Dissonanza cognitivaGli opposti anacronismi dei fan di Putin e Netanyahu

C’è una evidente alienazione in chi vede nel leader russo l’eroe dell’anti-imperialismo e nel presidente israeliano un nuovo Churchill, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

AP/Lapresse

Il conflitto mediorientale continua ad allargarsi, l’escalation appare ormai inarrestabile e nessuno sembra in grado non dico di fermare, ma nemmeno di condizionare le mosse di Benjamin Netanyahu. In un’intervista di ieri alla Stampa, il celebre studioso Gilles Kepel dava una spiegazione relativamente semplice del motivo per cui a Israele fosse consentito di violare tutte le possibili linee rosse: «Perché, assumendosene la responsabilità, fa il lavoro sporco al posto nostro e libera la scena di attori, come Hamas e Hezbollah, che nessuno rimpiangerà». Nemmeno i Paesi arabi, che pure «provano zero empatia per il 7 ottobre e denunciano ogni giorno il martirio di Gaza», ma guardano con favore al ridimensionamento della potenza regionale dell’Iran e delle sue milizie, come premessa di una prospettiva di pace.

Dagli spaventosi massacri di Gaza e del Libano, con l’annientamento di Hezbollah e la crisi del regime di Teheran, si aprirebbe insomma la possibilità di una pace con i sauditi, un Iran post-khomeinista e lo stato palestinese. Una sorta di gigantesca eterogenesi dei fini, per cui alla fine la spietata ostinazione di Netanyahu nel tentare di restare a ogni costo al potere, e fuori dalla galera, produrrebbe quella pace che pure proprio lui e il suo governo sembrerebbero allontanare per generazioni, non solo con le atrocità della guerra di Gaza ma anche con il via libera alle violenze dei coloni in Cisgiordania.

Mi torna in mente il cinico ritornello con cui i comunisti amavano giustificare qualunque crimine commesso nei paesi del socialismo reale – per fare una frittata occorre rompere delle uova – cui giustamente i dissidenti obiettavano di avere visto moltissime uova rotte, ma di non avere mai assaggiato la frittata. Temo che sarà così anche in questo caso. Quello che però mi colpisce di più nel dibattito su Israele, e specialmente in certi argomenti dei sostenitori di Netanyahu, è una forma di strana specularità rispetto alle discussioni sull’Ucraina.

Mi pare di intravedere una curiosa simmetria tra la dissonanza cognitiva di chi, a sinistra, vede in Vladimir Putin il campione del fronte anti-imperialista e l’abbaglio di chi, tra conservatori e liberali di varia estrazione, si ostina a vedere in Netanyahu il difensore della liberaldemocrazia occidentale. Ovviamente non sto suggerendo alcuna equiparazione tra i due, le differenze sono troppo numerose ed evidenti, tanto meno tra la democrazia israeliana e il regime russo, e neanche tra i due conflitti, semplicemente incommensurabili, anzitutto se guardiamo alla loro genesi: da un lato la crisi ucraina, il conflitto più semplice e lineare degli ultimi cento anni; dall’altro la crisi mediorientale, forse la vicenda più intricata e controversa della storia umana.

Quello che mi colpisce è l’analoga cecità, dissonanza cognitiva, trovate voi l’espressione più giusta, che sembra caratterizzare i loro sostenitori europei, e italiani in particolare. Per confondere Putin con Che Guevara ci vuole lo stesso grado di alienazione necessario per scambiare Netanyahu per Winston Churchill. Direi decisamente sopra il livello di guardia.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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