G7 LavoroAl di là dei proclami, l’Italia resta la Cenerentola dell’intelligenza artificiale

I ministri delle sette potenze mondiali riuniti a Cagliari, discutono di Ai e invecchiamento attivo. Ma senza formazione adeguata, il nostro Paese resta indietro. L’Ocse parla della necessità di una «rivoluzione copernicana». Marcegaglia chiede programmi specializzati. Manca personale qualificato per la transizione digitale, eppure la ministra Calderone dipinge una realtà completamente diversa

LaPresse

Serve una «rivoluzione copernicana» sugli investimenti nella formazione, se si vogliono davvero affrontare le sfide poste al mondo del lavoro dall’intelligenza artificiale e dall’invecchiamento della popolazione. Oltre gli stanchi riti e le dichiarazioni ufficiali del G7 Lavoro a Cagliari, è questa la richiesta rivolta all’Italia che arriva sia dall’Ocse sia dagli imprenditori. Proprio nello stesso giorno in cui l’Istat ha registrato un calo delle ore lavorate nel secondo trimestre, legato alle numerose crisi dell’industria italiana.

I ministri del Lavoro delle sette grandi potenze economiche mondiali produrranno una dichiarazione finale comune sulle linee guida per affrontare intelligenza artificiale e calo demografico. Ma poi dovranno essere i singoli Paesi a mettere in pratica la teoria. E sono formazione e competenze dei lavoratori, vero tallone d’Achille italiano, il filo rosso che lega tutti i dibattiti con gli esperti che si aggirano tra i corridoi del Palazzo Regio di Cagliari.

«Al di là dei principi, serve un piano reale sull’intelligenza artificiale con pratiche applicabili», dice Stefano Scarpetta, direttore del dipartimento per il lavoro, l’occupazione e le politiche sociali dell’Ocse. «I lavoratori con competenze alte saranno complementari con l’intelligenza artificiale, quelli che invece rischiano di più sono i lavoratori con basse qualifiche». Ecco perché, spiega, serve «una rivoluzione copernicana» sugli investimenti nella formazione. «L’Italia investe ancora troppo poco. Serve maggiore sostegno soprattutto su chi ha più bisogno di formazione, dagli anziani ai lavoratori delle piccole imprese».

Anche Emma Marcegaglia, presidente degli imprenditori del Business 7, parla della necessità di riformare i sistemi educativi «per sviluppare, in stretta collaborazione con il settore privato, programmi di formazione specializzati per allinearsi alle esigenze emergenti del mercato del lavoro». Il che comporta, ha detto, anche «attuare politiche attive del mercato del lavoro», con «una stretta collaborazione con le imprese per identificare le lacune del mercato e offrire una formazione più accurata».

La ministra del Lavoro Marina Calderone, a margine del G7, ha tenuto due bilaterali con l’omologo tedesco Hubertus Heil e la viceministra britannica Alison McGovern. Con Heil, Calderone aveva già sottoscritto a inizio 2024 una dichiarazione comune di intenti centrata sullo scambio di esperienze e buone pratiche sulla formazione duale e professionale, tema su cui l’Italia ha tanto da imparare dalla Germania. Anche questa volta – fanno sapere dallo staff della ministra – i due hanno parlato di questo.

Perché l’Italia, tra i big del G7, è ancora molto indietro. Il rapporto sul Decennio Digitale 2024 evidenzia che solo il 45,8 per cento della popolazione possiede competenze digitali di base, ben al di sotto della media Ue del 55,6 per cento. Secondo Confartigianato, sul mercato mancano trecentosessantaduemila specialisti capaci di gestire l’intelligenza artificiale. E la transizione digitale delle imprese italiane rischia uno stop, accumulando un pericoloso ritardo rispetto ai competitor stranieri, proprio per la crescente difficoltà di reperire personale qualificato.

«C’è la consapevolezza che l’innovazione vada accompagnata con la formazione continua e permanente», ha ripetuto Calderone alla fine della prima giornata dei lavori del G7. Ma in quasi due anni di governo, non si sono fatti passi avanti. E i bassi livelli di partecipazione degli italiani nelle attività formative sono addirittura peggiorati nell’ultimo anno, scendendo al 9,6 per cento (-0,3 per cento rispetto all’anno precedente), a fronte di un valore medio europeo del 11,9 per cento.

Né si vedono gli effetti del programma Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) del Pnrr e della riforma del reddito di cittadinanza voluta dalla ministra Calderone. Finora nel Supporto per la formazione e il lavoro sono state coinvolte solo centoquarantamila persone, meno della metà dei potenziali destinatari. E secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, solo trentamila hanno trovato un lavoro tramite la piattaforma Siisl. Resta il problema dei corsi di formazione a catalogo offerti ai candidati, lontani anni luce dal mondo produttivo dei territori. E il mismatch rispetto alle assunzioni previste resta poco sopra il cinquanta per cento.

Eppure la ministra Calderone, alla vigilia del G7 nella sua città natale, ha fatto un salto all’assemblea dei consulenti del lavoro, di cui è stata presidente nazionale per diciassette anni per poi lasciare l’incarico al marito una volta promossa al governo), dicendo con giubilo: «È finalmente la traduzione di un sogno quello di vedere veramente funzionare le politiche attive e l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e soprattutto veder funzionare anche la formazione orientata al lavoro». Tra i suoi ex colleghi consulenti e tra nuovi colleghi ministri delle sette grandi potenze mondiali nessuno, però, se ne è accorto.

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