Dalla newsletter settimanale di Greenkiesta (ci si iscrive qui) – «Una sorta di piano Marshall di messa in sicurezza del territorio sarebbe urgente anche senza cambiamento climatico. Ma con queste piogge diventa vitale». A parlare è Giulio Betti, meteorologo e climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e del Consorzio LaMMA. Sono giorni – e anni – tumultuosi e ansiogeni per chi fa il suo mestiere e naviga senza sosta tra dati, cartine e modelli meteorologici.
Settimana scorsa la tempesta Boris, che secondo il World weather attribution (Wwe) è stata resa due volte più probabile dal cambiamento climatico, ha sommerso diverse zone dell’Emilia-Romagna per la terza volta in diciotto mesi. L’attenzione si è poi spostata in Veneto, Toscana (ci sono due dispersi), Campania e Puglia, che tra lunedì 23 e martedì 24 settembre sono state colpite da precipitazioni (e alluvioni) violentissime. A pochi chilometri dai nostri confini, a Cannes, le carreggiate sono diventate corsi d’acqua fuori controllo.
«Le alluvioni, le frane e gli smottamenti hanno coinvolto anche l’Inghilterra, una grande parte dell’Europa centrale e sud-orientale, il Giappone e tante altre aree del mondo. Stiamo parlando di episodi che sempre più frequentemente, soprattutto negli ultimi tre-quattro anni, stanno travolgendo l’Europa e il resto del pianeta. Sono talmente tanti che tendiamo a dimenticare, il nostro cervello non riesce a ricordarli tutti», ammette Betti, secondo cui «questi fenomeni si sviluppano in un sistema drogato da un eccesso cronico di calore e umidità».
Siamo in una fase climatica, continua, «in cui la temperatura dell’aria e degli oceani è talmente alta che si crea un eccesso di evaporazione». Più l’atmosfera è calda, più vapore acqueo può contenere. E questo può tradursi in precipitazioni distruttive per un territorio fragile e impermeabile come il nostro, in balìa della cementificazione e dell’abuso edilizio. Secondo l’Osservatorio Anbi sulle risorse idriche, dal 1° gennaio al 15 settembre 2024 l’Italia ha vissuto 1.899 eventi meteo estremi, di cui 1.023 nubifragi (termine che racchiude i danni idrogeologici connessi alle precipitazioni).
Il 15 agosto 2024, nel pieno dell’estate più rovente da quando abbiamo a disposizione osservazioni sistematiche, la superficie del Mediterraneo ha toccato una temperatura media giornaliera di 28,9°C (un record). Un mare così caldo è un serbatoio di energia pronto a esplodere: significa, in sostanza, più eventi meteorologici estremi in autunno, ma non solo. «Il calore accumulato negli oceani e nei mari rimane a lungo, così come l’eccesso di umidità nell’atmosfera. Chiaramente, durante l’estate e l’autunno c’è più energia a livello termico, quindi possiamo avere fenomeni più intensi. Ma ciò non scongiura la formazione di eventi estremi durante l’inverno. L’Italia è una virgola di territorio all’interno di un sistema climatico: le masse d’aria calda che si muovono dall’oceano Atlantico verso di noi portano piogge abbondanti», racconta Betti.
In questi giorni, sottolinea l’esperto, il Mediterraneo si è perfino raffreddato superficialmente: «E allora tutti a dire: “Hai visto che non è caldo come quest’estate?”. Non funziona così. La temperatura superficiale è un discorso, ma il problema è che la temperatura è anomala lungo una colonna di metri e metri d’acqua. Le acque più fredde tendono a rimescolare le acque più calde in superficie, ed è normale. Ma la stessa temperatura che abbiamo “sopra” la stiamo rilevando molto più in fondo rispetto al passato. Il Mediterraneo è strutturalmente più caldo del normale».
Questi fenomeni pongono tutti noi davanti a una concatenazione di dilemmi comunicativi. Secondo Betti, «non bisogna soffermarsi solo sul singolo evento meteorologico estremo», specificando – senza sensazionalismi – l’inequivocabile trend climatico in cui siamo immersi. Dopo le alluvioni in Emilia-Romagna, invece, il dibattito pubblico è stato dominato da uno sconveniente rimpallo di responsabilità tra governo e Regione. Giusto scrivere di soldi, di interventi e di prevenzione, ma la storia è più ampia. Il cambiamento climatico di origine antropica, come sempre, è stato relegato agli angoli dei palazzi di potere, delle redazioni e dei salotti televisivi. Per dire, si sta parlando più di tombini e fiumi da pulire che di riscaldamento globale.
