La recente scomparsa di uno dei suoi padri fondatori, il cuoco Michel Guérard, ci dà l’occasione di ripensare a quel movimento che ha cambiato nel profondo la gastronomia occidentale.
«La nouvelle cuisine è un movimento culinario emerso in Francia nel 1972 per merito dei critici Henri Gault e Christian Millau. Esso deve essere comparato ad altri movimenti di nuova tendenza apparsi alla fine della seconda guerra mondiale: la nouvelle critique littéraire, il nouveau roman e la nouvelle vague. In ogni caso l’espressione non era nuova: essa era stata già utilizzata nel diciottesimo secolo come attesta Voltaire. (…) Essa è nata per impulso di cuochi formatisi alla scuola di grandi chef, che hanno abbandonato la tradizione per percorrere canali diversi per praticare la loro arte. La nouvelle cuisine ha beneficiato dei legami che si sono stabiliti fra la nuova guida, i suoi chef, e una nuova clientela, in particolare costituita da uomini di affari. Essa ha giocato un grande ruolo nella definizione di una nuova gastronomia e ha contribuito a far affermare lo status sociale degli chef. Ha influenzato la cucina delle case borghesi per l’alleggerimento dei pasti negli anni Settanta e l’alta gastronomia nel mondo intero».
Così Wikipedia, l’enciclopedia più popolare dai tempi di Diderot e D’Alembert, definisce il movimento gastronomico percepito come il più snob di sempre.
Una definizione che sembra costruita apposta per mettere i puntini sulle i: il movimento è nato come volontà di cambiamento, in un periodo in cui il cambiamento era all’ordine del giorno. E nasce dal dialogo tra chef, critici e dall’altra parte clienti: non l’uomo della strada, certo, «gente di un certo livello» potremmo dire con una punta di sarcasmo, ma nemmeno gastronomi e professionisti del settore.
La volontà alla base della nouvelle cuisine era quella di alleggerire, di prendere le distanze da quel modo di far cucina erede, in Francia, della haute cuisine di Auguste Escoffier, caratterizzata dalla forte presenza di salse e intingoli da riscaldare al momento di servire.
Ed ecco che nel 1973 vide la luce il manifesto della nouvelle cuisine. Dieci punti programmatici, degni del manifesto di qualsiasi movimento culturale in altri ambiti artistici.
- Non cuocerai troppo.
- Utilizzerai prodotti freschi e di qualità.
- Alleggerirai il tuo menu.
- Non sarai sistematicamente modernista.
- Ricercherai tuttavia il contributo di nuove tecniche.
- Eviterai marinate, frollature, fermentazioni.
- Eliminerai le salse e i sughi ricchi.
- Non ignorerai la dietetica.
- Non truccherai la presentazione dei tuoi piatti.
- Sarai inventivo.
Alcuni vedono in questo programma un ritorno al modo di cucinare e di mangiare che già era presente nelle case, soprattutto di campagna, basato sui prodotti del mercato locale. Però sbirciando tra le mura delle case degli anni Settanta si vedono tendenze ben diverse, e anche guardando ancora più indietro nel tempo ci si accorge che, fatta eccezione di qualche isola felice nelle assolate campagne della Provenza, la cultura contadina è dedita da sempre a conservare, a marinare, a fermentare, a mettere sottolio o sotto sale, a creare salse che coprano difetti di prodotti non impeccabili, a cuocere lungamente per essere sicuri di non correre rischi quando gli ingredienti non sono freschissimi.
Quanto poi il nuovo modo di intendere il cibo sia penetrato nelle case è ancor meno evidente: tra gli anni Settanta e Ottanta nelle città italiane si mangiavano paste asciutte e risotti, e i condimenti via via diventavano sempre più ricchi e grassi, pieni di panna e burro.
Inevitabilmente in quegli anni la percezione che la gente comune aveva della nouvelle cuisine non poteva che essere critica, ai limiti del sarcasmo. Quando Gualtiero Marchesi, maestro e profeta di un nuovo modo di mangiare in Italia, aprì il suo ristorante a Milano era il 1977: c’è chi ancora oggi racconta che, dopo una cena da Marchesi, la fame era ancora tanta che si sentiva il bisogno di andare a mangiare una pizza. Bisogno che molti soddisfacevano nelle immediate vicinanze. E negli anni Ottanta parodie, prese in giro, scherzi sulle piccole porzioni e i costi enormi si sprecavano: un modo di intendere la nuova tendenza gastronomica che non guardava in faccia definizioni e distinguo.
Nouvelle cuisine nella percezione comune è tutto ciò che è inutilmente pretenzioso e caro, che abbia un suono vagamente francofono o esterofilo: cucina molecolare? Fine dining? Gourmet restaurant? È sempre nouvelle cuisine. Ricordate lo spot della Barilla del 1985? Quello girato da Fellini? Quello in cui la signora, seduta a un tavolo di un elegante ristorante, al maître che elenca piatti dai difficili nomi francesi risponde con un laconico «Rigatoni»? Forse ancora oggi siamo troppo legati a pasta e pizza per guardare oltre.