Due colpi magistrali mirati, nessuna escalation, eliminati con precisione chirurgica due massimi responsabili di Hamas e di Hezbollah: a Teheran Ismail Hanyeh, prestigioso leader di Hamas all’estero, e a Beirut Fouas Shukr, responsabile massimo del poderoso apparato missilistico di Hezbollah, e quindi responsabile in prima persona della strage dei dodici bambini drusi di Majdal Shams.
Le Forze Armate israeliane (Idf) e il Mossad, che sono tutt’altra cosa rispetto al governo, dimostrano così saggezza politica e una capacità operativa eccezionale, unica al mondo. La risposta contro Hezbollah alla strage dei bambini drusi non è un allargamento orizzontale delle operazioni belliche, ma un doppio tiro al bersaglio contro due fondamentali leader del nemico.
Per capire quanto il Mossad abbia colpito nel segno, e quanto danno abbia fatto ad Hamas uccidendo Ismail Haniyeh con una spericolata azione di commando nel centro di Teheran, basta vedere la reazione di Abu Mazen: «Un atto codardo e uno sviluppo pericoloso».
Il leader della Anp, che dovrebbe rappresentare l’ala «moderata» e non terrorista del movimento palestinese, depreca dunque la fine del più alto rappresentante politico del sanguinario movimento terrorista. Non è una contraddizione, ma l’ennesima manifestazione del tipico doppiogiochismo della dirigenza palestinese «moderata» che flirta col terrorismo per coprire la propria corruzione e incapacità politica.
La ragione di questa condanna rivelatrice è semplice: con Haniyeh, Abu Mazen intendeva stringere un accordo per un futuro governo di Gaza e della Cisgiordania che segnasse la continuità disastrosa della leadership palestinese degli ultimi cinquanta anni. Da una parte la pressione terroristica – Hamas – di cui profitta la componente nazionalistica – Abu Mazen – per continuare la propria gestione del territorio corrotta e inefficace. L’accordo appena siglato a Pechino tra Hamas e gli emissari di Abu Mazen significava questo.
Ma ora, con l’uccisione del più alto rappresentante politico di Hamas all’estero, un terremoto scuote tutti gli equilibri interni ed esterni all’organizzazione e in tutto il mondo palestinese. Innanzitutto, per la sconfitta subita sul piano militare. Hamas non è infatti riuscito a proteggere la vita del suo massimo esponente politico all’estero, un leader simbolico, che da mesi appare praticamente tutte le sere nelle televisioni di tutto il Medio Oriente a dettare la linea, il conosciutissimo e popolare volto autorevole dell’organizzazione. Israele l’ha eliminato con un’operazione nel cuore della capitale del regime degli ayatollah, i protettori del «Fronte della Resistenza».
Ma all’onta della pessima figura sul piano della sicurezza, si aggiunge il prezzo che ora Hamas pagherà con le inevitabili e incontrollabili tensioni nella direzione estera. Non certo nella direzione interna, quella di Gaza, che è saldamente nelle mani di Yaha Sinwar.
Ismail Haniyeh, infatti, è stato il massimo e popolare dirigente di Hamas dal 2006, quando vinse le elezioni a Gaza, fino al 2017. È stato lui a scatenare e a dirigere la guerra civile inter-palestinese nella Striscia del 2007 che fece centinaia di morti e che gli permise di acquisire il controllo ferreo sul territorio. È stato lui a costruire quel capolavoro di penetrazione solidale di Hamas nei gangli della Unrwa che gestisce i miliardi di aiuti a Gaza, grazie ai quali Hamas ha consolidato il controllo mafioso del consenso della popolazione e l’accumulo di miliardi all’estero (coi quali, tra l’altro, finanziava il suo esilio dorato). È stato soprattutto lui – qui è il colpo più grande inflitto da Israele ad Hamas – a costruire l’enorme rete di rapporti con i dirigenti del Qatar, ma anche della Turchia, che hanno costituito il grande ombrello protettivo di cui Hamas gode da un quindicennio.
Tutta la sottile e complessa rete dei rapporti internazionali di Hamas, inclusi quelli con la Russia e la Cina, così come quelli, personali e intensi con Tayyp Erdogan e Vladimir Putin, facevano capo personalmente a Ismail Haniyeh. Dunque, i contraccolpi saranno pesantissimi. Ma soprattutto, Ismail Haniyeh incarnava al meglio lo spirito barbaro e sanguinario dell’islamismo jihadista, come nettamente risalta dalle sue parole a commento della battaglia di Gaza: «L’ho detto in passato e lo dico ancora: il sangue delle donne, dei bambini e degli anziani… Siamo noi che abbiamo bisogno di questo sangue perché risvegli dentro di noi lo spirito rivoluzionario, ci spinga ad andare avanti». Vampirismo politico in purezza.
Scomparso Haniyeh, Hamas dovrà ricalibrare il suo doppio gioco, il suo doppio volto, con un Yaha Sinwar, il «macellaio di Gaza» che organizza il pogrom del 7 ottobre e gestisce la presa degli ostaggi e comanda la guerra a Israele dai sotterranei di Gaza, affiancato da una «moderata» direzione politica estera che con Haniyeh tesse la tela del compromesso politico.
Ismail Haniyeh dovette lasciare bruscamente la leadership di Gaza e di Hamas nel 2017, perché aveva impegnato l’organizzazione a fianco dei Fratelli Musulmani in rivolta contro il regime di Bashar al Assad in Siria. Aveva cioè impegnato Hamas nel fronte militarmente e politicamente avverso all’Iran, che sosteneva e sostiene Assad, fronte che per di più aveva perso drammaticamente lo scontro sul terreno militare.
Ma l’Iran era ed è il più strategico alleato di Hamas, che appunto ha recuperato l’alleanza con Teheran sacrificando la leadership sul terreno di Ismail Haniyeh, sostituendolo con Yaha Sinwar. Contemporaneamente, Hamas ha stemperato, ma solo dal punto di vista formale e non sostanziale, i suoi rapporti con i Fratelli Musulmani.
Ma la personalità di Haniyeh non era tale da poterlo fare soccombere, pur a fronte di un errore così grave come quello compiuto in Siria. Costretto di fatto ad abbandonare la Striscia, ha perfezionato il doppio gioco di Hamas, tipico della tradizione politica jihadista islamica. Da una parte le azioni della organizzazione terroristica, il pogrom del 7 ottobre ne è stato il culmine, dall’altra e ipocritamente il volto «politico», disponibile alla mediazione che sfrutta la forza del terrorismo per costruire equilibri politici più avanzati e favorevoli.
Il tutto, con una notevole cura nell’accattivare i favori dell’opinione pubblica internazionale, unendo al vittimismo astruse proposte di mediazione che però non nascondevano, nei loro bizantinismi, lo scopo strategico di Hamas: distruggere lo Stato di Israele e instaurare in Palestina un califfato islamico. Un’attività nella quale si è dimostrato un maestro, diversi palmi al di sopra dei suoi colleghi nel comitato politico di Hamas all’estero, Khaled Meshal, Abu Marzuq, Mahamud al Zahar, eccetera. Ora, con la sua morte, sarà nominato un successore. Ma nessuno dei candidati gode della sua complessa rete di relazioni, di prestigio e di visione. Ucciso Haniyeh, non se ne fa un altro.