Imparare a disimparareL’obsolescenza del sapere è la chiave della vera conoscenza

In “Università generativa” (il Mulino), Andrea Prencipe propone un modello di apprendimento accademico che mette al centro l'indagine e la sperimentazione

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Le prime università del mondo occidentale sono state fondate all’incirca novecento anni fa. Da allora, è trascorso un periodo attraversato da una pluralità di correnti intellettuali che sono nate, scomparse, ritornate. Si tratta di una successione fatta di continuità tanto quanto di discontinuità, in cui è difficile trovare le condizioni di una narrazione unitaria della storia del pensiero. 

La cultura, infatti, ha percorso nel tempo strade diverse e si è accresciuta e trasmessa anche al di fuori delle università, nei circoli letterari, negli epistolari, nelle piazze e presso le corti, nelle biblioteche e in molti altri ambiti e forme ancora. Per un tempo lunghissimo, tuttavia, le università hanno rappresentato il sapere costituito, hanno cioè identificato gli ambiti del sapere, determinato gli approcci e le metodologie della conoscenza, dettato, si potrebbe dire, le regole del gioco.

La missione delle università generative si concretizza nel conservare le qualità «umane» del pensiero, sapientemente integrate con le opportunità dettate dalla tecnologia. In altre parole, un’università generativa promuove un modello che sviluppi la capacità di interrogare la realtà con domande qualificate. Così facendo, le università potranno andare oltre la mera trasmissione di informazioni: inquadrare e risolvere problemi, incoraggiare la creatività e la curiosità, promuovere la capacità di gestire i cambiamenti […].

Funes el memorioso è un racconto del 1942 di Jorge Luis Borges incentrato su Ireneo Funes, un giovane che, in seguito a una caduta da cavallo, acquisisce la straordinaria capacità di ricordare tutto nei minimi dettagli. Questa trasformazione conferisce a Funes una memoria perfetta, che gli permette di ricordare ogni evento e ogni dettaglio della sua vita con assoluta precisione. Tuttavia, quello che inizialmente sembra un dono straordinario si rivela ben presto una maledizione. 

Se da un lato la capacità di Funes gli permette di ricordare anche i più piccoli dettagli, come ogni foglia di un albero, dall’altro lo sommerge con un’incessante marea di ricordi. Questa quantità di dettagli ostacola la sua capacità di pensare in modo astratto o di fare generalizzazioni, che sono aspetti essenziali della cognizione umana. La memoria perfetta di Funes contrasta nettamente con l’esperienza umana, che si alimenta anche dell’oblio, e contrasta ancora più nettamente con un contesto caratterizzato da una rapida obsolescenza del sapere e del saper fare. 

Un’università generativa non è solo un luogo in cui si impara e si impara a imparare, ma anche e soprattutto un luogo dove si impara a disimparare. Questo costituisce la sfida e la prospettiva dell’università generativa. La nozione del disimparare come forma di accumulazione del sapere si fonda sul concetto di «disposizione» del filosofo pragmatista John Dewey. 

Tale concetto può essere utilizzato per articolare la curvatura della forma mentis di studenti e studentesse. Disimparare non significa dimenticare, ma piuttosto sviluppare una disposizione. Secondo Dewey, essere disposti a fare qualcosa – ad esempio, a imparare – non implica che si farà sempre quella cosa, ma che si è consapevoli e si è in grado di governare lo stato mentale della disposizione.

Un’università generativa è focalizzata quindi sulla consapevolezza – saper essere – della rapida obsolescenza del sapere e del saper fare e che per saper diventare «l’apprendimento è sia acquisizione di nuove conoscenze sia lo scarto di quelle obsolete e fuorvianti». Il disimparare, quindi, è una forma di apprendimento: esso comporta un processo consapevole di rinuncia e/o di abbandono di conoscenze, valori o comportamenti. 

John Newstrom definisce il disimparare come «il processo di riduzione o eliminazione di conoscenze o abitudini preesistenti che altrimenti rappresenterebbero formidabili barriere al nuovo apprendimento». Paul C. Nystrom e William H. Starbuck lo definiscono come «scoprire l’inadeguatezza delle idee esistenti e “scartarle”». Così come l’apprendimento agisce su più livelli, il disimparare può essere incrementale o comportamentale, nel caso in cui gli assunti di base restino inalterati, oppure può essere profondo – il disimparare trasformativo o cognitivo – nel caso in cui gli assunti e i valori presupposti siano messi in discussione. 

Chris Argyris e Donald A. Schön – ispirati da Dewey – sostengono che disimparare richiede l’attivazione di un processo di indagine (enquiry), di esperienza del dubbio, definita come l’esperienza di una «situazione problematica», innescata da una discrepanza tra i risultati attesi dell’azione e i risultati effettivamente raggiunti.

 Tale esperienza inibisce il proseguimento dell’azione e incoraggia un processo di riflessione volto a risolvere il dubbio. Il disimparare è quindi il risultato di un’esperienza individuale le cui caratteristiche sono inaspettate e mettono in discussione alcuni assunti di base – ad esempio, un risultato sorprendente di un test. 

L’indagine e la sperimentazione costituiscono quindi gli antecedenti del disimparare. In una prospettiva di alta formazione, pertanto, e affinché studenti e studentesse imparino a disimparare, è importante adottare modelli educativi basati sull’indagine e sulla sperimentazione – quali il modello enquiry-based. Disimparare costituisce un’abilità fondamentale anche per governare il cambiamento. Alcuni studi suggeriscono infatti che esiste una stretta e bidirezionale relazione tra il disimparare e il cambiamento: il disimparare facilita il cambiamento e viceversa.

Tratto da “Università generativa. Internazionale, interdisciplinare, innovativa” (il Mulino) di Andrea Prencipe, pp. 208, 15,00 € 

 

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