidato per la nuova Commissione è il lussemburghese Christophe Hansen; il laburista Glenn Micalleff, consigliere del premier Robert Abela è invece la nomina maltese.
Varsavia manderà nel team vdL 2.0 il suo ambasciatore a Bruxelles, Piotr Serafin; il candidato romeno è il socialdemocratico Victor Negrescu, recentemente eletto vicepresidente dell’Eurocamera; infine, la nomina slovena è ricaduta sull’ex presidente della Corte dei conti Tomaž Vesel.
Mancano all’appello cinque Paesi: Italia, Belgio, Danimarca, Portogallo e Romania. Il nome che circola ormai da mesi per il nuovo commissario di Roma è quello dell’attuale ministro agli Affari europei (con delega al Pnrr) Raffaele Fitto, un fedelissimo della premier Giorgia Meloni che è già ben conosciuto in Europa e su cui sembra esserci l’accordo anche di Forza Italia e Lega. Anche da Copenhagen arriverà con ogni probabilità un uomo, il socialista Dan Jørgensen che gestisce attualmente il portafoglio del Clima e della cooperazione allo sviluppo.
Lisbona non ha ancora scoperto le sue carte (la favorita parrebbe essere l’ex ministra delle Finanze, la socialista Maria Luís Albuquerque), mentre sia Bruxelles che Sofia sono al momento alle prese con i negoziati per la formazione dei rispettivi esecutivi, e la nomina della personalità da spedire al Berlaymont fa evidentemente parte del delicato processo politico.
Ora, come hanno sottolineato diversi leader nazionali, i trattati Ue non vincolano i governi degli Stati membri a sottostare ad alcuna indicazione da parte della rieletta presidente. La richiesta di fornire due candidati di generi diversi, tecnicamente, è effettivamente priva di ogni valenza legale. Da un punto di vista politico, peraltro, si tratta di un braccio di ferro che von der Leyen difficilmente potrebbe vincere contro le cancellerie – se mai avesse intenzione di ingaggiarlo davvero. Semplicemente, il coltello sta nelle mani di queste ultime, soprattutto considerando la fretta che il capo in pectore dell’esecutivo comunitario ha di far partire il suo secondo quinquennio.
Un ostacolo più insidioso, semmai, potrebbe nascondersi nelle audizioni che i singoli candidati commissari dovranno sostenere in autunno. Tra settembre e novembre, infatti, gli eurodeputati “interrogheranno” individualmente tutte le personalità proposte dagli Stati membri, i quali dovranno ottenere il placet delle commissioni parlamentari competenti a seconda del portafoglio per il quale verranno candidate. Non è raro che in questo passaggio ci siano degli intoppi. Almeno dal 2007, l’Europarlamento ha affossato nomine ogni cinque anni: l’ultima volta, nell’ottobre 2019, i commissari proposti dai governi francese, romeno e ungherese furono bocciati dagli eletti di Strasburgo, ritardando così l’insediamento del primo Collegio von der Leyen.
Se anche stavolta i deputati dovessero trovare qualcosa da ridire sulle figure proposte dai governi dei Ventisette (per i motivi più disparati: dai conflitti d’interesse alla mancanza di sufficiente esperienza per il ruolo, passando per le più becere tattiche di ricatto politico tra i gruppi dell’Aula), potrebbe pure darsi che alla fine la nuova Commissione sarà un po’ più equilibrata in termini di rappresentanza di genere di quanto non lo sia al momento attuale.