E meno male che ad agosto il cosiddetto campo largo aveva siglato un patto d’unità d’azione contro Tele-Meloni! Un mese e mezzo dopo Giuseppe Conte quel patto lo sta rompendo secondo la sua ormai proverbiale doppiezza con la quale porta a spasso il Nazareno come gli pare.
È una specie di beffa della storia: sulla Rai il Partito democratico, cioè un partito che dovrebbe fare politica dentro le situazioni concrete, vive una stagione neopopulista che lo porta dritto dritto a ritirarsi sull’Aventino; mentre l’avvocato, che in teoria in nome della diversità dovrebbe porsi fuori dai giochi, briga con la maggioranza per avere un posto a tavola.Il risultato è che questo benedetto campo largo è sempre più una pantomima.
L’Ucraina è un miliardo di volte più importante delle pochezze di viale Mazzini ed è soprattutto quello il terreno della più grande truffa di Conte, il pacifista che in realtà tifa per Mosca, come da ultimo dimostra lo scoop di Massimiliano Coccia su Linkiesta relativo alla campagna “La Russia non è nostra nemica” ordita da un collaboratore di Virginia Raggi.
La doppiezza sulla Rai però non scherza. Conte vorrebbe fare un doppio sgambetto mica male al Pd: trattare con la destra sul consiglio di amministrazione e insieme beccare qualche nomina. L’obiettivo principale è il Tg3 dove al posto di Mario Orfeo, vicino al Pd, vorrebbe insediare il redivivo Giuseppe Carboni, già direttore del Tg1 in epoca gialloverde e ora direttore di Rai Parlamento, in pratica il giornalista di fiducia del Movimento 5 stelle. Se Orfeo non schiva il colpo, sarebbe un cazzotto nell’occhio di Elly Schlein. Che come tale non dispiacerebbe certo a un centrodestra che si appresta a prendersi più o meno tutta la Rai. In subordine, il fido Carboni potrebbe approdare a Rai News, con il meloniano Paolo Petrecca dirottato a Rai Sport o al Giornale radio.
È chiaro che la cornice della rottura del patti è tutta politica e va oltre la questione dei posti. Domani Camera e Senato si riuniranno per eleggere i quattro consiglieri di amministrazione di indicazione parlamentare. Subito dopo il ministero dell’Economia, nella sua veste di azionista di controllo, designerà l’amministratore delegato, che sarà il meloniano Giampaolo Rossi, che scambierà il posto di direttore generale con l’attuale ad Roberto Sergio, e un altro consigliere, la forzista Simona Agnes, che diventerà presidente della azienda.
Questo è il patto di ferro del centrodestra. Ma che farà il Pd? La linea di Schlein e dei suoi collaboratori è quella dell’Aventino, evitando cioè di designare propri consiglieri, e nemmeno partecipando alla seduta della Commissione parlamentare di vigilanza che dovrà ratificare, con i due terzi, la nomina del presidente. Stare fuori da tutto, visto che la destra non accetterà mai un presidente di garanzia come vorrebbe il Pd, che è il primo a saperlo.
Dunque, il messaggio è: alzarsi e andarsene. Un passo in più rispetto a quello che fece ai suoi tempi Pier Luigi Bersani che nel Cda mise Benedetta Tobagi e Gherardo Colombo, la cosiddetta società civile al potere, cioè l’inizio del populismo applicato alla questione televisiva, il primo passo della ritirata poco strategica del Pd da un terreno vitale per la democrazia come il servizio pubblico (salvo poi trattare sui posticini nelle redazioni e sui trenta secondi nei pastoni dei tg).
Siamo dentro la logica del tanto peggio tanto meglio. L’azienda è allo sbando e la concorrenza di La7 e Nove quest’anno si farà sentire. Fatti loro, di Giorgia Meloni, certo. Però è un problema del Paese. Di solito una forza che vorrebbe essere di governo non scappa, per di più tradita dal principale alleato che tratta sottobanco con gli avversari. Un altro episodio del disfacimento del campo largo, una barca che sta andando sugli scogli.