Verso BeirutL’offensiva israeliana via terra in Libano passa da possibile a probabile

Il capo di stato maggiore dello stato ebraico, Herzi Halevi non è mai stato così esplicito spiegando che a questo punto, dopo aver fiaccato le infrastrutture di Hezbollah dal cielo ora si tratterà di entrare in libano con le truppe dell’esercito. Sempre più deboli gli alleati occidentali di Benjamin Netanyahu

Dopo tre giorni di bombardamenti oltre il confine libanese, è il capo di stato maggiore israeliano Herzi Halevi ad annunciare quello che tutti si attendevano pur temendolo: «I vostri anfibi militari calpesteranno il suolo nemico, entreranno nei villaggi che Hezbollah ha trasformato in avamposti dotati di infrastrutture sotterranee e rampe di lancio puntate sule nostre città per colpire i civili israeliani».

Halevi ha spiegato ai giornalisti che gli attacchi dal cielo di questi giorni avevano proprio lo scopo di distruggere le postazioni di attacco di Hezbollah e a preparare il terreno all’eventualità che le truppe israeliane debbano attraversare il confine. Eventualità che in queste ore sta diventando sempre meno remota. 

Il mondo, riunito in gabinetti di emergenza internazionale sta cercando di mandare un messaggio diverso: «L’offensiva di terra non sembra così imminente», ha detto in serata la portavoce del Pentagono Sabrina Singh. Ma è tutto ciò che è accaduto nella giornata di ieri a condizionare le previsioni. Hezbollah ha puntato un missile a lungo raggio verso Tel Aviv e Israele ha preso di mira per la prima volta nella guerra le montagne a nord di Beirut. 

L’evidente fragilità del governo a termine di Jo Biden rende fievoli le pressioni americane per una tregua nei combattimenti. Ma alla Casa Bianca sanno perfettamente che evitare una guerra totale è una missione difficile ma ancora non impossibile: «Esiste ancora la possibilità di raggiungere un accordo che possa cambiare radicalmente la situazione nell’intera regione», ha dichiarato il presidente.

L’iniziativa a guida americana per ottenere un cessate il fuoco con Hezbollah ha la Francia come supporter più attivo e i paesi arabi che sperano di poter garantire connessioni e mediazioni durante la trattativa. De-escalation è il mantra nei consigli di sicurezza convocati uno dopo l’altro alle Nazioni Unite. 

Le prove di forza sono continue: Hezbollah insiste sul fatto che qualsiasi cessazione del fuoco da parte sua è subordinata allo stop degli attacchi  israeliani a Gaza, mentre i negoziati per un accordo favorevole alla liberazione degli ostaggi sono impantanati da mesi.

Nei prossimi quattro giorni il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sarà in viaggio per partecipare all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Tuttavia, chi raccoglie rumors e indiscrezioni tra i funzionari israeliani sostiene che su questi tentativi diplomatici all’interno dell’esecutivo di Tel Aviv cresce il pessimismo circa la possibilità di un cessate il fuoco.

Dunque è soprattutto la Francia a condurre il gioco diplomatico in queste ore: il ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot ha detto alle Nazioni Unite che la pressione per un accordo punta a un vantaggio per tutte le parti in causa: «Contiamo sul fatto che entrambi i contendenti lo accettino senza indugio, per proteggere le popolazioni civili e consentire l’avvio dei negoziati veri e convinti».

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