Premiata da Elon MuskLa grande scoperta della Meloni trumpiana

La presidente del Consiglio, a New York per l’assemblea generale dell’Onu, riceverà il Global Citizen Awards del think tank Atlantic Council dalle mani del patron di X. Sembra che sia finalmente arrivato il momento del risveglio e della consapevolezza dopo tanti articoli sull’evoluzione euro-atlantista della nostra premier, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

(La Presse)

Da giorni diversi quotidiani, non solo italiani, dedicano articoli più o meno costernati all’inaspettata scelta di Giorgia Meloni, che oggi sarà a New York per l’Assemblea generale dell’Onu e dovendo ricevere un’onorificenza dall’Atlanti Council ha deciso di farsela consegnare, pensate un po’, dal suo grande amico Elon Musk. L’uomo che ha trasformato Twitter, ora X, nella sentina di tutte le peggiori follie estremiste e il suo personale account in quello del più scatenato propagandista trumpiano (tanto da essere finito perfino sotto indagine dei servizi segreti per un tweet, poi cancellato, in cui si domandava come mai nessuno attentasse alla vita di Joe Biden e Kamala Harris).

A poco più di un mese dalle elezioni per la Casa Bianca, la scelta non poteva passare inosservata. Sembra insomma che sia finalmente arrivato il momento del risveglio e della consapevolezza, dopo tanti articoli sull’evoluzione euro-atlantista della nostra presidente del Consiglio, che hanno accompagnato e favorito la sua legittimazione in Europa da parte di Ursula von der Leyen, ma anche da parte dell’amministrazione Biden, piacevolmente colpita dalla sua ferma posizione sull’Ucraina (già, peccato: è stato bello finché è durato).

«La maggior parte dei leader europei», scriveva sabato il Financial Times, «è preoccupata per la possibilità che Donald Trump ritorni alla Casa Bianca. Ma a Roma questo scenario è visto come un vantaggio per una leader politica con legami di lunga data con il mondo Trump: Giorgia Meloni». Quanto poi tali legami siano stretti e quanto pesi la concorrenza di Matteo Salvini anche in questo campo è un dettaglio secondario: è il pensiero che conta.

Intendiamoci, Musk condivide diverse caratteristiche con gran parte dei proprietari delle grandi piattaforme, compresi quelli che amano presentarsi come fior di progressisti. A cominciare da una certa inclinazione a utilizzare la bandiera della libertà di espressione per difendere la libera diffusione di disinformazione, istigazione all’odio e anche di peggio nel dibattito pubblico delle democrazie occidentali, unita a un atteggiamento assai meno rigido, in proposito, con i regimi dittatoriali e autocratici in cui effettivamente la libertà di parola non c’è, e dove questi sceicchi del web non sembrano così ansiosi di portarla.

Ma a tutto questo Musk aggiunge una partecipazione attiva e un impiego sempre più spregiudicato dei grandi mezzi in suo possesso a favore di quel movimento MAGA (Make America Great Again) che, se possibile, come ricorda Ezra Klein sul New York Times, è perfino più pericoloso di Trump. «Siamo nel processo della seconda rivoluzione americana, che rimarrà incruenta se la sinistra lo permetterà», ha detto ad esempio Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation, che ha supervisionato il famigerato Progetto 2025 con cui i trumpiani si ripromettono di «piegare o spezzare la burocrazia secondo la volontà presidenziale». Cioè riempire le istituzioni di gente pronta a negare la vittoria elettorale degli avversari e fare di tutto per sovvertire l’esito del voto.

Dinanzi a una simile prospettiva, si può solo sperare che abbia ragione lo studioso della destra americana Matthew Continetti, quando si dice convinto del fatto che «pochissimi piani sopravvivono al contatto con Trump». Senza contare il grande divario, segnalato da Klein, tra «il leader del MAGA che è andato a letto con una pornostar e le fazioni del movimento MAGA che vogliono mettere al bando la pornografia, come ha proposto Roberts nella prima pagina del Progetto 2025». Da questo punto di vista, gli estremisti raccolti attorno a Trump, e aizzati da Musk e dagli altri facoltosi estremisti dietro di lui, non rappresentano un effetto collaterale, ma la minaccia principale alla democrazia occidentale. La scelta di campo di Meloni, del resto perfettamente coerente con la sua storia e i suoi attuali rapporti con Viktor Orbán, il padre della «democrazia illiberale», dovrebbe chiudere ogni discussione in buona fede riguardo alla sua identità e ai suoi obiettivi.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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