La Valpollicella sconosciuta Il suolo al centro del pensiero di un Master of Wine

Nella nostra chiacchierata con Andrea Lonardi, uno dei tre italiani ammessi al prestigioso istituto britannico, abbiamo scoperto la sua predilezione per vitigni tipici del territorio veronese come la Corvina, difficili in vigneto e cantina ma di grande soddisfazione per il palato

Andrea Lonardi

Andrea Lonardi MW, nato in Valpolicella nel 1974, si è laureato in agraria all’Università di Bologna, ha poi seguito un master in controllo di gestione alla Grande Ecole di Montpellier che gli ha aperto le porte prima a una collaborazione con la Washington State University, quindi a una lunga carriera manageriale. Dopo gli stage formativi in Languedoc e Sonoma, Lonardi entra nella Top Wine Division del Gruppo Italiano Vini, occupandosi di marketing and sales e sviluppando importanti progetti legati alla ristrutturazione viticola. Nel 2012 è pronto per una nuova sfida, nel ruolo di chief operating officer della Bertani Domains, oggi Angelini Wines & Estates, promuovendo il progetto di valorizzazione della library storica dell’Amarone Classico Bertani (The Library), i cru della Valpolicella nella Tenuta di Novare e il riposizionamento di Val di Suga a Montalcino, come espressione di tre terroir unici, sui tre versanti più vocati della Denominazione.

Quale è la sua zona del vino del cuore?
La Valpolicella.

Perché proprio questa?
Perché è un luogo con una energia speciale, dove c’è ancora moltissimo da fare e dove il percepito è completamente diverso dalla realtà (ma questo è la conseguenza dell’ultimo ventennio). È un luogo in cui il suolo, argomento al centro oggi del mio agire, è centrale insieme al vitigno per fare vini identitari.

Quando è stato lì per la prima volta cosa ha pensato?
Ci sono nato! Ma in realtà è quando ci sono tornato dopo quindici anni di esperienze fuori dalla Valpolicella che ho capito quanto questo territorio sia sottostimato. La Valpolicella, ma come anche altri areali veronesi, come Soave, possono fare vini salati. Questo è un carattere di grande identità e riconoscibilità.

Quali sono i vitigni che ama di più qui e perché?
La Corvina: è un vitigno che rappresenta il crocevia tra un Gamay, Pinot Nero e Syrah. Mi piace perché è difficilissimo in vigneto e in cantina. Lavorarci è come surfare su una lama taglientissima. È la ricerca dell’equilibrio la grande sfida. Sfida che richiede una dettagliata sensibilità tecnica. Nei migliori cru di calcaree ha un naso di spezie dolci, chinotto e cola. In bocca ha un tannino fitto e setoso.

Il Carmenere: in Valpolicella sul calcare diventa un vino elegantissimo, speziato e con un animo da Bordolese contemporaneo (niente a che vedere con quello cileno oggi famoso nel mondo). Il suo pepe e la sua amarena unitamente alla pienezza e volume nel mid-palate sono di favolosa piacevolezza.

Ci dice cinque posti (ristoranti ma anche luoghi naturali) che non si possono perdere venendo qui?
La chiesa di Santa Maria Valverde, dalla quale si vede tutta la Valpolicella classica ed il Lago di Garda. Poi le pievi romaniche di San Giorgio di Valpolicella e San Floriano, il Ponte de Veja e le cave di Prun. E per finire l’enoteca della Valpolicella.

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