EscalationNetanyahu è la dimostrazione del declino americano

L’ultima «discutibile scommessa» di Biden consisterebbe nell’accettare la tesi secondo cui Israele avrebbe bisogno di intensificare la guerra in Libano per poter ottenere una de-escalation. E invece è assai più verosimile che accada il contrario, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

(La Presse)

Nel suo quarto e ultimo discorso all’Assemblea generale dell’Onu, Joe Biden ha rivendicato ieri i risultati della sua amministrazione nel restaurare la leadership americana nel mondo e nel difenderne i valori, dall’Ucraina al Medio Oriente. Ma proprio la crisi mediorientale sembra mettere in dubbio ogni giorno di più l’assunto. Curiosamente, a dare la migliore dimostrazione del famoso declino della potenza americana non è stato un rivale storico come la Russia di Vladimir Putin ma uno storico alleato come l’Israele di Benjamin Netanyahu. Come scrive Edward Luce sul Financial Times, dal 7 ottobre in poi le scelte di Biden hanno seguito uno schema tristemente familiare: «Biden fornisce a Israele tutte le armi e il sostegno internazionale di cui ha bisogno; Netanyahu ignora scrupolosamente gli sforzi di Biden per mediare un cessate il fuoco o modificare le tattiche militari dell’esercito israeliano». Lo stesso schema è all’opera nella crisi libanese. Al riguardo, l’ultima «discutibile scommessa» di Biden consisterebbe nell’accettare la tesi secondo cui Israele avrebbe bisogno di intensificare l’escalation proprio per poter ottenere una de-escalation.

In pratica, secondo questo ragionamento, un attacco durissimo nei prossimi giorni aumenterebbe le probabilità di ridurre subito Hezbollah a più miti consigli, dischiudendo un futuro di pace. Secondo Luce, e non solo lui, evidentemente, è assai più verosimile che accada il contrario. E che la crisi faccia sentire i suoi effetti anche sulla campagna elettorale americana, per esempio attraverso un’impennata del prezzo del petrolio, cosa che verosimilmente non dispiacerebbe affatto a Donald Trump, e (dunque) nemmeno a Netanyahu. Un discorso simile vale per l’Ucraina, da tempo vittima delle esitazioni americane, in particolare riguardo alla questione delle restrizioni all’uso delle armi occidentali («Come ha recentemente affermato un analista, l’Ucraina può abbattere alcune delle frecce in arrivo ma non può prendere di mira l’arciere»). Non credo però che le incertezze di Biden in entrambi gli scenari di crisi rappresentino un problema soltanto per lui e la sua legacy. Al contrario, mi pare che in entrambi i casi l’estrema cautela americana potrebbe essere facilmente scambiata per un segnale di debolezza, se non vogliamo parlare proprio di declino, con conseguenze molto pericolose per il mondo intero.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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