Tutto e il contrario di tuttoI paradossi della leadership che sfidano le leggi della logica

In “Essere leader in un mondo complesso” (Egea), Alessandro Cravera mette in evidenza le contraddizioni di un concetto ambiguo, che può racchiudere in sé tanto il bene quanto il male, diventando potenzialmente nocivo

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Una delle leggi fondamentali della logica classica è il principio di non contraddizione in base al quale non è possibile che una certa proposizione A e la sua negazione, cioè non-A, siano entrambe vere allo stesso tempo e nello stesso modo. Come ha scritto Aristotele nella Metafisica: «è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo».

Quindi, se A equivale a «veloce», possiamo applicare il principio di non contraddizione in questo modo: affermazione: «Quest’auto è veloce». La negazione di questa affermazione sarebbe: «Quest’auto non è veloce» (cioè, è lenta). Il principio di non contraddizione stabilisce quindi che una cosa non può essere contemporaneamente veloce (A) e lenta (non A) nello stesso contesto. Nello stesso modo se A è una «persona che fa del bene», il principio di non contraddizione si applica in questo modo: affermazione: «Questa persona lavora per fare del bene». La negazione di questa affermazione sarebbe: «Questa persona non lavora per fare del bene» (cioè, fa del male). Anche in questo caso la logica ci dice che A non può essere equivalente a non-A.

Il concetto di leadership, per come è stato storicamente considerato e per come si è evoluto nel tempo, sfida il principio di non contraddizione. Riprendiamo i tre aspetti che rappresentano il minimo comune denominatore del leader: ha un’influenza sugli altri; ha un gruppo di seguaci/follower indica una direzione/obiettivo e ha l’ultima parola sulle decisioni. Applicando questi criteri possono essere considerati leader personaggi tra loro molto diversi, addirittura opposti. Ecco, quindi che Hitler e Gandhi o Nelson Mandela rappresentano esempi storici di leadership. È quindi possibile far rientrare nella definizione di leader tutto e il contrario di tutto, il bene e il male, A e non-A.

In altri campi non ci sogneremmo mai di inserire nella stessa categoria persone con fini e caratteristiche così diversi. Per esempio, non ci viene naturale assimilare nella stessa classe ladri e poliziotti. Sono figure con comportamenti, valori, tratti di personalità e competenze molto diversi tra loro e, per certi versi opposti. In questo caso il principio di non contraddizione non viene messo in minima discussione. Ciò non accade per il concetto di leader. Infatti, in letteratura si è soliti distinguere tra leader positivi e leader negativi, tossici e distruttivi. In questo modo è possibile spiegare la leadership di figure come Josif Stalin, Pol Pot o Nicolae Ceaușescu.

La storia è ricca di esempi di leader positivi e di leader negativi e finora abbiamo accettato questo fatto come ineluttabile. Come abbiamo visto, è stato tradizionalmente considerato leader colui che è stato in grado di influenzare gli altri (i follower/seguaci) verso un obiettivo comune, qualunque esso fosse. L’aspetto valoriale ed etico esulavano dal concetto di leadership. Abbiamo considerato leader tutti coloro che hanno indicato una via e hanno portato un gruppo di persone a conseguire l’obiettivo fissato dal leader. Solo due aspetti sono considerati fondamentali per considerare una persona un leader: avere un seguito su cui esercitare un’influenza e raggiungere un obiettivo.

Pensiamo per un istante ai leader che hanno rappresentato la storia in campo politico, sociale e aziendale. Molti dei nomi che affiorano nella nostra testa sono senz’altro esempi di leadership efficace perché sono riusciti ad avviare un’evoluzione positiva del contesto che hanno guidato. Molti altri, però, sono esempi distruttivi che hanno avuto un’influenza enorme ma con la loro azione hanno peggiorato il contesto entro cui esercitavano la loro influenza.

Per spiegare queste figure ci siamo dovuti inventare i concetti di leadership distruttiva e leadership tossica. Con la prima si intende generalmente un tipo di leadership che porta a conseguenze negative o distruttive per un’organizzazione e i suoi membri, o una società e i suoi cittadini. Hitler, Stalin e Pol Pot rientrano a pieno titolo in questa categoria di leader.

