L’Osservatorio Uiv-Vinitaly su base Nielsen-IQ riporta una fotografia impietosa: rallentano ancora le vendite di vino nei tre principali mercati della domanda mondiale. Nel primo semestre 2024, nella grande distribuzione di Stati Uniti, Regno Unito e Germania si vende meno vino: -4,3 per cento, per un valore a 13,9 miliardi di euro. L’Italia tiene e le vendite risultano stabili, ma non per questo è minore la preoccupazione tra i produttori: i volumi rimangono a un debolissimo +0,1 per cento e il controvalore, ancora condizionato dall’inflazione, è di 2,3 miliardi di euro (+0,9 per cento). Rispetto a marzo, l’Osservatorio rileva un peggioramento, con volumi che crollano per effetto di un secondo trimestre con volumi a -4,3 per cento e un conseguente calo nel semestre della domanda di vino italiano negli Usa (-2,1 per cento), in Uk (-1,5 per cento) ma non in Germania(+2,7 per cento). Che cosa ci tiene a galla, nonostante tutto? L’export è sostenuto in maniera decisiva solo dai frizzanti a basso costo. Ed è evidente dai dati: al netto della crescita della tipologia frizzanti sulla piazza tedesca, il saldo del vino italiano nei tre Paesi principali segnerebbe una contrazione dell’1,6 per cento.
Se nel carrello della spesa statunitense ogni quattro bottiglie di vino italiano una è di Prosecco (+4,3 per cento), tra gli inglesi l’incidenza sale al 33 per cento. Ma il pesante stop del secondo trimestre ha condizionato il parziale Uk di metà anno, sia nelle vendite di spumanti (-0,4 per cento volume e -4,7 per cento valore), sia dei vini fermi (-2,2 per cento volume e +5,2 per cento valore), per un valore di 845 milioni di euro. Sul mercato tedesco, l’Italia limita i danni di un mercato altrimenti asfittico grazie all’exploit dei “frizzantini” (+23,3 per cento volume e +14,6 per cento valore), complice un prezzo medio da “saldi”: 3,63 euro/litro (-7 per cento il prezzo medio).
Lamberto Frescobaldi, presidente di Unione italiana vini (Uiv), dichiara che la situazione va affrontata con idee chiare e prese di posizione nette: «La maggior versatilità delle nostre produzioni ci ha permesso di fare meglio dei competitor, ma la riduzione dei consumi si fa sempre più evidente. A un vigneto moderno – ha aggiunto Frescobaldi – vanno corrisposte scelte manageriali altrettanto attuali: il futuro prossimo del vino italiano dovrà necessariamente passare dal contingentamento delle rese e da una analisi più puntuale dei mercati e dei consumatori, mai così fluidi come oggi».
Paiono parole scontate, ma sono invece due principi sui quali occorre fare una riflessione seria e circostanziata, perché significa cambiare stile, metodo, target e obiettivi, proprio a livello nazionale. Si tratta di decidere di smettere di produrre ovunque e comunque, di fare quantità pur di superare le bollicine francesi. Se ci pensiamo, anche questo spingersi sempre più in là coi numeri per superare i nostri più acerrimi competitor è, in fondo, solo enonazionalismo. Non fa bene a nessuno questa corsa all’iperproduzione: né ai produttori, che devono concentrarsi sulle quantità e limare i centesimi per essere competitivi sul prezzo, né al territorio martoriato da vigneti-batteria piazzati ovunque, anche in terreni non vocati, da curare con la chimica perché troppo sfruttati. Non fa bene anche perché è ormai evidente che i giovani bevono e berranno meno: si tratta di farli bere meglio, con prezzi commisurati alla qualità. Non fa bene al vino, che per mantenere numeri altissimi diventa sempre più costruito in cantina e sempre meno buono. Alla fine, alla lunga, venderemo di più, ma venderemo peggio, in mercati scadenti e a prezzi ridicoli, portando il comparto a snaturarsi e a peggiorare tecnicamente e qualitativamente.
Il messaggio di Frescobaldi è dunque chiaro: teniamo alta l’asticella della qualità, concentriamo le energie su meno bottiglie ma di migliore qualità, e facciamolo insieme, come Paese, così che tutto il settore migliori la sua credibilità nel mondo e il vino italiano rimanga un grande pilastro del nostro saper fare.