Buco allo stomaco Come muore di fame un Paese

Da oltre un anno in Sudan è iniziata una delle crisi alimentari più gravi mai registrate. Lo scenario sui prossimi mesi appare tragico, secondo le principali istituzioni che monitorano il fenomeno. Anche altre zone del mondo stanno vivendo crisi simili per motivi pressoché identici. Motivi dai quali nemmeno un Paese come l’Italia è immune

Immagine creata con IA

Carestia – mancanza o grave scarsità di derrate alimentari con conseguente incremento della mortalità dell’intera popolazione, secondo Treccani – è un termine assolutamente esotico per noi, che l’unico problema che abbiamo nei riguardi del cibo è il nervosismo nel non saper decidere cosa mangiare per cena. Tuttavia, anche in Italia abbiamo iniziato a fare i conti con la consapevolezza di un cibo che non possiamo dare poi così per scontato. Con l’inizio della guerra russa in Ucraina abbiamo preso coscienza di una possibile crisi del grano – scoprendo che la pasta in Italia non spunta sugli alberi dietro casa. Intanto, i micro e macro episodi dovuti al cambiamento climatico hanno fatto sparire dalla tavola frutti, pesci, facendo schizzare in alto il costo delle nostre spese e aumentare i dubbi sul futuro del cibo.

Molto lentamente ci stiamo rendendo conto, come collettività, che riempire il frigo non è solo una questione tra bravura del contadino e competenza del supermercato che deve rifornire lo scaffale, ma è fortemente influenzato da fattori totalmente incontrollabili dai responsabili della filiera. Gli equilibri geo-politici, gli eventi climatici globali sono capaci di cambiare la sostanza del nostro piatto.

Ma più i problemi sono vicini e più gli effetti possono essere devastanti. È quello che sta vivendo il Sudan da oltre un anno. Stando all’analisi dell’Integrated food security Phase Classification (Ipc), un piano di monitoraggio e classificazione della sicurezza alimentare sostenuto dalle Nazioni Unite, il Sudan sta attraversando i peggiori livelli di carestia acuta mai registrati prima. Oltre 25,6 milioni di persone (più della metà della popolazione) sta affrontando, proprio in questi mesi che corrispondono alla stagione di magra, condizioni di crisi alimentare che vanno dal livello Ipc tre al cinque. I livelli Icp sono un sistema che determina la gravità di insicurezza alimentare di un territorio rappresentato da una scala che va da uno (livello debole di insicurezza alimentare) a cinque (il livello di crisi alimentare più grave). E al livello cinque si stima che vivano oltre 755 mila cittadini sudanesi (più gli ottanta mila del Sud Sudan), mentre al livello quattro si trovano quasi undici milioni di abitanti tra Sudan e Sud Sudan. Nel totale, quasi tutta la popolazione del Sudan è coinvolta in questa crisi alimentare che comporta effetti disastrosi.

A causare la crisi, una guerra civile, attualmente in corso, aggravata da ben due colpi di Stato. La lotta intensa ha costretto alla fuga oltre dieci milioni di abitanti, generando un numero incontrollato di sfollati e dando origine a problemi sanitari. Secondo l’Onu la situazione alimentare è peggiorata dall’inizio della guerra a oggi e vede un picco in questi mesi estivi anche dovuto alle condizioni climatiche non favorevoli per l’agricoltura. Come riportato nel numero 1570 di Internazionale «I direttori della Fao, dell’Unicef e del Programma Alimentare Mondiale sottolineano come la crisi sia paragonabile a quella del Darfur all’inizio degli anni duemila», ma diversamente da allora la crisi interessa tutto il Sudan, con livelli di crisi alti anche in Gezira, che rappresentava il granaio del Paese.

Nonostante l’allarme lanciato anche dalle principali organizzazioni umanitarie italiane come Comunità di Sant’Egidio, Emergency, Medici senza Frontiere, la grave crisi alimentare del Sudan sembra non interessare la politica internazionale e non ci sono state ancora azioni concrete di sostegno.

A differenza degli anni Novanta, le foto dei bambini affamati in Africa non le vediamo più tanto in giro, eppure la fame non si è attenuata per nulla e il problema non accenna a decrescere.

La bandiera della fame
Il Sudan non è l’unico Paese i cui abitanti stanno affrontando una gravissima crisi alimentare. Dopo il caso africano, segue la fame che sta investendo la Striscia di Gaza a seguito del conflitto israelo-palestinese. Sempre secondo i dati Ipc, oltre 495.000 abitanti della Striscia di Gaza convivono con il livello più alto di crisi alimentare. Due aree geografiche che condividono i medesimi colori della propria bandiera e un destino fatto di fame e scarse speranze per il futuro.

Allargando lo sguardo, dalle tabelle Ipc emerge che sono 169,38 milioni le persone in crisi alimentare grave (sopra il livello tre), distribuite in trentanove Paesi con maggiore concentrazione in Nigeria, Sudan, Bangladesh, Myanmar e Afghanistan.

Oggi offro io
Siamo uno dei Paesi più ricchi del mondo in uno dei continenti più floridi del pianeta. Ma la variabile crisi climatica inizia a mettere in discussione molte certezze e nessuno, attualmente, garantirebbe sulla pace nel continente per i prossimi anni. Le crisi alimentari potrebbero interessarci più da vicino nel futuro, ma per ora il frigo è pieno e più che preoccuparci per noi faremmo bene a occuparci di chi vive una vera crisi alimentare.

Le organizzazioni no profit a sostegno della nutrizione di popolazioni che vivono in carestia offrono diversi programmi di supporto, accessibili anche con pochi centesimi (il prezzo medio di un pasto).

Share the Meal è il programma di raccolta fondi del World Food Program che consente di fronteggiare alcune cause di fame attraverso un’app semplice e ben sviluppata. Al momento è possibile donare per il Sudan e la Palestina o fare donazioni aperte.

Azione contro la fame, invece, aiuta le popolazioni di Ucraina, Afghanistan e Yemen raccogliendo donazioni per sostenere progetti di sicurezza alimentare e fornendo supporto per combattere la malnutrizione.

Il tema della crisi alimentare è vecchio quanto la presenza dell’uomo sul pianeta, ma non ha ancora incontrato soluzioni concrete. Ma non per questo è un tema che deve lasciarci rassegnati e impassibili verso un problema che sarà anche perenne, ma che rimane orribile per chiunque lo viva.

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