La politica ha le sue regole e in fondo, nonostante le apparenze, rispetta l’aritmetica. Così in Francia, dopo che l’alleanza forzosa tra centro, sinistra ed estrema sinistra ha impedito a Marine Le Pen di ottenere la maggioranza al secondo turno, ed era a un soffio dal riuscirci, Emmanuel Macron, che l’aveva giustamente contrastata, è stato ora costretto a consegnare proprio a lei, e solo a lei, la golden share del nuovo governo di Michel Barnier.
Una sconfitta secca per Macron, che mette in discussione la sua contestata scelta di sciogliere l’Assemblea Nazionale e indire nuove elezioni nel giugno scorso proprio per bloccare l’ascesa al potere della stessa Marine Le Pen, trionfatrice alle europee.
Ora, dopo due mesi e mezzo, la presidente del Rassemblement National si trova infatti nella comodissima posizione di chi non dovrà pagare, di qui alle prossime elezioni, il prezzo della gestione di un governo che ha sulle spalle tremila miliardi di euro di debiti, quindi nessuno spazio di manovra, compito ingrato che sarà solo sulle spalle di Michel Barnier.
Ma comunque la leader di estrema destra sarà “sdoganata” dentro l’arco repubblicano perché dimostrerà piena maturità democratica dato che, come ha già assicurato, garantirà da sola col suo Rassemblement National di tenere in vita il governo Barnier non votando le mozioni di censura della sinistra. Fine, dunque, della demonizzazione di Marine Le Pen grazie alle scelte di Emmanuel Macron e a una diabolica eterogenesi dei fini.
Con ferocia, proprio per questo, Le Monde pubblica in prima pagina una vignetta sotto il titolo “la nuova coabitazione” con un Michel Barnier accigliato che guarda i dossier di governo sul tavolo e seduta accanto a lui una Marine Le Pen con le braccia conserte che sorride maligna. Lei, senza fare nulla, senza muovere un dito, ha già vinto la prossima fase politica.
Nelle prossime settimane e mesi, infatti, si assisterà allo spettacolo di una serie di mozioni della sinistra per fare cadere il governo Barnier, che è minoritario, che ha solo duecentoquarantadue voti, ben lontani dai duecentottantanove che garantiscono la maggioranza dell’Assemblea Nazionale. Ma queste mozioni non saranno approvate solo e unicamente perché non verranno votate dai centosessantatre parlamentari di Marine Le Pen, che diventerà così garante di un corretto equilibrio democratico. Il massimo che possa chiedere per rafforzare ulteriormente le sue chances di vincere le presidenziali del 2027.
Da parte sua, la sinistra francese urlerà allo scandalo ma non darà comunque il minimo segno di voler imparare a fare politica e a cessare il suo noioso e impotente verbalismo giacobino.
Proprio per non consegnare la golden share del governo a Marine Le Pen, infatti, Emmanuel Macron ha provato nelle settimane scorse a giocare la carta di sinistra di un incarico a Bernard Cazeneuve, uscito dal Partito Socialista in polemica con l’alleanza con Jean Luc Mélenchon. Ma questo scenario, sempre in ossequio all’aritmetica parlamentare, per evitare le mozioni di censura sarebbe stato possibile solo se i socialisti e i Verdi fossero stati disponibili a sostenere un governo “istituzionale” e di “unità nazionale” assieme non soltanto al centro macronista ma anche alla destra neogollista.
Ma questo sarebbe avvenuto solo se la sinistra francese avesse imparato a fare politica e a cessare di urlare solo frasi demagogiche e così non è stato. L’ipotesi Cazeneuve è rapidamente tramontata.
Oltre alla sinistra, la vera crisi innescata dalla scelta sbagliata di Emmanuel Macron di anticipare le elezioni sta colpendo proprio il suo campo. Nei fatti, il Centro macroniano, uscito a pezzi dal voto passando da duecentoquarantacinque a centosessantotto seggi, è oggi dilaniato. Lo dimostra la decisione del popolare sindaco di Le Havre, Éduard Philippe, in aperta e chiara sfida allo stesso Emmanuel Macron di annunciare con tre anni di anticipo la sua candidatura alle presidenziali del 2027.
È una sfida che denuncia la scarsa fiducia in Macron proprio del suo principale alleato elettorale e in Parlamento, che ora non gli riconosce neanche l’onore di indicare il proprio successore. Una sfida aperta, a cui ne seguiranno altre, con alcune ulteriori auto-candidature di alleati di Macron che mirano a conquistare il Centro e da lì contrastare al secondo turno Marine Le Pen. Tutti, a oggi, con scarse possibilità di successo.
Ma forti tensioni agitano anche lo stesso partito di Macron, Renaissance. Lo dimostrano i rapporti sempre più tesi tra il presidente e il suo premier, Gabriel Attal, che a suo tempo criticò, sia pure alle spalle, la scelta di elezioni anticipate e che oggi dichiara che Michel Barnier, anche se gode della fiducia di Macron, non deve affatto dare per scontati i voti del gruppo parlamentare macroniano, che se li deve conquistare e che non perde occasione per marcare una sua distanza dall’Eliseo.
Marine Le Pen, senza muoversi, si prende dunque la sua rivincita e purtroppo tutto indica che dopo la prova di maturità democratica data permettendo, da sola, al governo Barnier di governare, vedrà aumentare le sue possibilità alle presidenziali. Macron ha tentato meritatamente di boicottarla, ma il gioco gli si è rivoltato contro.