Diet cultureQuando impareremo davvero a mangiare bene?

L’industria alimentare lo sa: siamo sempre più psicologicamente bisognosi di conferme e spesso le cerchiamo in soluzioni comode e veloci. Oggi il marketing risponde a tutti quei consumatori alla ricerca di cibo più proteico e privo di una serie di elementi e ingredienti che riteniamo dannosi per la nostra salute e la nostra estetica

Le parole sono importanti, ci rassicurano, ci indicano la via da seguire, ci sollevano dalle responsabilità. Chi fa marketing lo sa: le parole non sono elementi di uno slogan pubblicitario messe lì a caso, ma rappresentano la struttura portante di un percorso costruito ad hoc per essere efficace. «C’è solo una strategia vincente: definire con cautela un target di mercato e spingerne un’offerta superiore. La cosa più importante è prevedere le necessità dei clienti e proporre soluzioni ai loro problemi». Philip Kotler è il padre indiscusso del marketing e le sue indicazioni sono chiare: il cliente è al centro di tutto, con le sue necessità, i suoi bisogni e anche le sue insicurezze, potremmo aggiungere. 

Sicuramente non c’è nulla di nuovo: il mercato, da quando esiste l’uomo, è stato caratterizzato da una domanda e un’offerta in continuo dialogo tra di loro e il marketing, sebbene teorizzato solo relativamente di recente, è sempre stato utilizzato dai venditori, che, applicando tecniche più o meno valide, hanno guidato i consumatori verso quel prodotto o quell’altro. È nato prima l’uovo o la gallina ci sarebbe da chiedersi? È l’offerta che spinge la domanda o viceversa? «Il marketing » — spiega Giuseppe Segreto, semiologo e professore all’Università di Siena — «deve inevitabilmente studiare la società, le sensibilità, i valori, i comportamenti, i bisogni, i desideri. E questa cosa è forte, è sempre più forte. È un gioco, un riflesso a due vie. Non è solo l’industria alimentare che condiziona i comportamenti di acquisto e le scelte alimentari, ma sono anche i valori, i bisogni, i desideri, le sensibilità che cambiano a condizionare l’industria alimentare». 

Marketing e cibo, scelte consapevoli e/o consumi dettati dalle mode: il comparto alimentare, ovviamente, come tutto il resto segue l’andamento della società, con i suoi pregi e difetti, con i suoi cambi culturali, le mode e gli stili di vita. Non fa eccezione, ma anzi, forse più di altri settori è condizionato da tutta una serie di fattori, ritrovandosi sempre sotto i riflettori. Da più di una ventina d’anni, infatti, il cibo gode di un successo senza uguali, se ne parla, se ne discute di continuo, ma, più di tutto, il cibo stesso è in grado di raccontare la società, le sue sfumature e la sua storia. Ecco da cosa è nata, quindi, questa riflessione sul settore alimentare, i consumi e il marketing. 

In questi giorni siamo stati sommersi da post sui social e da articoli che parlavano, ad esempio, di un unico argomento: la Nutella vegana. No, questo non vuole essere un altro, ennesimo articolo sulla novità di casa Ferrero, ma in qualche modo da lì vogliamo partire per un’analisi su questo mercato, condizionato, e tanto, dalle parole e dalle definizioni. La Nutella veg è, infatti, semplicemente un nuovo prodotto nel mercato, non un barattolo più sano in affondare il cucchiaio e strafogare i nostri dispiaceri. E forse non è adatto neppure a chi segue una dieta vegana, in quanto al suo interno può contenere tracce di lette, come recita l’etichetta. E allora? 

Le parole sono importanti, abbiamo scritto all’inizio di questa riflessione e se andiamo a fare un giro con più attenzione in un qualsiasi supermercato, ci renderemo subito conto di come, negli anni siano cambiate le cose, seguendo per l’appunto i fenomeni culturali e i cambiamenti della società. Oggi, ad esempio, siamo molto concentrati sulla sostenibilità e, se è vero che i numeri sono importanti, allora dobbiamo considerare che circa ventidue milioni di italiani mangiano cibo plant based, con un giro di affari di circa cinquecento milioni di euro, secondo quanto riporta uno studio di Unione Italiana Food. L’Italia poi è terza in Europa per consumi green, con una sensibilità verso il tema soprattutto da parte delle generazioni più giovani. Bene, potremmo dire: l’ambiente è importante e finalmente ce ne stiamo rendendo conto. «Il settore vegano è diventato un drive di consumo di marketing potentissimo, tanto da far capitolare anche la Nutella, che è forse tra tutti i prodotti era quello ad aver mantenuto da sempre la sua purezza e il suo distacco nei confronti delle pressioni del mercato» — continua Segreto. Ed effettivamente, anche quando tutti facevano la lotta all’olio di palma, la Ferrero è rimasta fedele al suo prodotto iconico e tradizionale, lasciandolo in bella mostra nella lista degli ingredienti. Il mercato è cambiato, quindi, e bisogna adeguarsi, anche se sei la crema alla nocciola per eccellenza, quella che desta passioni, sregolatezze e desiderio. I consumatori sono cambiati, punto, e, sulla carta, in meglio: sono più responsabili e attenti al pianeta in cui vivono. 

