Prima del coprifuoco La normalità dell’uscire a cena in Ucraina

A Kyjiv e nelle altre città del Paese, i bar, i ristoranti e gli altri locali cercano di restare aperti, nonostante le sirene e le difficoltà legate a interruzioni di energia e approvvigionamento

Kyjiv, Ukraine, AP Photo/Francisco Seco

Tra generatori di corrente elettrica al lavoro ventiquattro ore su ventiquattro, continui blackout, allarmi aerei sempre più minacciosi, attacchi di droni, bombardamenti, e una precarietà che è diventata abitudine, la capitale dell’Ucraina, Kyjiv, cerca coraggiosamente di mantenere la sua vivacità sociale e culturale, la sua storia di città che guarda all’Occidente e al futuro.

Anche in questi giorni difficili, i visitatori che arrivano a portare solidarietà si stupiscono dei ristoranti, dei bar, degli hotel e dei negozi aperti, della vita quotidiana che, tra un avviso e l’altro dell’app Air Alert che spinge a cercare rifugio anche solo in una stazione della metro, cerca di continuare, tra cinema, teatri, palestre e trasporti funzionanti.

Solo l’anno scorso, tra gennaio e maggio 2023, sono stati aperti in città 172 caffè e ristoranti. Si tratta di circa 350 stabilimenti attivi dall’inizio della guerra, secondo i dati della National Restaurant Association of Ukraine. Piccoli esercizi, per lo più: caffè, panetterie, chioschi. I pub e i bar sono un discorso a parte. Il coprifuoco ne limita in modo pesante l’attività e gli orari, anche se cercano di resistere.

«Andare al ristorante, sedersi al tavolo, è come una psicoterapia», secondo Olha Nasonova, cofondatrice della National Restaurant Association of Ukraine.

Chi ha visitato Kyjiv in questi mesi racconta una città paradossalmente e incredibilmente “normale”, dove la vita scorre come in una qualsiasi altra capitale europea. Con delle differenze, certo. «La prima cosa che si nota – dice Gianluigi Ricuperati, spesso in Ucraina per motivi tanto familiari quanti professionali – è che in giro ci sono per lo più donne. È un mondo al femminile. Gli uomini o sono al fronte o temono di essere mandati al fronte, quindi si vedono poco. L’ora per l’uscita serale è compressa, dalle 18 alle 22 circa, perché a mezzanotte inizia il coprifuoco e quindi si deve stare in casa per forza. Allora si cerca di sfruttare tutto il tempo disponibile e di comportarsi con l’allegria e la spensieratezza che ormai da tempo la realtà quotidiana nega».

I blackout si ripetono in continuazione: stando ai dati ufficiali del governo, è stato distrutto o danneggiato l’ottanta per cento delle centrali termoelettriche e la metà degli impianti idroelettrici, comprese le dighe, finite più volte sotto il fuoco nemico.

Il rumore dei generatori, soprattutto con il caldo agostano, diventa così una sorta di suono costante di sottofondo, come se fosse la colonna sonora della città.

Kyjiv, Ukraine, AP Photo/Francisco Seco

Eppure, né la capitale, né l’Ucraina tutta, rinunciano a vivere e ad aggiornarsi. Anche se la cucina tradizionale è molto amata, il sushi si sta diffondendo sempre più. La sua popolarità è un lascito della fine dell’Unione Sovietica, quando l’uso dei bastoncini, la presentazione, gli accostamenti insoliti, rappresentavano meglio di ogni altra cosa l’esotismo, il cosmopolitismo, la presa di distanza dal claustrofobico e autoreferenziale mondo sovietico. Un cibo da festa, da occasione speciale, da vacanza.  Un genere davvero improbabile di questi tempi, per via degli ingredienti quasi interamente di importazione e della necessità di una refrigerazione costante. Eppure, i sushi restaurant prosperano, anche nei centri vicinissimi ai luoghi di battaglia e alla linea del fronte, come Sushi Island a Zaporizhzhya, dove i clienti più assidui dei take away sono i soldati. Perché «è importante avere qualcosa che ci ricordi la nostra vita normale».

A Kyjiv resta molto amata la cucina georgiana, un Paese fratello, malgrado il suo attuale governo, le cui specialità sono particolarmente apprezzate. Così un khachapuri dal popolare Mama Manana, una catena presente nel centro di Kyjiv, ma anche in altre città e all’estero, può diventare un’occasione per incontrare attivisti e operatori umanitari.

Ci sono anche realtà molto sofisticate, ristoranti come Hundred Years, con il suo arredamento in tinte bianco e legno naturale e le sue rivisitazioni della cucina tradizionale, come il menu “Get to know Ukraine”. E con un angolo bar dove i prodotti locali diventano originali cocktail.

Accanto agli ottimi vini ucraini e ai classici vini georgiani, non mancano – è la moda del momento anche in Ucraina – i vini naturali. Ma a Kyjiv c’è anche e soprattutto una grande cultura del caffè, con locali hipster che offrono caffè filtrati, connessione internet e dolci biologici.

La vita notturna, nel senso di cultura danzereccia, è in teoria vietata, dato che c’è il coprifuoco e i party notturni sono illegali, ma qualcosa di sommerso, cercando bene, si trova. Alla peggio, le notti di festa cominciano al pomeriggio, attorno alle 16, in locali come il famoso club K41 a Podil, il quartiere universitario, un ex birrificio trasformato in locale alla moda dallo stesso studio di architetti che ha lavorato al Berghain di Berlino, il tempio della techno e che, contro ogni ostacolo, continua a richiamare deejay internazionali e migliaia di ragazzi, ma anche soldati in licenza, volontari, giornalisti. Le serate sono anche e soprattutto un’occasione e un modo per raccogliere fondi a favore dell’esercito: almeno seimila euro ogni volta.

Perché su una cosa tutti concordano: cercare di vivere normalmente è un atto di resistenza. E l’esercito non difende solo il Paese, ma uno stile di vita: l’aspirazione a far parte dell’Occidente.

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