Con il termine leadership tossica ci si riferisce a comportamenti del leader dannosi e disfunzionali per i membri del gruppo o dell’organizzazione che sta guidando. L’uso di intimidazioni, abusi verbali, discriminazioni, o altre azioni che danneggiano le persone sono manifestazioni classiche della leadership tossica. L’effetto dei leader tossici sui team che guidano è la drastica riduzione dei livelli di fiducia e sicurezza psicologica. Queste figure con la loro azione orientata a un obiettivo compromettono la cultura aziendale o il clima sociale creando pesanti ripercussioni negative per il futuro. Harvey Weinstein, il produttore cinematografico coinvolto nei noti casi di abuso di potere e molestie sessuali, e per certi versi Elon Musk nell’acquisizione di Twitter e nella trasformazione in X, rappresentano esempi di leadership tossica.

Il fenomeno dei leader tossici non deve essere sottovalutato ed è più frequente di quello che normalmente si pensi. Anders Örtenblad riporta i risultati di alcune ricerche che, a seconda del metodo di stima, indicano una percentuale tra il 33,5 per cento e il sessantuno per cento di tutti gli intervistati che hanno dichiarato che i loro superiori immediati hanno mostrato una sorta di leadership distruttiva frequente negli ultimi sei mesi. Inoltre, il settanta per cento dei collaboratori intervistati avrebbe accettato di subire un taglio di stipendio se il loro superiore diretto fosse stato licenziato. Dati, questi, che devono fare riflettere su come l’attuale interpretazione della leadership possa avere impatti molto negativi nel team/organizzazione su cui viene esercitata.

Questa distinzione che permane tra leader positivi e negativi è molto pericolosa. Lo è stata storicamente e lo è oggi ancor di più perché il mondo è sempre più interconnesso e quindi ogni azione locale può avere impatti sistemici più rapidi e significativi rispetto al passato.

Inoltre, se ci limitiamo a considerare i tre aspetti fondamentali della leadership – influenza sugli altri, presenza di seguaci e focus su una direzione/obiettivo indicato dal leader – il vero rischio è che sempre più frequentemente arrivino ai posti di comando persone inadeguate le cui decisioni e i cui comportamenti possono avere effetti negativi sul sistema che dovrebbero guidare. Aspetti quali l’ambizione personale, l’ego, il desiderio di dominio e il narcisismo sono infatti elementi che nella visione tradizionale della leadership rischiano di giocare un peso enorme nella selezione dei futuri leader a discapito di chi avrebbe invece caratteristiche più funzionali a esercitare una leadership positiva. Come sottolinea lo storico Peter Burke: «Il guaio è che coloro che detengono il potere spesso mancano delle conoscenze di cui avrebbero bisogno mentre coloro che possiedono quelle conoscenze non hanno il potere».

Un secondo paradosso è che oggi spendiamo moltissimo in programmi di sviluppo della leadership ma otteniamo molto poco in termini di risultati. Le stime indicano che questo mercato a livello globale vale più di trecentosettanta miliardi di dollari. Una cifra mostruosa soprattutto se messa in relazione con i risultati raggiunti da questo grandissimo investimento economico. Alcune ricerche evidenziano l’attuale crisi di leadership. La Society of Human Resource Management Association dichiara per esempio che solo il trentotto per cento dei dipendenti afferma di essere soddisfatto del proprio ambiente di lavoro. E una survey condotta da Korn Ferry ci informa che per il trentacinque dei dipendenti la principale fonte di stress sul lavoro è il loro manager diretto. Esaminando inoltre il Global Trustworthiness Ranking 2022 elaborato da Ipsos si può vedere come il livello di fiducia nei business leader sia al ventitre per cento, al quart’ultimo posto su diciotto categorie e poco sopra la categoria dei politici che occupa l’ultimo posto con un livello di fiducia medio del dodici per cento.

Leadership appare oggi un concetto ambiguo, vago e potenzialmente nocivo. La soluzione non passa attraverso maggiori investimenti nella formazione perché abbiamo visto che nonostante i trecentosettanta miliardi di dollari spesi in programmi di sviluppo della leadership, l’efficacia dei leader non migliora e gli effetti nocivi secondari legati all’esercizio di leadership dentro e fuori le organizzazioni non sono trascurabili. Pensate a cosa accadrebbe se evidenze simili riguardassero altri ambiti professionali. Avremmo tollerato questi risultati se parlassimo di piloti di aereo o medici? Saremmo disposti a salire su un aereo con un pilota di cui ci fidiamo al venti per cento? O a seguire una cura di un medico con questo livello di affidabilità percepita?

Tratto da “Essere leader in un mondo complesso. Scegliere la direzione per persone e organizzazioni” (Egea) di Alessandro Cravera, pp.212, 24,61 €

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