«Pandemia silenziosa»Le divergenze inconciliabili tra Sala e Salvini sulla sicurezza stradale

Durante la presentazione della campagna dell’Onu “Make a safety statement”, il sindaco di Milano e il ministro dei Trasporti si sono ritrovati nella stessa stanza per parlare di mobilità. Il risultato, per quanto prevedibile, è lo specchio del braccio di ferro tra Comuni e governo sul tema della violenza stradale

Jean Todt, Beppe Sala e Matteo Salvini (Ufficio Stampa Comune di Milano)

Cos’hanno in comune Charles Leclerc e Marc Marquez? Praticano sport motoristici, hanno vinto domenica scorsa e sono tra i volti della campagna globale “Make a safety statement” dell’Onu, la cui edizione nazionale è stata presentata il 2 settembre durante una conferenza stampa a palazzo Marino, a Milano, una delle undici città italiane (circa mille nel mondo, divise in ottanta Paesi diversi) coinvolte nell’iniziativa. 

L’obiettivo delle Nazioni unite è puntare sui grandi nomi, da Novak Djokovic a Naomi Campbell, per sensibilizzare la più ampia platea possibile su ciò che ruota attorno alla sicurezza stradale, dando consigli semplici e utili (omettendo, però, quanto concerne la mobilità attiva e i rapporti di forza all’interno dello spazio pubblico, evidentemente sbilanciati in favore delle auto). Nei rispettivi manifesti, Didier Drogba afferma di «indossare la cintura di sicurezza», Patrick Dempsey e Kylie Minogue di non guidare quando sono stanchi, Ousmane Dembélé di «guidare piano», e così via.

Messaggi semplici e immediati, banali in senso buono e meno buono, associati alle facce delle persone più famose della Terra ed esposti sull’arredo urbano, sugli spazi pubblicitari dei mezzi pubblici e sulle affissioni di JCDecaux: è ciò che bisognerebbe fare per aiutare un tema cruciale – prima causa di morte nel mondo nella fascia d’età 5-29 – a uscire dalle sue nicchie mediatiche, attirando l’attenzione di tutti. Poi servono infrastrutture, norme e strumenti preventivi, ma ogni goccia conta. 

I manifesti della campagna dell’Onu in via Larga, a Milano (Ufficio Stampa Comune di Milano)

Il promotore della campagna è Jean Todt, non esattamente un paladino della pedonalità o della ciclabilità. Classe 1946, è stato copilota di rally negli anni Sessanta e Settanta per poi ricoprire ruoli apicali nei settori nell’automotive e nel motorsport: direttore del reparto corse di Peugeot e della Scuderia Ferrari, amministratore delegato di Ferrari e direttore della Federazione internazionale dell’automobile (fino al 2021). Oggi è “a tempo pieno” l’inviato speciale dell’Onu per la sicurezza stradale. 

Al netto del curriculum, le sue dichiarazioni sono apparse in linea con la direzione da intraprendere. Todt ha definito l’iniziativa una «campagna educativa», perché secondo lui è proprio l’educazione uno degli aspetti da cavalcare per mitigare questa «pandemia silenziosa» che in Italia nel 2023 ha ucciso 2.875 persone. Gli altri livelli , secondo l’ex amministratore delegato di Ferrari, sono: «Infrastrutture, leggi da applicare, qualità dei soccorsi».

Guarda caso, Todt non ha menzionato le sanzioni, l’unico livello su cui interviene la miope riforma del codice della strada promossa da Matteo Salvini, presente in conferenza stampa insieme a Beppe Sala. Il ministro dei Trasporti e il sindaco di Milano che parlano di mobilità nella stessa stanza: un’occasione d’oro per mettere a confronto due approcci diametralmente opposti. 

