Juliette FrescalineL’artista che utilizza il ferro per plasmare la bellezza della natura selvaggia

Le opere metalliche della scultrice francese si ispirano alle forme sinuose delle piante, per dare vita a rigide strutture amorfe. L’obiettivo? Stimolare la ricerca del bello in tutto ciò che ci circonda, come farebbero gli occhi ingenui di un bambino

Artwork: Entre terre et mer. Courtesy of the artist

Da Parigi le sculture in filo di ferro di Juliette Frescaline hanno conquistato i salotti buoni di mezza Europa. La materia, inizialmente subordinata, ha ceduto il passo al predominio del soggetto, rivelando una varietà sorprendente di possibilità: dall’evoluzione delle cortecce in abiti vegetali a una sperimentazione giocosa con i diametri del filo di ferro.

La sfida della limitazione dello spazio l’ha spinta a reinterpretare il volume attraverso un’originale concezione di accumulo, combinando piccoli moduli che, come cellule, si combinano per formare opere grandiose. Non solo, questa combinazione accrescitiva fornisce ai soggetti rappresentati una inedita «forza collettiva».

L’artista, con uno sguardo distintivo e innovativo, ha plasmato il suo percorso artistico focalizzandosi da prima su temi classici come il rapporto tra l’essere umano e gli animali, per evolvere con gli anni in un’approccio meno figurativo. Forse, per tale ragione, con gli anni l’interesse principale è stato rivolto alla rappresentazione di grandi alberi e della complessità della natura. Il suo lavoro attuale riflette un profondo interesse per lo sguardo e costituisce un invito alla contemplazione: l’opera d’arte è perciò «solamente» ciò che ti ricorda di (ri)aprire gli occhi.

Artwork: Reprise de possession. Courtesy of the artist

Come sei arrivata al filo di ferro, che ti ha resa famosa?
Fallimenti e limitazioni. Dopo due anni fallimentari di studi in matematica all’università, mi sono (ri)orientata all’arte e mi sono perciò formata all’Olivier de Serres, una scuola di arte applicata di Parigi. Lì, mi sono innamorata del laboratorio del metallo. Quando ho completato questa formazione, dove tutto era gratuito — rame, ottone, tonnellate di macchinari — ho compreso il valore e il costo dei materiali. Così, ho iniziato con l’opzione meno costosa, ovvero il filo di ferro. Quella che era inizialmente una restrizione finanziaria è diventata il mio materiale principale.

Procedi sempre combinando un dettaglio e modulo in opere molto più grandi: ci spieghi questo processo?
La mia limitazione di spazio di lavoro mi ha costretto a percepire il volume in modo diverso. Non potevo pensare e creare lavori grandi. Ma di nuovo nella mia carriera i limiti sono diventati le basi del mio pensiero. In fondo, la saldatura è solo un mezzo e il filo di ferro che uso ha importanza nella misura in cui esiste con altri fili, perché, insieme, compongono un tutto. La parola chiave per me è quindi “insieme”, la possibilità di accumulare e combinare elementi o moduli, come li hai giustamente definiti, piccoli, mi ha permesso di esprimere le mie idee in spazi notevolmente più ampi. Questa idea di collettività, se possiamo chiamarla così, rende il soggetto finale più forte, più potente. Il piccolo si ingrandisce perché ogni piccolezza si appoggia su un altro piccolo. Trovo tutto ciò molto metaforico e rappresenta bene i nostri desideri di grandezza, mettendo un freno all’individualismo attuale, senza negare la nostra importanza personale, che raggiungiamo nella collettività.

Artwork: Reconquête 2. Courtesy of the artist

Questa crescita cellulare del tuo lavoro è alla base del tuo amore per la natura ?
Le piante sono il filo conduttore del mio lavoro. Sono una grande osservatrice e la mia ispirazione proviene soprattutto da ciò che osservo: il mio ambiente più vicino, il disegno di una corteccia, un albero spoglio d’inverno, il vento tra le erbe, tutte queste piante che si trovano per strada, che incessantemente ricrescono ancora e ancora, offrendoci le loro incredibili diversità di forme e texture, sono tutti soggetti che sfrutto all’infinito. Non a caso, recentemente, ho lavorato su un progetto che ho chiamato Mon chemin ordinaire. Esso trascrive il percorso tra casa mia e lo studio, i miei cinque minuti a piedi quotidiani e la ricchezza dei miei incontri: aceri, tigli, erbe selvatiche, pini, edere, cardi, tuyas, molti vagabondi. Raccolgo, disegno e successivamente li trasformo in metallo.

Artwork: Mousse. Courtesy of the artist

Non sembra esserci un messaggio ecologico nel tuo gesto artistico, quanto piuttosto una ricerca di una dimensione mitologica e/o onirica: mi sbaglio?
Effettivamente, non cerco veramente di trasmettere un messaggio ecologico. Quello che mi interessa è l’apprensione e la tensione al bello. La bellezza, come la gentilezza e come tutti quei sentimenti considerati un pò melensi, sono l’inizio di una forza più grande di noi. Il mio lavoro è volto a stimolare lo sguardo, il prendersi del tempo per fermarsi e osservare. Distruggiamo ciò che ci è insensibile, ciò che non ha importanza ai nostri occhi. Per preservare il nostro ambiente e il nostro sguardo da bambini, dobbiamo imparare a lasciare che la nostra anima venga toccata dal bello. Per fare ciò, bisogna insegnare la bellezza e mostrare che la bellezza è ovunque, ma ovviamente bisogna imparare a guardare. E’ un salvagente, una boccata d’ossigeno quotidiana, il bastone in casi di umore cupo e stanchezza. Ecco forse questo è il mio scopo: mostrare che la bellezza è innanzitutto a portata di occhi, di narici e di mani… nella nostra vita quotidiana è accessibile a tutti.

Non sembri essere particolarmente attratta dal colore, sbaglio?
Amo il colore in ciò che vedo, ma non lo utilizzo molto nel mio lavoro. Forse perché il mio medium è abbastanza pratico per questo e non mi va di alterarlo con vernici. Recentemente, ho però iniziato a giocare con i diversi colori propri del metallo, utilizzando la ruggine o la zincatura.

Artwork: Toute chose saisissable s’efface et s’oublie. Courtesy of the artist

Come si sta evolvendo la tua ricerca artistica?
Forse la possibilità di immergersi nello spazio e dare la sensazione quasi di entrare o addirittura tuffarsi nella scultura. Devo però essere onesta e, se è vero che da anni uso il ferro, sono pur sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo: le mie opere più importanti sono sempre le ultime, perché da queste parto per andare avanti. Difficile per me, perciò, delineare una direzione di sviluppo. Ad esempio, dopo i cinque minuti di passeggiata al mio studio, sto lavorando alla rappresentazione del vento tra l’erba e questo stato di ricerca mi entusiasma: da un lavoro scaturisce la grandezza di un’idea molto diversa.

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