L’emergenza è oggi L’importanza politica e sociale degli studi di attribuzione

La cosiddetta “scienza dell’attribuzione” cerca di rispondere alla domanda: il riscaldamento globale c’entra con un dato evento meteorologico estremo? È un interrogativo fondamentale per rendere il cambiamento climatico sempre più concreto agli occhi dei cittadini. Ma la velocità di pubblicazione di queste ricerche resta al centro del dibattito

Guido Calamosca / LaPresse

Un paesaggio arido e lunare. Nell’entroterra della Sicilia, mentre l’Emilia-Romagna è sott’acqua a causa della tempesta Boris, le capre al pascolo masticano erba secca e bevono l’acqua in stagni fangosi. 

A maggio 2024 il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza per la siccità sull’isola. A settembre il World weather attribution ha pubblicato la sua ultima analisi: la siccità che ha colpito Sicilia e Sardegna, tra luglio 2023 e agosto 2024, è stata resa il cinquanta per cento più probabile dal cambiamento climatico causato dalle attività umane. Lo studio è uno dei sempre più numerosi lavori di attribuzione, analisi che cercano di rispondere alla domanda: il riscaldamento globale c’entra con un dato evento meteorologico estremo? 

Rispondere, di volta in volta, a questo interrogativo è (e sarà) fondamentale per progettare misure di adattamento, stabilire i risarcimenti associati a un disastro ambientale e risolvere i contenziosi legali associati al clima. Da qualche anno, poi, si discute della velocità di pubblicazione di queste ricerche: fornire un esito nel più breve tempo possibile risulta incompatibile con il processo di revisione accademica (peer-review), ma ridurre i tempi di pubblicazione permette di influenzare l’opinione pubblica e le decisioni politiche nei momenti immediatamente successivi a una catastrofe, quando la sensibilità al tema è più elevata. Occasioni in cui scienziati e scienziate mostrano il loro, sottovalutato, ruolo politico e sociale. 

A sostenere questa posizione è Friederike Otto, climatologa dell’Imperial College di Londra e tra le fondatrici del World weather attribution. «Se noi scienziati non diciamo nulla, altre persone risponderanno a quella domanda non basandosi su prove scientifiche, ma su qualunque sia la loro agenda. Se vogliamo che la scienza faccia parte della discussione, dobbiamo dire qualcosa rapidamente», ha detto in una pubblicazione divulgativa sul tema uscita su Nature.

Alla base della scienza dell’attribuzione c’è una premessa necessaria a qualsiasi discorso sul legame tra crisi climatica ed eventi meteorologici estremi: clima e meteo non sono la stessa cosa. Il clima è la media delle condizioni meteo misurate su periodo abbastanza lungo – di solito trent’anni – per poter catturare la variabilità interna del sistema. Il meteo, invece, fornisce indicazioni giornaliere o su tempi molto brevi. Nonostante le differenze, clima e meteo sono ovviamente in relazione: non solo gli eventi meteo sono alla base della definizione di clima, ma se il clima cambia anche leggermente, ad esempio la temperatura media aumenta di “solo” 0,1°C, anche la variabilità delle condizioni meteo può risentirne. 

Ci potrebbero essere più giorni con temperature elevate, ma comunque misurabili in un clima senza il riscaldamento globale (naturale variabilità), e giorni talmente caldi da potersi verificare solo in un clima surriscaldato. L’idea alla base della scienza dell’attribuzione è proprio cercare di capire in quale dei due casi classificare un fenomeno meteorologico estremo. 

È iniziato tutto nel 2003: la temperatura media della Terra era circa 0,6°C in più rispetto all’era pre-industriale (ora siamo a +1,2°), e quell’estate fu – all’epoca – la più calda mai registrata in Europa. Il caldo provocò la morte di decine di migliaia di persone e qualche mese dopo, nel 2024, venne pubblicato su Nature il primo studio di attribuzione. L’esito permise di affermare che il cambiamento climatico aveva reso quella ondata di calore almeno due volte più probabile di quanto non lo sarebbe stata in un clima senza emissioni antropiche. Da quella prima analisi, il settore degli studi di attribuzione è cresciuto non solo nel mondo accademico, ma anche tra media, governi e i tribunali. 