Sala non è perfetto, ma ha ben chiare le priorità necessarie per migliorare la vivibilità e la sicurezza delle strade. Tra le misure da intraprendere, il sindaco di Milano ha citato in quest’ordine: limite dei trenta all’ora nelle strade scolastiche; meno vincoli per l’installazione degli autovelox; cuscini berlinesi; allargamento dei marciapiedi; sensori anti-angolo cieco (obbligatori solo a Milano, in Area B). Molti di questi obiettivi rientrano nel piano “Milano futura ora” della task force meneghina sulla Sicurezza stradale e la Mobilità attiva. A un certo punto, forse per ammorbidire Salvini, l’ex ad di Expo ha menzionato i monopattini elettrici, attribuendo a questi mezzi di micromobilità un ruolo non irrilevante nell’ecosistema stradale: «Non dobbiamo parlare solo di auto, gli incidenti hanno tante forme. Ogni vita risparmiata deve essere al centro delle nostre politiche». 

La scala di priorità di Matteo Salvini, che nelle scorse settimane si è scontrato con Sala sulla questione dell’autonomia differenziata, è diversa. Dopo aver citato i «guard rail salvavita», infatti, il leader della Lega ha subito aperto il discorso dei monopattini: «Gli incidenti con questi nuovi mezzi sono aumentati di quattrocento unità. Per capirlo è sufficiente fare un salto il sabato mattina al pronto soccorso del Fatebenefratelli». Per questo, continua, con il nuovo codice della strada (entro settembre potrebbe ricevere il via libera definitivo del senato) «porremo nuovi obblighi (casco anche per i maggiorenni, assicurazione e targa, ndr), perché non sono più i giochi di legno di qualche anno fa». La regolamentazione è fondamentale, ma l’iper-regolamentazione rischia solo di disincentivare la diffusione di un mezzo alternativo all’automobile per gli spostamenti brevi. 

Successivamente, Salvini ha toccato lateralmente «il tema dei ciclisti», vantandosi dell’obbligo del metro e mezzo di distanza introdotto nel nuovo codice. Tuttavia, la limitazione sarà valida solo «ove le condizioni della strada lo consentano». La stessa disonestà è stata applicata al coinvolgimento delle associazioni per le vittime della strada, sentite ma mai ascoltate dal governo, in quanto le loro richieste non sono mai state accolte. Le principali ventisei associazioni e fondazioni italiane di familiari e vittime sulla strada, non a caso, hanno scritto una lettera a Jean Todt per evidenziare le principali criticità di un codice della strada che, secondo Salvini, «è stato scritto non a quattro, ma a quaranta mani». 

«Se il ministro Salvini e la presidente Meloni vogliono salvare vite in strada e ascoltare davvero i familiari delle vittime, lo dimostrino concretamente modificando il testo del nuovo codice della strada accogliendo al Senato le nostre proposte di emendamenti, altrimenti si tratta solo di un governo che fa unicamente propaganda sulla pelle della vite delle persone», spiegano Marco Scarponi e Stefano Guarnieri, familiari di vittime della violenza stradale. 

Il ministro ha poi aperto il capitolo delle Zone 30: «Vanno bene nelle aree in cui ci sono scuole, ospedali, alta incidentalità e altri fattori di rischio individuati dalla prefettura. Ma estendere i trenta all’ora al settanta, ottanta o novanta per cento della città può portare disagio a una città, proprio come gli autovelox». Si tratta di una dichiarazione che segue il modus operandi del suo codice della strada, contraddistinto da un approccio sanzionatorio e non orientato alla prevenzione, all’educazione e al ribaltamento del nostro status quo “autocentrico”. 

Per concludere, Salvini è passato alle sanzioni contro chi guida guardando lo smartphone o in stato di alterazione. Secondo l’Istat, meno del sei per cento degli scontri stradali in Italia è dovuto ad alcol e stupefacenti. Al contrario, la velocità eccessiva è la terza causa degli incidenti stradali nelle città e la prima causa degli incidenti mortali in città. Salvini, rispondendo in modo abbastanza seccato alla domanda di una giornalista, ha detto che sull’obbligo nazionale dei sensori anti-angolo cieco «ci stiamo lavorando». Infine, al microfono, ha ringraziato e salutato tutti i relatori della conferenza stampa. Fatta eccezione per il sindaco Sala.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter