Il Watergate di PompeiSangiuliano, e il biopic della nazione ingiustamente cancellato dai palinsesti

La Temptation Island del ministro che non sa cadere in tentazione senza combinare pasticci ci ha regalato giorni di polvere e di gloria, molto italiani. Ne sentiremo la mancanza

Lapresse

Ma quindi è finita? L’intrattenimento di questa coda d’estate ci viene tolto così, d’imperio, da una lettera sgrammaticata contro la quale avevamo tutti scommesso, scritta solo per il gusto di boicottare la serata a La7, dove credevano d’aver fatto il colpaccio a intervistare la donna più smaniosa di farsi intervistare d’Italia, e si sono ritrovati con una registrazione resa antica dallo sviluppo degli eventi.

«Speriamo di liberarci anche delle rivelazioni mediatiche ad orologeria della signora di Pompei», twitta Carlo Calenda, il cui italiano è ministerialmente traballante e il cui disinteresse per l’intrattenimento del popolo italiano è offensivo, ma che ha il coraggio e l’altruismo e la fantasia di chiamare «signora» quella che tutti i tg si affrettano a chiamare «imprenditrice», come lei stessa si autocertifica – immemori, lei e loro, della caduta repentina dell’ultima che, invece di definirsi «una cui piace stare al centro dell’attenzione», si era detta imprenditrice (digitale).

Adesso che questa stupendissima storia di fine stagione, questa edizione extra di “Temptation Island”, questa saga con pochissimo sesso e moltissime autocertificazioni – da «sono un’imprenditrice» a «stiamo facendo la storia» – adesso che è finita, possiamo ammettere che sono stati giorni bellissimi. Giorni in cui gli sceneggiatori italiani, incapaci di concepire altrettanto esilaranti combinazioni di vertiginosi microsquallori, si sono arresi al sussidio di disoccupazione.

Giorni di classici. «Lui mi aveva detto che non viveva più con la moglie. Da un po’. La moglie andava con lui solo se c’era la Rai a riprenderli»: Maria Rosaria, ma davvero a quarantun anni credi a uno che ti dice che lui e la moglie sono ormai come fratelli? Ma gli anticorpi a queste stronzate noi normali li abbiamo sviluppati entro i venticinque, com’è possibile che tu sia a tal punto ingenua, tu che dovresti guidare il complotto per la demolizione del governo Meloni.

Giorni di scoop immaginari. «Convintamente ho votato Giorgia Meloni», diceva Maria Rosaria Boccia nel pezzetto di trasmissione che La7 ha scelto per lanciare la sua imperdibilissima serata-Watergate. Ma tu pensa. Avrei detto Ilaria Salis.

Giorni di migliori elementari del mondo. Ventiquattr’ore prima, a Venezia, Luca Marinelli spiegava ai giornalisti presenti alla conferenza stampa di “M.” che lui è antifascista, proprio antifascista, di famiglia antifascista, vi ho già detto che sono antifascista, e che però Mussolini l’ha interpretato un po’ perché ha letto «l’importante libro di Antonio», e un po’ perché ha trovato «l’adattamento scenografico» intelligente e coraggioso. Ventiquattr’ore dopo un attore che al trentesimo film non ha imparato la differenza tra scenografia e sceneggiatura, ventiquattr’ore dopo ecco che un ministro italiano, coi limiti culturali degli italiani (e che neanche è mai andato a farsi un autoscatto davanti alla Gioconda, diversamente dal turista italiano medio), si dimetteva scrivendo della «vergogna tutta italiana dei musei e dei siti culturali chiusi durante i periodi di ferie». Te lo vedi un ministro francese che parla di «vergogna tutta francese» per il Louvre sempre chiuso il primo maggio o a capodanno, te lo vedi un attore americano sbagliare il gergo tecnico del suo mestiere in mondovisione, te lo vedi un madrelingua con mansioni culturali scrivere «ritengo necessario di rassegnare le dimissioni».

Giorni di ostaggi, tutti, ovunque, comunque, perunque. La conversazione ostaggio della sangiulianeide: nessuno voleva, poteva, sapeva parlare d’altro (ogni tanto qualche controcorrentista diceva cose come «c’è Carrère a Mantova», e lo si trattava come il rincoglionito della tavolata e si tornava a parlare degli occhiali a raggi x). Noialtri ostaggi del flusso di notizie, lanciati in previsioni che poi venivano superate in corsia d’emergenza dalla realtà: ormai non si dimette, cos’è andato a piangere in tv a fare se deve dimettersi, no aspetta s’è dimesso.

E lei, Maria Rosaria, la dottoressa, l’imprenditrice, l’ostaggia ripresa in modalità Bellini e Cocciolone dalla telecamera della Stampa, l’intervistatore fuori campo e lei che guarda lui quando le fa le domande e poi guarda dritta in camera quando dà le risposte, e noi a decrittare se stia segnalando dove sia il covo dei sequestratori sbattendo le ciglia.

(Ma anche il direttore della Stampa che spiega ai visitatori del sito l’intervista, collegato da una tristissima stanza d’un qualche tre stelle, ed è impossibile guardarlo perché tutta l’attenzione visiva è catturata dal tavolino alla sua sinistra, sul quale ci sono annodate tra loro tre cravatte che deve aver provato e scartato: forse è il dettaglio più cinematografico d’una vicenda in cui è molto competitivo il campionato dei dettagli cinematografici).