L’importanza politica e sociale di questi lavori è duplice: permettono agli scienziati di fare affermazioni specifiche (questa siccità, in questo preciso momento e luogo, è stata aggravata dal cambiamento climatico) e consentono alle persone di collegare il concetto apparentemente astratto del cambiamento climatico con esperienze personali e tangibili legate al meteo.

Tuttavia, comunicare i risultati di uno studio scientifico alla società non è mai facile, soprattutto quando a trasmetterli sono media che prediligono titoli e linguaggi eclatanti. Nel campo della scienza dell’attribuzione, gli esiti delle analisi sono di solito espressi in termini di probabilità: ad esempio, il cambiamento climatico ha reso il cinquanta per cento più probabile la siccità in Sicilia e in Sardegna. «Le risposte fornite dagli studi di attribuzione non sono mai sì o no, ma sono sempre misure con un’incertezza associata», dice a Linkiesta Enrico Scoccimarro, ricercatore del Centro euro-mediterraneo sul cambiamento climatico (Cmcc).

Finora sono stati pubblicati centinaia di studi che analizzano eventi meteorologici estremi. Il risultato è una crescente quantità di prove che l’attività umana – la nostra dipendenza dalla combustione di carbone, petrolio, e gas – sta aumentando il rischio che si verifichino alcuni fenomeni estremi. Dal 2017 il sito britannico Carbon Brief che si occupa di scienza del clima e transizione energetica, aggiorna ogni cinque anni una mappa relativa agli studi di attribuzione: nel 2022, su cinquecentoquattro eventi meteorologici estremi, il settantuno per cento è stato reso più probabile o più grave dal cambiamento climatico causato dall’uomo.

A spiegare come vengono fatti questi studi è ancora Scoccimarro del Cmcc: «Esistono diversi modi per fare attribuzione, ma alla base di questo tipo di ricerche c’è sempre il confronto tra l’occorrenza dell’evento nel clima attuale e quella in un mondo di riferimento, di solito quello privo del segnale antropico. La differenza tra la probabilità che l’evento si verifichi in simulazioni con e senza cambiamento climatico indica quanto il fenomeno estremo possa essere attribuibile al riscaldamento globale».

Scoccimarro, poi, racconta una delle metodologie usate al Cmcc, che – semplificando – consiste nella valutazione delle specifiche condizioni meteo associate all’evento estremo (ad esempio la pressione, l’intensità dei venti o la temperatura) e nel successivo confronto con condizioni simili osservate in un passato recente, cioè da quando è iniziata la raccolta dei dati meteorologici con i satelliti (1979).

Scoccimarro sottolinea anche che uno degli aspetti su cui si sta lavorando è la tempestività. «Per risparmiare cinque giorni sulla valutazione, si possono fare analisi usando i dati di forecast, previsionali, associati a un evento prima che questo avvenga e per essere ancora più veloci, si sta cercando di sfruttare anche l’intelligenza artificiale». Presto gli stessi meteorologi potrebbero potenzialmente avere gli strumenti per rispondere alla domanda: c’entrano le nostre emissioni, siamo in qualche modo responsabili di questo particolare evento estremo?

Il dibattito nella comunità scientifica è in corso. Per alcuni scienziati sarebbe sbagliato se i meteorologi annunciassero i risultati prima che il lavoro fosse sottoposto a peer-review. Altri, invece, tra cui Otto dell’Imperial College e Gabriele Hegerl, climatologa dell’Università di Edimburgo, sottolineano che i metodi con cui si fa attribuzione sono già stati ampiamente revisionati e che sarebbe importante avere risultati disponibili rapidamente, come avviene per le previsioni meteo.

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