Habemus top jobs L’Europa sarà guidata dalla maggioranza europeista, ancora una volta

I leader dei Ventisette hanno confermato il trio von der Leyen, Costa e Kallas alla guida dell’Unione. Con buona pace per Meloni, Orbán e chi sperava in un ribaltone dell’ultimo minuto

AP/ LaPresse

Alla fine è andata nell’unico modo in cui poteva andare. L’accordo sui top jobs dell’Unione europea, le cariche apicali dell’architettura comunitaria, è stato raggiunto senza grossi patemi ed è esattamente quello di cui si parlava da settimane. Ursula von der Leyen ha ottenuto la luce verde per un bis alla guida della Commissione, l’ex primo ministro portoghese António Costa diventerà presidente del Consiglio europeo e la premier estone Kaja Kallas verrà proposta come nuova Alta rappresentante per la politica estera.

Tutto come da copione, insomma. Non che ci fossero grossi dubbi sull’esito della trattativa che più di ogni altra interessava a chi seguiva il summit, che alla fine è durato un solo giorno anziché due, concludendosi nella notte tra il 27 e il 28 giugno. Il trio prescelto – una popolare tedesca, un socialista portoghese e una liberale estone – risponde a tutte le regole non scritte sull’equilibrio di genere, di colore politico e di provenienza geografica della squadra che si appresta a guidare il blocco per i prossimi cinque anni. Due donne e un uomo, appartenenti alle tre principali famiglie politiche moderate ed europeiste (Ppe, Pse e Renew Europe) e rappresentanti di altrettanti Paesi dell’Europa occidentale, meridionale ed orientale.

Gli unici ad aver espresso dubbi sulla selezione sono stati, come ampiamente anticipato, i primi ministri di Italia e Ungheria. Ma mentre Viktor Orbán ha votato contro von der Leyen per astenersi su Kallas e appoggiare Costa, Giorgia Meloni si è astenuta sul secondo mandato a von der Leyen e ha votato contro sia Costa che Kallas. «La proposta formulata da popolari, socialisti e liberali per i nuovi vertici europei è sbagliata nel metodo e nel merito. Ho deciso di non sostenerla per rispetto dei cittadini e delle indicazioni che da quei cittadini sono arrivate con le elezioni», ha scritto la premier su X.

Un «top flop», come sottolinea Francesco Cundari: un abbaglio che ha reso l’inquilina di Palazzo Chigi vittima della sua stessa propaganda elettorale, impedendole di capitalizzare sul credito politico che pareva essersi guadagnata in Europa negli scorsi mesi. Persino Petr Fiala, il primo ministro ceco che è l’unico altro membro del Consiglio europeo proveniente dai Conservatori e riformisti europei (Ecr), ha dato la sua benedizione al trio centrista.

Ma Meloni non vuole sentire parlare di isolamento: «Penso che il ruolo dell’Italia non sia quello di aspettare quello che fanno gli altri e accodarsi» ma di prendere decisioni in autonomia, ha dichiarato ai giornalisti a notte fonda. Sarà. Per quanto diversi pesi massimi dei Popolari avessero ribadito che al vertice si sarebbe dovuto tenere conto del parere di Roma, questo parere è poi stato fondamentalmente bypassato.

Ora Meloni dovrà cercare di accaparrarsi una vicepresidenza di rilievo nella prossima Commissione, operazione per cui l’astensione di ieri sera sul nome di von der Leyen è evidentemente propedeutica. Per farlo, deve prima esporsi direttamente e garantire il sostegno dei suoi eurodeputati alla riconferma della Spitzenkandidatin del Ppe il prossimo 18 luglio, alla sessione costitutiva della decima legislatura di Strasburgo. E poi deve riuscire a strappare il portafoglio migliore alla Francia, o meglio al suo presidente Emmanuel Macron, che vuole rimandare a Bruxelles il suo commissario uscente Thierry Breton a prescindere dall’esito delle elezioni anticipate che iniziano domenica (30 giugno) col primo turno e che secondo tutti i sondaggi consegneranno il governo al Rassemblement national e renderanno l’Assemblée di Parigi ancora più ingovernabile di quanto lo sia ora.

Vedremo chi la spunterà. Ad ogni modo, al summit di ieri non si è trattato solo di top jobs. I leader dei Ventisette hanno adottato anche l’Agenda strategica 2024-2029, un elenco delle priorità politiche che devono orientare l’azione del blocco nel nuovo ciclo istituzionale che si sta aprendo. Si tratta, in altre parole, delle linee guida che la prossima Commissione (una von der Leyen 2.0, verosimilmente) dovrà seguire per proporre nuovi file legislativi al Parlamento e al Consiglio, i due colegislatori.