«Se trent’anni fa era più urgente la mitigazione (la riduzione delle emissioni, ndr), oggi non possiamo più permetterci un adattamento soft. Ovviamente, dobbiamo continuare a tagliare le emissioni. Ma se in una singola zona subisci tre alluvioni in un anno e mezzo, non ti risollevi più. Anche se vivi in un Paese ricco. Non è una questione di pulire i tombini. Ci sono Paesi preparatissimi, come il Giappone o la Germania, che sono comunque in ginocchio», continua Betti. Il nostro non è un pianeta a misura di crisi climatica.
Giulio Betti è un meteorologo e climatologo che ha scelto di imboccare anche la via della divulgazione. La sua è una cerchia ristretta che, per fortuna, si sta pian piano allargando: scienza e media sono due campi che devono parlarsi ma non sovrapporsi, creando output informativi di maggior qualità. «Io lavoro anche per il Cnr, all’istituto di Bioeconomia, che ha come terza missione la divulgazione. La scienza più propensa alla divulgazione deve togliere il camice, scendere dalla cattedra e raccontare – che non significa spiegare – come funziona il cambiamento climatico. Io, a un certo punto della mia carriera, ho pensato: “Non posso sapere queste cose e tenerle per me”».
Betti ha deciso di non fermarsi alle piattaforme digitali. Per Aboca, infatti, ha scritto un libro intitolato “Ha sempre fatto caldo”, uscito pochi giorni fa: «L’ho realizzato pensando agli scettici, a chi ha dubbi leciti. E anche a chi è convinto dell’origine antropica del cambiamento climatico ma non ha i mezzi per controbattere. È una guida, un piccolo vademecum sulle leggende assurde attorno al cambiamento climatico», spiega. In copertina non c’è la Terra in fiamme o un orso polare su un iceberg quasi totalmente fuso, bensì un dinosauro che fa surf con gli occhiali da sole: una scelta comunicativa ben precisa. «È stata una trovata geniale di Serena Bellinello, editor di Aboca Edizioni, perché riassume un po’ il grottesco della fake news e della banalizzazione. La cover è pop e allegra, vuole alleggerire il tema dal punto di vista visivo. Le vie d’uscita ci sono e le nuove generazioni non devono avere un quadro eccessivamente cupo».
Ma l’esposizione mediatica può nascondere delle insidie, non solo a livello individuale. A causa dei social e della popolarità delle app, per i meteorologi di oggi è facile finire in un ginepraio. L’esempio forse più eclatante è quello di 3BMeteo, che il 27 agosto ha pubblicato una nota dal titolo “Abbiamo sbagliato troppo, lo sappiamo”, scusandosi per le performance «inferiori agli standard» e i «tanti errori, troppi errori». L’intento del comunicato, dice Betti, «è apprezzabilissimo e dovrebbe essere un esempio per molti; in passato ho lavorato per 3BMeteo, ci sono professionisti seri che stimo molto». In generale, però, «bisogna ricordare all’utenza che la previsione non sarà mai perfetta. Le scuse devono essere tarate alla difficoltà della previsione. Non posso giustificarmi dopo qualsiasi errore. Quel margine di incertezza non lo elimineremo mai, soprattutto a causa dei cambiamenti climatici».
Tolto l’aspetto comunicativo, nel 2024 il lavoro del meteorologo è più semplice rispetto a trent’anni fa: «Merito delle tecnologie e dei modelli avanzati. Una volta, letteralmente, osservavano le nuvole e speravano di dedurre qualcosa». Il tema spinoso è un altro, ossia l’assuefazione del pubblico alle previsioni troppo dettagliate e incompatibili con un clima sempre più imprevedibile. «Ora c’è chi propone previsioni orarie, a distanza di più giorni: è quasi impossibile capire cosa succederà a una determinata ora tra cinque giorni a San Donà di Piave. Se le persone si abituano a certi livelli, diventa molto difficile fare questo mestiere. A questo, come se non bastasse, si aggiunge il cambiamento climatico con le sue variabili “impazzite”», conclude Giulio Betti.