Continuiamo però a parlare di numeri. Un’altra indagine, fatta la scorsa primavera sempre da Unionfood, ha evidenziato che solo il sette per cento degli italiani mangia le cinque porzioni di frutta e verdura al giorno consigliate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e che nel contempo il comparto degli integratori ha raggiunto lo scorso  anno un fatturato di quasi cinque miliardi di euro, con una crescita rispetto agli anni precedenti. Italiani attenti a un consumo più green sì, ma che dimenticano le basi di quella che dovrebbe essere la dieta mediterranea e i suoi benefici, andando ad alimentare un comparto che sembra solo teoricamente essere più sano, ma che in fondo, probabilmente, è messo su ad arte da strategie di marketing che sanno come creare bisogni e desideri dei consumatori. Senza considerare la spinta di una flotta di fit influencer che puntano tutto sullo spirito di emulazione: fai come me, mangia quello che mangia io e diventerai come me. 

Non è solo il vegano ad aver incrementato i suoi volumi d’affari, infatti, ma anche tutte quelle categorie di prodotti che riportano nelle confezioni le parole “proteico”, “senza glutine” o “senza lattosio”, giusto per fare qualche esempio. Ora, se per alcune intolleranze o patologie ai consumatori deve essere fornita un’assoluta garanzia di sicurezza alimentare, è anche vero che esiste una tale disinformazione e mancanza di cultura della materia, che spesso ci nutriamo in modo inconsapevole o spinti dalla fiducia che riserviamo a fantomatici “fuffaguru” trovati sui social, pronti a darci l’ennesimo sistema miracoloso per ridurre i chili di troppo, disinfiammare il corpo e farci stare meglio. La società è cambiata rispetto ai tempi passati, come è giusto che sia, e se prima, infatti, la magrezza era associata a uno stato di indigenza anche economico, oggi è tutto il contrario e ci ritroviamo a seguire diete impossibili e spesso dannose, andando ad alleggerire anche il portafogli, oltre ai chili sulla bilancia. 

Giulia Biondi, biologia della nutrizione e docente di Alimentazione e Chimica degli alimenti, che abbiamo avuto già modo di intervistare sulle manie da detox prima delle feste, ogni giorno cerca sul suo profilo social di sfatare alcuni miti e fare corretta divulgazione sui principi dell’alimentazione, al di là di quelle che sono oggi le mode. Sul suo ultimo libro, La Dispensa di Bilianciamo possiamo leggere alcuni stralci che ben rappresentano la situazione attuale. «Lascia perdere tutte quelle chiacchiere su picco glicemico, insulina, carboidrati banditi a colazione e proteine come se non ci fosse un domani; molto spesso non hanno nessun senso. Evitiamo questo terrorismo alimentare perché neppure una crostatina alla marmellata confezionata o un plumcake, se consumati con la giusta frequenza e quantità, ci possono avvelenare o far ingrassare. «Sano» non vuol dire sentirsi in colpa, ignorando cosa stai mangiando, non è desiderare una porzione di pandoro e finire per consumare due chili di pancake proteici perché tanto quelli sono senza latte, senza uova, senza zucchero, senza vita! Adesso basta parlare di sensi di colpa e di sgarri, perché non stiamo venendo meno ad alcun dovere né siamo dei malavitosi che hanno appena ucciso un rivale. La moda ci vuole senza lattosio oppure vegetariani o vegani banalizzando magari quella che può essere una valida scelta etica o una necessità legata a un’intolleranza. Il mercato dei prodotti «light», dal punto di vista nutrizionale, ha spesso toppato, però funziona alla grande nel marketing: quel misero guadagno di calorie, barattate con il gusto e un reale valore nutrizionale, riesce ancora a convincere moltissimi consumatori. Ma questi prodotti fanno bene? Non direi, anche perché, togliendo i grassi, viene meno la sensazione di sazietà, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Poi, l’abbiamo già visto, noi abbiamo bisogno di grassi così come abbiamo bisogno di carboidrati, proteine e fibre. Esiste, infatti, un’elevata variabilità tra i valori nutrizionali delle diverse tipologie sul mercato, ma fermi tutti: le differenze tra i prodotti pubblicizzati come «salutari» e quelli «normali», tra quelli con o senza glutine sono minime. Quindi, queste diciture non sono un reale segnale della qualità nutrizionale dell’alimento. Dalle farine aromatizzate alle barrette proteiche, dalle bevande zero ai budini proteici e alle proteine in polvere. Molte persone consumano quotidianamente troppi dolcificanti senza rendersene conto. Risultato? Gonfiore addominale e alterazione del microbiota intestinale con relativa disbiosi, che non è poi così piacevole e semplice da riequilibrare. Proprio così: tra le conseguenze dell’uso smodato di dolcificanti e proteine vi sono la pancia gonfia e la produzione di gas intestinali dall’odore malefico». 