I macrotemi sono tre: democrazia e valori, difesa e sicurezza, e infine competitività e prosperità. Sulla prima priorità, il documento cita la tutela dello Stato di diritto all’interno dell’Unione, considerato una «pietra miliare dell’integrazione», e quella delle libertà individuali e dei diritti fondamentali, nonché il rispetto dell’equilibrio dei poteri e la lotta alla disinformazione (soprattutto a opera di attori stranieri, in primis la Russia). L’Ue punta inoltre ad assumere la leadership nelle sfide globali a partire dal mantenimento della pace e della sicurezza.

La competitività economica è da mesi al centro del dibattito politico europeo, almeno dalla pubblicazione del rapporto dell’ex premier italiano Enrico Letta e dalle anticipazioni su quello che sta preparando Mario Draghi. Dal completamento del mercato unico alla piena integrazione finanziaria dei Ventisette (con l’Unione bancaria e quella dei mercati dei capitali), passando per la diversificazione delle forniture, l’idea è di rendere il Vecchio continente uno spazio attrattivo per gli investimenti e un hub innovativo dove vigono la concorrenza leale e il level playing field.

Le transizioni gemelle, ecologica e digitale, sono pure citate, anche se con meno enfasi rispetto al quinquennato del Green deal: indipendenza energetica, economia circolare, tecnologie digitali e pulite (a partire dall’Ia), sicurezza alimentare e contrasto al cambiamento climatico.

Quanto alla sicurezza, i leader concordano sulla necessità di aumentare le capacità di difesa e la prontezza nel rispondere alle crisi, attraverso un maggior coordinamento e una migliorata interoperabilità delle forze armate (sia in ambito continentale che nella Nato) e un aumento degli investimenti (sia pubblici che privati), catalizzandoli tramite la Banca europea degli investimenti (Bei).

Per creare un mercato europeo della difesa integrato e per sostenere gli appalti congiunti, per «investire di più e meglio», servono però risorse finanziarie ingenti: nell’ordine di cinquecento miliardi, secondo le cifre che la stessa von der Leyen ha accennato ai capi di Stato e di governo. Ma il nodo del debito comune, che trova favorevoli soprattutto Francia, Italia e Spagna, è ben lungi dall’essere sciolto, gli Eurobond ancora troppo indigesti ai frugali del nord Europa, Germania e Paesi Bassi in testa (come ribadito ieri sera, per l’ennesima volta, dal cancelliere Olaf Scholz).

L’Agenda prevede anche un approccio più securitario nelle politiche migratorie, con controlli rafforzati alle frontiere esterne e una maggiore cooperazione con i Paesi di origine e di transito dei flussi, parallelamente ad un aumento degli accordi per il rimpatrio dei migranti irregolari. Inoltre, sempre in questo capitolo fanno capolino le sfide dell’allargamento nonché quelle legate all’azione esterna dell’Unione sia in termini di cooperazione internazionale che di accordi commerciali.

Oltre a questi due piatti principali, sul tavolo dei leader c’erano anche altre pietanze. Il supporto all’Ucraina, soprattutto, che ha concluso ieri un’intensa settimana europea durante la quale, tra le altre cose, ha avviato formalmente i negoziati per l’adesione all’Ue e ha stipulato con i Ventisette un accordo per la sicurezza.

Ma anche il Medio Oriente, con il disastro umanitario in corso nella Striscia di Gaza (rispetto alla quale i capi di Stato e di governo del blocco hanno chiesto il rispetto della risoluzione Onu 2735 sul cessate il fuoco), il supporto alla soluzione politica dei due Stati, l’escalation al confine con il Libano e la questione (ancora spinosa, per la verità) delle sanzioni contro Hamas e i coloni estremisti israeliani.

Rimanendo sulla scena internazionale, le conclusioni del summit citano anche la Moldova (Chisinau ha avviato i negoziati per l’ingresso nel club europeo insieme a Kyjiv martedì), la Georgia, la cui legge sugli agenti stranieri rappresenta de facto «uno stop al processo di adesione», e l’instabilità nel Mar Nero dovuto alla guerra della Russia in Ucraina.

Sicurezza e difesa, competitività e migrazioni sono stati altri temi discussi dai capi di Stato e di governo dei Ventisette, presenti come detto anche nell’Agenda strategica, mentre ulteriori punti all’ordine del giorno sono stati le minacce ibride e le riforme interne dell’Ue da realizzarsi in parallelo al processo di allargamento. Tali riforme, da non intendersi come precondizione per l’accesso di nuovi Stati membri, dovranno focalizzarsi lungo quattro assi principali: valori, policies, bilancio (inclusi i negoziati per il prossimo budget pluriennale) e governance. L’esecutivo comunitario dovrà presentare entro la primavera 2025 delle «revisioni strategiche approfondite» sui detti assi, alle quali il Consiglio europeo si impegna a dare seguito entro giugno prossimo.

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