Il leader del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte ha detto che sosterrà la candidatura di Andrea Orlando alla presidenza della Regione Liguria. E lo stesso fa il leader di Italia Viva Matteo Renzi, annunciando, in un’intervista alla Stampa, che è pronto a uscire dalla giunta di centrodestra di Genova guidata dal sindaco Marco Bucci.
«Spazziamo via le ambiguità: non intendiamo tenere i piedi in scarpe diverse e dunque siamo pronti a separare la nostra strada da quella del pur bravo Marco Bucci», dice. «Tanto bravo che, ricordo, Conte lo ha giustamente nominato commissario per la ricostruzione del ponte Morandi. Siamo pronti a essere presenti in una lista riformista senza simboli di partito. E a sostenere la candidatura di Andrea Orlando, con cui ho posizioni diverse ma che ho comunque nominato ministro». Ma, aggiunge, «basta che non siano alibi. Inutile girarci intorno. In Liguria il problema non è Italia Viva, ma le divisioni degli altri. C’è un Paese in crisi, il piano Transizione 5.0 non funziona, il ministro Sangiuliano che dovrebbe andare a casa domattina, una legge di bilancio da fare: e noi litighiamo? Basta chiacchiere, lavoriamo».
Il segretario di Italia Viva risponde così alla provocazione della segretaria del Partito democratico Elly Schlein sulla posizione di Italia Viva. La Liguria è il primo appuntamento elettorale dopo l’inchiesta che ha travolto Giovanni Toti. E potrebbe essere la prima prova del campo super largo di centrosinistra che stenta però a trovare la quadra.
Mentre Giuseppe Conte sostiene che allearsi con Renzi equivale a fare harakiri, il leader di Italia Viva risponde: «Ho fatto un fioretto: non voglio parlar male di lui. Conte non ha ancora digerito la scelta di indicare Draghi come presidente del consiglio. È fermo al 2021. Io mi occupo di futuro: Dobbiamo creare un’alternativa alla Meloni. Per farlo, Elly Schlein ha proposto di smetterla coi veti. Chi mette veti attacca Schlein, non Renzi. Io dico a tutti che il Matteo avversario si chiama Salvini».
Renzi ammette che «il bipolarismo ha vinto. Il nostro tentativo di superarlo non ha funzionato». E aggiunge che «il centro non ha oggi prospettiva di vita autonoma ma è decisivo per le coalizioni. Lo è stato nel Regno Unito per Starmer e lo sarà per Kamala Harris: vince chi convince i moderati».
Dunque, aggiunge in maniera netta, che «se la linea la dà Elly Schlein, noi ci siamo. Se la linea la dà Conte, allora stiamo fuori. Ma la posta in gioco oggi non è su Italia Viva quanto sulla leadership della coalizione. Il Pd ha aperto, noi ci siamo. Non siamo in coalizione perché ce l’ha ordinato il dottore, ma perché ce l’ha chiesto la segretaria del Pd».
Renzi traccia poi un «programma per il ceto medio» che va dalla scuola, alla sanità fino al lavoro. Ma restano i temi divisivi. A partire dal Jobs Act, contro cui il Pd sostiene il referendum della Cgil. «Ognuno su quello mantiene le sue posizioni», risponde Renzi. «Invece insieme bloccheremo l’autonomia differenziata, un provvedimento dannoso perché aumenterà la burocrazia. Penso che in questa battaglia si debba coinvolgere la stessa Confindustria, non solo i sindacati. Alle imprese questa autonomia fa male».
Altra questione cruciale è la politica estera, con le divisioni sulle armi all’Ucraina. «La questione non è l’utilizzo», spiega Renzi. «Se mandi le armi, e io ho votato a favore, è giusto che gli ucraini le usino. Non puoi dire: ti do le armi, ma non le usi. Dopodiché è chiaro che accanto alla strada delle armi è indispensabile la via diplomatica per giungere a una pace giusta. E l’Europa dorme, purtroppo. Ma è ipocrita dire le armi sì ma solo in Ucraina, come dice Tajani. Che è sempre più imbarazzante come ministro degli esteri». Mentre sul Medio Oriente dice: «In Israele c’è un capo del governo democraticamente eletto che persegue politiche duramente contestate anche all’interno. Dall’altra parte c’è un gruppo terroristico di macellai estremisti. Non sono sullo stesso piano. Io penso che la soluzione non possa che essere quella di due popoli e due stati e che per arrivarci sia indispensabile il ruolo dei Paesi dell’area: Arabia Saudita, Qatar, Emirati e Egitto».