La scommessa sul PilIl Piano strutturale di bilancio senza numeri, sperando nell’aiutino dell’Istat

Il consiglio dei ministri ha approvato uno «schema» indicando che il tasso di crescita della spesa si attesterà su un valore medio prossimo all’1,5 per cento e impegnandosi a scendere sotto la soglia del tre per cento del rapporto deficit/Pil già nel 2026. Ma le cifre vere arriveranno solo dopo il 23 settembre, con la revisione dei conti pubblici nazionali

(Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)

Tutto come previsto. Il Piano strutturale di bilancio, il documento con le politiche economiche e fiscali richiesto dalla riforma del Patto di stabilità europeo, è arrivato sul tavolo del consiglio dei ministri del governo Meloni. Ma senza i numeri che contano su come rimodulare la spesa pubblica primaria per ridurre il deficit e il debito pubblico nei prossimi sette anni come chiesto dall’Europa. Il governo ha approvato di fatto solo uno «schema», una sorta di strategia da seguire per la trattativa che ci sarà con Bruxelles. Le cifre vere arriveranno solo dopo il 23 settembre, quando l’Istat rivedrà i conti pubblici nazionali dal 1995 al 2023. E il governo si aspetta una revisione al rialzo del Pil dal 2021 in poi, aprendo così un margine di manovra soprattutto per le misure della prossima legge di bilancio.

Il ministero dell’Economia fa sapere solo che il tasso di crescita della spesa si attesterà su un valore medio prossimo all’1,5 per cento. Impegnandosi a scendere sotto la soglia del tre per cento del rapporto deficit/Pil già nel 2026, con «un percorso di rientro dal disavanzo eccessivo realisticamente più ambizioso di quello prefigurato dalla Commissione europea attraverso la traiettoria tecnica», specificano dal Mef in una nota a margine.

Si tratta del primo atto formale dopo la riattivazione dei vincoli del Patto di stabilità europeo, sospesi dopo la pandemia e modificati poi dalla riforma europea entrata in vigore nell’aprile scorso. Secondo le nuove regole, nei prossimi sette anni l’Italia – sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo – dovrà seguire una riduzione costante del deficit di 0,5 punti percentuali l’anno e tagliare il debito di un punto all’anno. Che corrisponde a un aggiustamento di bilancio di circa undici miliardi di euro l’anno, da tirare fuori riducendo la spesa pubblica, aumentando le tasse o facendo crescere il Pil. Ogni anno si potranno fare aggiornamenti, ma con interventi da concordare comunque con la Commissione europea. Mentre la traiettoria di spesa pubblica netta, vero riferimento del Pbs, potrà essere rivista solo nel caso di insediamento di un nuovo governo o in condizioni eccezionali come una crisi economica.

Tutto questo in cambio dell’impegno sulle riforme strutturali e gli investimenti da attuare nei prossimi sette anni per rilanciare la crescita. Fino al 2026, il governo Meloni farà riferimento alle riforme già inserite nel Pnrr, che scade appunto tra due anni. Ma nel testo andranno indicati poi gli altri impegni per gli anni restanti. Si parla di «pubblica amministrazione, giustizia, miglioramento dell’ambiente imprenditoriale, compliance fiscale».

Mentre al Mef si attendono le revisioni dell’Istat, intanto da Banca d’Italia ha certificato un calo del debito di poco oltre un miliardo, a quota 2946,6 miliardi di euro, anche se sempre vicino alla soglia tre miliardi. Via Nazionale ha confermato anche il buon andamento delle entrate fiscali, che nei primi sette mesi dell’anno sono aumentate di 11,9 miliardi a 309,3 miliardi (una leggera differenza con i 328,3 miliardi calcolati dal Mef, che tengono conto della competenza). Difficile che questi dati influenzeranno le traiettorie di spesa netta e gli obiettivi programmatici pluriennali di Giorgetti.

In ogni caso, il Pbs, che avrebbe dovuto essere consegnato a Bruxelles entro il 20 settembre, slitterà in avanti. «Il documento sarà trasmesso alle Camere dopo aver recepito le revisioni statistiche apportate dall’Istat nell’ambito della “Revisione generale delle stime annuali dei Conti nazionali del periodo 1995-2023”, che saranno rilasciate il prossimo 23 settembre», fanno sapere dal ministero dell’Economia.

Le Camere lo aspettano la prima settimana di ottobre, ma i passaggi intermedi potrebbero richiedere più tempo. Molti dei 27 Paesi europei in realtà sono in ritardo e la Commissione ha già assicurato una certa flessibilità. I piani sono comunque attesi prima del 15 ottobre, senza sovrapposizioni con la scadenza per il Documento programmatico di bilancio.

Poi toccherà alla legge di bilancio. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha già detto che, nonostante l’aumento delle entrate tributarie, non c’è nessun tesoretto per lasciarsi andare a manovre espansive. Ma da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega sono arrivate già diverse richieste su taglio dell’Irpef, pensioni e flat tax. E intanto gli appetiti dei partiti di maggioranza si stanno sfogando sul decreto omnibus, con oltre settecento emendamenti arrivati sul tavolo delle commissioni Bilancio e Finanze del Senato.

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