Se esiste un essere umano che possiede delle robuste competenze calcistiche, beh, quell’essere umano è Pep Guardiola. Ebbene, proprio Guardiola una volta ha detto che Carlo Mazzone era «un allenatore creativo, uno capace di vedere il campo come una tela e di disegnarci sopra, di attaccare e difendere gli spazi in modo sempre diverso, partita dopo partita».
Ecco, queste parole vanno a comporre un ritratto che potrebbe descrivere una buona parte dei migliori allenatori italiani: la flessibilità e il camaleontismo tattico sono delle abilità che vengono letteralmente inoculate, sotto forma di insegnamento curriculare, a chi frequenta il Supercorso di Coverciano, e quindi nel Centro tecnico federale gli aspiranti allenatori imparano il mestiere come se fosse un susseguirsi di inevitabili compromessi tra la realtà e le loro convinzioni – non a caso, viene da dire, Arrigo Sacchi ha fatto la rivoluzione negli anni Ottanta e Novanta proprio perché è riuscito a vincere cambiando le cose dall’interno, dogmatizzando e ideologizzando il gioco secondo la sua filosofia, rifiutando qualsiasi tipo di compromesso.
Il punto è che per inventarsi dei compromessi che fanno felici tutti, nel calcio, occorrono allenatori bravi. E magari anche creativi. Andrea Pirlo si rende conto di tutto questo, a sue spese, nella seconda metà dell’anno 2000, quando si materializza l’arrivo di Marco Tardelli sulla panchina dell’Inter. Alcuni mesi dopo, una volta che si sentirà tradito da un uomo-professionista che poteva essere considerato come uno dei suoi mentori, Andrea incontrerà Mazzone. Ed è grazie a quell’incontro che la storia verrà riscritta completamente: quella di Pirlo, ma anche – per estensione – quella dell’intero calcio italiano […].
Proprio Mazzone, dopo le prime settimane, percepisce il disappunto di Corioni per l’andamento del prestito di Andrea, utilizzato da trequartista al posto dell’infortunato Baggio con risultati deludenti, e allora attua una vera e propria manovra a tenaglia per cambiare le cose. Il suo è un lavoro composito fatto di estro, tempismo, lucidità: tutte doti che appartengono ai grandi creativi. Prima di tutto chiama il presidente e gli chiede un po’ di tempo, almeno di arrivare fino a giugno, per poter lavorare su Pirlo: la sua intenzione, dice, è quella di schierarlo in un nuovo ruolo.
Dopo aver ricevuto il via libera, l’operazione vera e propria inizia in una pizzeria di Coccaglio, piccolo comune alle porte della città, durante una cena a cui partecipa lo staff tecnico del Brescia. Mentre l’allenatore in seconda Leonardo Menichini sta tagliando in quattro una margherita, Mazzone smette di mangiare il suo calzone, guarda il suo vice negli occhi e gli chiede: «Che ne dici se spostiamo Andrea davanti alla difesa? Il ragazzo potrebbe anche giocare insieme con Baggio, potrei fargli fare la mezza punta dietro un attaccante. Ma vuoi mettere la sua qualità qualche metro più indietro, in verticale con Roberto?».
Menichini risponde di sì, anche secondo lui l’idea ha un senso, e allora il giorno dopo scatta la fase due del progetto: Mazzone spiega a Pirlo la sua nuova trovata e poi comincia a circuirlo con le parole, tenta di sedurlo annunciandogli che diventerà «il Falcão del Brescia», gli dice che i suoi dribbling «serviranno a evitare il pressing degli avversari», gli racconta come i centrocampisti di tutte le squadre che ha allenato, a cominciare dal suo Ascoli negli anni Settanta, facessero «cantare il pallone».
Infine Mazzone va all-in con tutto il resto della squadra, cioè comunica ai suoi calciatori di voler fare questo tentativo. E così, già a partire dalla gara successiva, il gioco del Brescia passa dai piedi di un nuovo regista, di un nuovo leader: Andrea Pirlo.
Tratto da “Andrea Pirlo, dalla testa ai piedi” (66thand2nd) di Alfonso Fasano, pp. 204, 17,10 €