La distanza tra il mega-rapporto di Mario Draghi e i discorsi della politichetta nazionale è siderale. Non è per il fatto, pur clamoroso, che l’ex presidente del Consiglio ha avanzato centosettanta proposte mentre i partiti riescono sì e no ad abborracciarne una decina. È il respiro che fa la differenza. Draghi ha steso un Rapporto di sapore rooseveltiano, fissando come presupposto per evitare la disfatta dell’Europa la crescita, nell’ambito di un discorso epocale, al crocevia tra due epoche, quella del benessere novecentesco è quella delle grandi incognite del XXI secolo. Come ha osservato Politico, «Draghi è stato l’uomo salutato come salvatore dell’eurozona durante la crisi del debito sovrano quando era presidente della Banca centrale europea. Questa volta la sua sfida potrebbe essere ancora più grande: impedire all’Europa di restare indietro rispetto al resto del mondo». E pensare che l’avevamo a Palazzo Chigi.
Dall’altra parte abbiamo tre o quattro discorsi che animano il dibattito politico. Il primo è quello del dopo-Sangiuliano, cioè gli strascichi polemici e forse giudiziari di una vicenda penosa che ha portato alle inevitabili dimissioni di un ministro che per lasciare meglio il suo segno ha pensato bene in limine mortis di nominare una serie di consulenti del Ministero, ma vedendosi cancellata la decisione del suo successore Alessandro Giuli; vedremo se ci saranno ulteriori sviluppi su presunti ricatti e quant’altro, ma certo questa storia che pure tende a chiudersi lascia un sapore disgustoso per chi ama la politica.
Seconda questione, molto più seria, il protagonismo di Elly Schlein che alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia ha dato l’idea di essere pronta, almeno seconda la lettura diciamo così un tantino enfatica di Repubblica, a governare il Paese. Ma le sue proposte restano ancora un po’ nel vago, specie in relazione ai costi che dovrebbero comportare, in ciò incappando nel classico limite della sinistra, quello della genericità; con in più – ma è una sottolineatura persino banale – che su tanti temi, a partire dall’Ucraina, non c’è accordo non solo nell’ipotetica coalizione di centrosinistra, dove peraltro albergano i veti di Giuseppe Conte e della corrente vendicativa del Partito democratico (Pierluigi Bersani) a Matteo Renzi, ma neppure nel Pd, dove i (pochi) riformisti chiedono debolmente alla segretaria maggiore chiarezza sull’appoggio a Kyjiv.
Insomma, da quelle parti si veleggia sempre costeggiando la riva senza il coraggio di andare «per lo alto mare aperto», il che è contraddittorio rispetto al cambio di passo che Schlein sembra avere in mente un giorno sì e l’altro no: vuole spingere, il Pd, per determinare una crisi di governo o intende lasciare che Giorgia Meloni si cuocia a fuoco lento? Su questo non irrilevante punto non sarebbe male avere un chiarimento.
Mentre il partito di Giuseppe Conte va verso una scissione, proseguono infine le discussioni e le lacerazioni nell’ex Terzo Polo. Ieri Luigi Marattin, esponente di punta di Italia viva, ha lasciato il partito non solo e non tanto perché non approva la svolta di Renzi di virare verso un nuovo centrosinistra, ma perché quest’ultimo non ha indetto un Congresso democratico per discuterne. In effetti Renzi è stato molto Renzi, ma non è che lo si scopre oggi che un partito personale non è esattamente sensibile alle liturgie della democrazia interna: strano che Marattin ne sia rimasto sorpreso soltanto adesso. Dopodiché egli mette in campo un’associazione (“Orizzonti liberali”) con i liberaldemocratici di Andrea Marcucci e “Nos” di Alessandro Tommasi per riprendere il discorso di un polo distante dagli altri due, un Terzo Polo senza Renzi e forse con Carlo Calenda per costruire una forza liberale «nei prossimi tre anni».
Non è bastato il primo fallimento, evidentemente, ma non è diabolico riprovarci. Ecco, il livello delle discussioni della politica italiana sta al Discorso di Mario Draghi come i Righeira stanno ai Beatles. Con tutto il rispetto, bisogna che un po’ tutti si diano una regolata. Draghi ha suonato la sua campanella, ma l’avranno sentita a Montecitorio?