Biondi ci avverte, spesso è solo marketing e la colpa non può essere attribuita alle aziende che cercano di vendere i loro prodotti, ma è da imputare soprattutto alle persone che oggi hanno i mezzi per informarsi, ma si lasciando ammaliare da scelte facile, che ingannano e placano le coscienze. Forse perché i social ci hanno reso tutti un po’ più spaventati e alla ricerca costante di qualcosa che sia la panacea di tutti i mali. Chi vende lo sa e lo sa bene: dai corsi ai prodotti per dimagrire, agli scaffali dei supermercati. 

 

«Qualche giorno fa sono stata intervistata per commentare l’aumento dei casi di intolleranza al lattosio» — spiega la nutrizionista. «La realtà è che i dati vengono presi dalle risposte di persone che magari non hanno neppure mai fatto il breath test (unica diagnostica per accertare l’intolleranza al lattosio), non dai laboratori. Oggi si fa terrorismo sull’assunzione di lattosio, sull’assunzione di glutine, portando anche a peggiorare l’alimentazione delle persone. Perché devo togliere il lattosio o comunque una categoria di alimenti, che magari possono avere uno scopo preventivo? Il latte ha un ruolo protettivo latte e nelle linee guida abbiamo tre porzioni da centoventicinque grammi e questa è la prevenzione: non dobbiamo eliminarlo perché abbiamo la tiroide, l’endometriosi o chissà cosa, perché questo non è presente in nessuna linea guida di società, di medicina, di endocrinologia o di ginecologia». Ci lasciamo abbindolare da chi ci dice che quello specifico ingrediente fa male e prendiamo per oro colato quello che troviamo in giro nel web, senza spirito critico. Perché? Perché forse è più comodo e più veloce. E se un tempo era la religione l’oppio dei popoli, oggi forse è la dieta: la nostra società è infatti caratterizzata da quella che è stata definita la diet culture. Ci crediamo, senza se e senza ma, senno che atto di fede sarebbe? 

I carboidrati sono il male, l’eliminazione è la nuova regola dell’alimentazione. A patto, però di non eliminare le proteine, quelle sì che devono abbondare nel nostro schema quotidiano: «Andando a leggere attentamente le etichette, ci rendiamo conto che le aggiunte spesso sono ridicole. A volte vengono enfatizzati come proteici alcuni alimenti che già di per se proteici lo sono e ne vengono demonizzati altri che comunque lo sono, come la pasta». 

La mozzarella proteica, l’acqua con il collagene, la pasta ai legumi con percentuali bassissime degli stessi: il mercato abbonda di prodotti che ci mette sotto il naso facendoci credere di riuscire a nutrirci meglio e che costano, ovviamente, anche di più. Tutti i prodotti veg, ad esempio, hanno costi più alti di produzione, dovuti anche alla composizione, che ha un contenuto maggiore di acqua e regole diverse per la conservazione. «Alle persone va spiegata la materia. Molti si lamentano dei biscotti mangiati a colazione, quando poi in realtà i problemi nascono dalla totalità dell’alimentazione e da una vita sedentaria». Le diete cambiano e rispondono a precetti culturali ben precisi: «C’è stato un tempo in cui erano i grassi a farci ingrassare, poi le proteine, che adesso invece sono il meglio in assoluto. Il problema però è legato alla mancanza di professionalità di tanti professionisti, che seguono tendenze che arrivano da oltreoceano e che evadono da qualsiasi linea guida di evidenza scientifica accolta» — puntualizza ancora Biondi. 

Falda nella conoscenza, facile impressionabilità, bisogno di far parte di una cerchia sociale che condivide gli stessi valori. Il marketing non è il male, ma asseconda il flusso secondo i suoi bisogni. Forse, da un punto di vista etico, preferiremmo fosse coinvolto in percorso pedagogico più strutturato, ma dovremmo fare tutti un mea culpa e sforzarci di andare alla fonte delle informazioni o per lo meno cercare di non farci ammaliare da chi magari non è davvero titolato per darci consigli alimentari. 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter