L’ombra dell’irrazionaleEssere umani vuol dire cercare il significato

L’era moderna ha creato un problema religioso che non può più essere risolto dalla religione né può essere afrontato dall’attuale fede nella tecno-scienza

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Ma quel giovane ateo avrebbe presto riconosciuto il suo errore. Dove c’è un essere umano, c’è lo spirito umano. La sensazione di essere vivi. La sbalorditiva complessità di essere una persona. La dignità fondamentale che ogni persona cerca in un cosmo dal quale questa persona non può essere conosciuta. E, dove c’è spirito umano, c’è la ricerca di un significato. Se, come capita a molti di noi, si vive in un mondo di post-fede la questione di quale sia il nostro significato intrinseco deve essere per forza affrontata. In che modo possiamo definire la nostra sofferenza? Che cos’è che può dare significato alla nostra vita in un universo che si mostra indi ferente? Per iniziare questa conversazione, bisogna incontrare veramente il “sé”.
Quando Robinson Crusoe mette piede su quell’isola deserta, incontra un sé essenziale che si colloca al di fuori delle strutture culturali e politiche del suo tempo ed è interessato principalmente al significato. Crusoe entra in conversazione con il suo Dio e con il cosmo e, così facendo, giunge a conoscere quale sia la sua vera essenza. In altre parole, diventa un individuo. Ciascuno di noi – religioso, agnostico, ateo o semplicemente indeterminato – ha dentro di sé, nel profondo, come parte intrinseca della sua mente, quell’isola deserta. Bisogna raggiungere da soli quell’isola e percorrere le sue coste frastagliate al chiaro di luna. Forse, all’alba, con il legname delle idee che attraggono la tua mente da gazza postmoderna, potrai costruire un’utile capanna, che possa servirti come casa del significato. Ma ci sono persone che non raggiungono quell’isola e che non sanno nemmeno che si trovi lì.
Il “sé” essenziale richiede sempre la nostra attenzione, ma la sua voce è soffocata dal rumore e dal tumulto della vita moderna. La sua voce non può essere udita in mezzo a questa babele e viene completamente silenziata dagli infiniti scroll sullo smartphone. Ci ho pensato su per un terzo della mia vita e questo “sé” essenziale mi sembra che sia un aspetto della mente in qualche modo più elevato degli altri, che volteggia senza rumore in un cielo privato. Per trovarlo bisogna fermarsi e guardare in alto, anche se è noto che in tempi di crisi questo “sé” essenziale scende in picchiata per tirarvi su per i piedi con i suoi artigli.
Per le generazioni che sono diventate adulte in un Ventesimo secolo affamato di significato, il problema di che cosa fosse l’essere autentico allungava la sua ombra sul mondo della cultura. Gli intellettuali e gli artisti hanno lottato con questo problema fino a quando occuparsene non è di – ventata una cosa passatista e forse troppo assurda. Poi c’è stata una svolta verso un’altra direzione, nel momento in cui la teoria critica ha sollecitato una politicizzazione delle arti. Oggi gli artisti sono fissati con la politica e la convinzione dominante è che tutti i nostri problemi possano essere risolti dalla società e all’interno di essa. Certo, la nostra ricerca di un significato può ovviamente essere modellata e influenzata dalla società, ma il problema del significato rimane comunque un problema da isola deserta. Le società che cercano di strappare il controllo del significato all’individuo portano al totalitarismo o alla teocrazia.
Oggi, la vita che viene vissuta sulla ruota da criceto della distrazione ha creato un’altra assurdità all’interno della grande assurdità dell’esistenza. Molte persone si trovano a vivere con un cervello che funziona solo parzialmente e non sono nemmeno consapevoli del problema del significato. Non siamo più alienati dal mondo, ma siamo alienati da noi stessi. Dobbiamo di fidare di una cultura che ha scambiato l’informazione per il significato. Quando la conversazione con il “sé” essenziale si spegne, è come un invito alla patologia perché si faccia avanti: ci si accascia senza trovare una spiegazione per qualcosa che non si riesce a spiegare e si sviluppa un malessere che è una disperazione che non ha neppure la consapevolezza di essere disperazione. Questo dolore invisibile e inspiegabile deve essere placato ma noi siamo consumati dalla rabbia e cerchiamo qualcuno a cui dare la colpa. L’irrazionale erompe da dentro di noi e cerca un bersaglio nella società. L’ombra dell’irrazionale è ormai ovunque intorno a noi.
Nella sua poesia Il secondo avvento, William Butler Yeats stila una legge metafisica sulla condizione umana e ci mette in guardia su ciò che accade a una civiltà in cui l’individuo perde il contatto con il “sé” essenziale del suo cielo privato: «Girando e girando nella spirale che si allarga Il falco non può udire il falconiere; Le cose crollano; il centro non può reggere; Mera anarchia è scatenata sul mondo; La corrente torbida di sangue è scatenata»
Ciò che spicca il volo dentro di noi deve arrivare a posarsi, ma ciò che spicca il volo nella nebbia e nella tempesta finisce per perdersi. All’ombra dei vasti fallimenti economici e politici della nostra epoca si cela una crisi spirituale, uno spostamento tettonico che comincia a scuotere e a lacerare le fondamenta delle nostre società etiche occidentali. L’era moderna ha creato un problema religioso che non può più essere risolto dalla religione, né può essere affrontato dall’attuale fede nella tecno-scienza. Viviamo in un’epoca che teme il silenzio e non comprende il vero prezzo di questa paura.
© 2024 THE NEW YORK TIMES COMPANY AND PAUL LYNCH

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