Giorni di sorprese che mai avremmo immaginato vedendo la Gruber. Con le luci di La7, forse perché non in studio ma in trasferta pompeiana, l’imprenditrice dottoressa disfatrice dei destini della nazione pare la nonna della sé stessa che il giorno prima parlava con La Stampa (ma egualmente guarda in camera con la convinzione di chi si percepisce esperta di media, mica ostaggio in Medioriente).

Giorni di personaggi secondari. L’avvocato di Sangiuliano, che va in radio a dire che i messaggi fotografano una vera relazione, mentre la Boccia dice a La7 che quando mai, quale storia, era solo stima intellettuale. L’ex marito della Boccia, che al telefono con Del Debbio precisa che non invidia il ministro, che la sua ex è «signora, non dottoressa» (evidentemente calendiano), che per carità quali dieci anni di matrimonio, uno gli è bastato e avanzato. Nel frattempo la Boccia, su La7, stava dicendo che certo che il matrimonio del ministro era finito, lo dimostrava il fatto che lei nelle trasferte di lavoro non ne avesse mai incontrato la moglie – il che non la faceva sembrare espertissima di dinamiche matrimoniali. 

Giorni di conferme circa il fatto che con la cultura non si mangia. Praticamente l’unico dettaglio su cui la versione di Boccia e quella di Sangiuliano concordano è che la consulenza di lei – perfezionata o no, contrattualizzata o no, qualificata o no, utile o no – sarebbe stata gratuita. Ma benedetta ragazza, una volta gli uomini di potere servivano a procurarci un reddito, mica delle interviste.

Giorni di scaldamutandismo. Maria Rosaria butta lì che «non ci sono solo io e il ministro» (intendeva «siamo», ma non è più madrelingua nessuno, perché dovrebbe esserlo lei), ci sarebbero «altre donne», che però lei non vuole far precipitare «nel baratro» (sarà una citazione del pozzo di Natalia Ginzburg?).

Maria Rosaria lascia capire vagamente, «Con una persona con la quale ho una relazione non mi scambio solo delle foto innocenti, semmai posso scambiarmi anche qualche messaggio più piccante», ma noi vorremmo sapere più in dettaglio se la piccantezza è fatta di foto di pezzi di corpo normalmente coperti, o di parole. Se ci sono quei «ti prendo e ti sbatto al muro» che sono lestissimi a scrivere quelli cui poi al dunque non tira. Se ci sono quei «sono qui in sottoveste di seta che mi tocco pensandoti» che scrivono quelle che in quel momento hanno una maschera d’alghe in faccia e stanno mangiando l’Häagen-Dazs in calzettoni e maglietta di Barbie.

Giorni di complottismi. Tutti, dalla Meloni nei retroscena a Sangiuliano nella lettera di dimissioni alla dottoressa imprenditrice che continua a parlare di «ricatti», alludono a trame. Chi ha tramato per far fuori Sangiuliano, e poi la Meloni, e poi senza limiti su fino al soglio pontificio e oltre? «Siamo andati al concerto dei Coldplay, al concerto del Volo», dice la signora, e nessuno incredibilmente ha ancora messo in relazione le paranoie di destra con l’incidente stradale che a luglio ha ucciso la manager del Volo. Ancora nessuno ha detto che l’incidente era una messinscena, è stata uccisa perché sapeva, forse Maria Rosaria aveva registrato anche lei mentre svelava la scaletta in anteprima.

Giorni di lotta di classe dal divano. «Dubbi sull’acquisto dei biglietti», leggo in un lancio di Domani rispetto alla presenza della coppia più buffa del mondo al concerto dei Coldplay. Ora, io non vorrei incrementare l’antipatia dei lettori per i privilegi percepiti, ma i biglietti dei concerti non li ho mai pagati io, non li ha mai pagati (voglio sperare) nessun giornalista di Domani, non li ha mai pagati nessuna persona che lavori anche marginalmente nei mezzi di comunicazione o nelle istituzioni: mi state dicendo che fino a ieri pensavate che i ministri andassero su Ticketmaster? Dev’essere difficilissimo fare il lavoro di raccontare il mondo, conoscendolo così poco.

Giorni di mancanza di senso del tono. La storia che ha fatto più ridere degli ultimi anni è stata assurdamente raccontata in toni tragici, Repubblica ieri aveva il titolo «Liliana Segre sul caso Boccia-Sangiuliano: “È una vicenda squallida e triste” – Intervista alla senatrice a vita: “Le vicende a cui assistiamo sono in antitesi con qualsiasi forma di intelligenza”», e naturalmente non è colpa sua, quella ha risposto al telefono, cosa ne sapeva che in una conversazione infilavano due domande su Sangiuliano e poi ci facevano il titolo, come se una novantaquattrenne sopravvissuta a un lager potesse struggersi per un omino che non sa tentare di farsi l’amante senza combinare pasticci.

Sono stati giorni grandemente italiani, ed è inaccettabile che una serie al massimo del suo consenso di pubblico e di critica, la cui nuova stagione era attesa da tutti, una serie che è biografia d’una nazione venga cancellata dai palinsesti. E per cosa? Per dare una parvenza di serietà al governo? Sono stati giorni che hanno confermato chi siamo e cosa vogliamo, come pittato in una vecchia vignetta di Ellekappa. Due personaggi. Uno dice: «L’Italia avrebbe bisogno di una classe dirigente più colta, preparata e tollerante». L’altro domanda: «Per rappresentare chi?».

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