Il 6 agosto, attraverso un comunicato stampa, il ramo austriaco dell’organizzazione ambientalista Ultima generazione (Ug) – Letzte generation – ha annunciato l’interruzione delle proteste all’interno del Paese. Non significa che la campagna chiuderà definitivamente i battenti: la novità è limitata all’Austria. La notizia rimane però rilevante per il mondo dell’attivismo verde, che ha trovato nella disobbedienza civile non violenta uno strumento utile per portare i temi climatici e ambientali ai vertici del dibattito pubblico.
Qualcosa, evidentemente, non ha funzionato. Gli austriaci hanno ammesso di non vedere «più alcuna prospettiva di successo», dato che negli ultimi anni il governo – in coalizione ci sono i Verdi assieme ai conservatori del Partito popolare austriaco, il cui leader è il cancelliere Karl Nehammer – «ha dato prova di completa incompetenza».
Il comunicato stampa della scorsa settimana trasuda rassegnazione e demoralizzazione: «Riconosciamo che l’Austria vuole continuare a usare i combustibili fossili e accetta di essere in parte responsabile della morte di miliardi di persone. La società ha fallito. Questo ci rende incredibilmente tristi». L’unico sussulto di grinta si intravede verso la fine, con gli attivisti e le attiviste che promettono di rimanere «arrabbiati» perché «la resistenza continua». Letzte generation userà i soldi rimasti, provenienti dalla non profit Climate emergency fund e da donazioni private, per coprire le ultime spese legali, ma cesserà definitivamente di protestare sotto quel nome.
L’annuncio del ramo austriaco non pare un sintomo di una crisi transnazionale di Ultima generazione, ma è un prezioso momento di riflessione per tutte le parti in causa. «Gli austriaci avevano problemi da tempo e hanno sempre scelto una linea dura e pura, fatta solo di blocchi stradali. Penso che questo ridimensionamento da parte loro sia necessario. Sta anche aumentando la repressione nei loro confronti, e questo li ha fatti un po’ vacillare, ma hanno intenzione di ricominciare con qualcosa di nuovo: non è un addio. C’è curiosità su ciò che accadrà in futuro, sulla forma che prenderà Ultima generazione in Austria. Noi, in Italia, speriamo di essere un’ispirazione per loro, perché puntare soltanto sui blocchi stradali è pesante. Magari possiamo condividere un po’ di strategie», racconta a Linkiesta Miriam Falco, portavoce di Ultima generazione.
Secondo Falco, gli austriaci hanno avuto un «atteggiamento umile» perché, in un momento di difficoltà prolungata, «si sono messi in discussione per poi ricominciare con più forza». La cittadina aderente a Ultima generazione ha ridimensionato la portata della notizia, criticando duramente la bufera mediatica nata in Italia. In questo caso si è riferita esplicitamente a un’intervista del Corriere della Sera a Marina Hagen, leader di Ultima generazione in Austria: «Abbiamo dovuto chiedere una rettifica perché il titolo definiva Marina la leader di Ultima generazione, senza specificare il Paese (ora il titolo è stato modificato, ma nel sottotitolo si legge solo “leader di Ultima Generazione”, ndr). Secondo noi è stato un esempio di disinformazione».
Al netto del titolo e del sottotitolo, spesso scritti da persone diverse rispetto all’autore o all’autrice dell’articolo, l’intervista a Marina Hagen contiene diversi spunti degni di approfondimento. Uno su tutti, il mea culpa dell’attivista sulla comunicazione di Ultima generazione in Austria, definita «troppo algida, anticapitalista, astratta, che ci ha fatto percepire come elitari, staccati dalla realtà». Secondo Miriam Falco, però, è un discorso non applicabile al ramo italiano del gruppo ecologista.
«In Italia, noi di Ultima generazione non parliamo mai di anticapitalismo: non ci passa neanche per la testa. Non siamo e non vogliamo essere ideologici. Per dirti, una volta Francesco Borgonovo (vicedirettore de La Verità, ndr) ci ha detto: “Mi state convincendo”. Un’altra volta, in televisione, Mario Giordano ha confessato: “Devo dire che sono d’accordo con la Falco”. Certe volte il nostro modo di parlare può anche assomigliare a quello più populista», spiega la cittadina di Ug.
Le differenze tra il ramo austriaco e quello italiano non sono solo nei metodi di protesta – Ug in Italia ha un bagaglio più ricco –, ma anche negli approcci comunicativi e concettuali: «Noi vogliamo arrivare al cuore delle persone, dei lavoratori. Siamo al lato opposto rispetto a Letzte generation, ma non perché siamo di destra: nella nostra organizzazione non c’è nessuno che apprezza l’operato dei partiti di destra. Siamo apartitici, non ci riconosciamo in nessun partito. Stiamo cercando di essere vicini ai valori della comunità, del lavoro, cosa che la sinistra radical-chic non fa. Rispetto agli austriaci abbiamo una comunicazione completamente diversa, e collaboriamo con persone diverse. Per esempio, noi ora siamo in contatto con gli agricoltori di Riscatto agricolo, vogliamo arrivare agli asfaltatori, ai lavoratori dell’edilizia», continua.
Gli attivisti e le attiviste di Ultima generazione hanno un target diverso anche rispetto al ramo tedesco, che ha candidato dodici membri dell’organizzazione alle elezioni europee di giugno: «In Italia abbiamo ricevuto diverse richieste di candidatura, ma abbiamo rifiutato. Siamo giovani e apparteniamo a un movimento che esiste da meno di tre anni: forse lanciarsi in politica è un po’ da sprovveduti. Vogliamo continuare a fare pressione sul governo, ma ci interessa coltivare una coscienza su ciò che sta accadendo. Secondo me ci stiamo riuscendo, anche attraverso le nostre uscite in televisione», dice Miriam Falco.
Insomma, Ultima generazione non appare affatto demotivata. È pronta a cambiare metodi nel caso in cui il governo italiano, da sempre ostile nelle parole e nei fatti alle azioni di disobbedienza civile per il clima, dovesse inasprire ulteriormente le pene nei confronti degli attivisti. Ma l’obiettivo, conclude Falco, rimarrebbe lo stesso: «Puntare su azioni per entrare in contatto diretto con le persone, faccia a faccia, anche se in modi che possono sembrare fastidiosi. Non ci piace fare quello che facciamo. Abbiamo fatto scioperi della fame, ci siamo incatenati alle sedi dei partiti, abbiamo fatto di tutto. E continuiamo ad aver bisogno di confrontarci con le persone, che devono sentire il peso emotivo che ci portiamo dietro».