Ho una passione per le citazioni in giudizio per diffamazione, che siano mie o altrui. Inevitabilmente, esse contengono i più lusinghieri ritratti di entrambe le parti. Dell’offeso, perché il suo essere uno specchiato individuo rende più gravi le ingiurie subite. Di chi viene citato perché, per ottenere un maggior risarcimento, devo dire che tu, che hai scritto male del mio assistito, sei letto in centonovanta paesi e la tua firma è d’indiscusso prestigio e i lettori ti credono ciecamente.
Nel secolo in cui i lettori a stento danno un’occhiata al titolo, le citazioni per diffamazione fanno molto ridere.
In questi giorni di sangiulianeide, sono andata a rileggermi la citazione scritta a marzo da Annamaria Bernardini de Pace per conto di Andrea Salvatore Giambruno contro i giornali del gruppo Gedi, i quali sarebbero stati, attraverso una serie di articoli pubblicati durante la giambruneide, colpevoli di aver preso sul serio e presentato ai lettori come scandaloso uno sketch satirico.
A marzo l’idea che il crollo reputazionale di Bellicapelli fosse dovuto ai giornali – parlandone da vivi – e non a “Striscia” mi era parsa lunare, ma vista al lordo della sangiulianeide, cioè del secondo grandissimo periodo d’intrattenimento che il primo governo Meloni abbia regalato a elettori e oppositori, forse non mi sembra più che le obiezioni formulate in quella citazione in giudizio siano così peregrine.
Certo, i toni sono, come sempre in queste cose, inutilmente melodrammatici, sembra di sentire l’avvocato di “Dramma della gelosia”, «Fu adunque grazie a questo agonismo amoroso, perfidamente insufflato nell’animo dei due rivali da colei per descrivere la quale sarebbe da poco persino la penna di uno Zola, di un D’Annunzio, di un Nabokov, che i due pervennero a quella che chiameremo “la turpe notte dell’albergo Molise”». (Incidentalmente: pensa una commedia popolare di oggi che cita Zola e Nabokov; forse solo Zalone potrebbe permetterselo).
Solo che quella che sta descrivendo la Bernardini de Pace non è Monica Vitti nel ruolo di Adelaide Ciafrocchi. Siamo a un piano assai più basso nel grand hotel dello star system. È Francesco Merlo che l’avvocato accusa di aver dato del «maranza» a Giambry senza aver prima «interpellato persone» (al comitato per l’oggettiva qualificazione dei maranza non è in effetti pervenuta richiesta). È Stefano Cappellini che viene, ohibò, accusato di «rustica satira». È a Simonetta Sciandivasci che l’avvocato domanda con retorica shakespeariana «È normale scrivere così di un essere umano?».
Ovviamente la Bernardini esagera, perché quella è la sua parte in commedia: far capire che i giornali cattivi hanno travisato il tono ledendo «la serenità e tranquillità della vita affettiva e familiare» di casa Giambruno e che insomma mai mai mai Giorgia Meloni avrebbe rotto con Bellicapelli per «una buffonata evidentemente provocatoria»; far capire che la Meloni si sarebbe divertita e non avrebbe ritenuto di prendere le distanze, se “Striscia” fosse andata in onda nel silenzio compatto della stampa tutta.
Tuttavia c’è un punto interessante che mi s’illumina rileggendo quell’atto, e non riguarda Bellicapelli e il gruppo Gedi, ma in generale le pacchianate di governo raccontate come fossero questioni serie. Se gli avvocati al cinema e nella vita hanno bisogno di fingere di prendere tutto sul serio per ottenere una condanna, un risarcimento, un’indignazione del giudice, è possibile che i giornali – parlandone da vivi – abbiano bisogno di puntare sull’indignazione dei lettori, di raccontare la commedia in termini più adatti alla tragedia?
Scriveva a marzo la Bernardini de Pace, a proposito d’una ricostruzione pubblicata a ottobre dalla vicedirettrice di Repubblica Conchita Sannino, «Definire questo articolo “un inno allo scandalo e al dramma” sarebbe riduttivo», e mi pare che questa osservazione funzioni per un po’ tutto ciò che è uscito su Sangiuliano. Scandalo e dramma: chi avrà pagato i biglietti della Boccia, quelle centinaia di euro che manderanno infine in bancarotta i fin qui impeccabili bilanci italiani? Scandalo e dramma: chi ha inserito la Boccia nelle chat? Ho sentito Renzi, dalla Berlinguer, scandalizzarsi perché nelle chat istituzionali non ci devono stare gli amici nostri e le imbucate: io speravo di morire prima di sentire le parole «chat istituzionali»; io speravo di morire prima di veder crollare percezioni elementari quali: le chat separate dalle istituzioni, se vogliamo fingerci persone serie.
«Cerchiamo di essere adulti», ha risposto a Venezia Luca Guadagnino a una domanda sull’eventualità d’un James Bond gay, e la frase è piaciuta moltissimo a tutti nonostante non avesse nessun senso in risposta a quella domanda. È piaciuta moltissimo a tutti perché tutti sentiamo la mancanza degli adulti, epperò non siamo disposti ad arrenderci al fatto che gli adulti dovremmo essere noi, e che essere adulti non significa invocare l’istituzionalità delle chat né avere toni seriosi sulle puttanate, e pensare che i lettori ci prenderanno sul serio se fingiamo di scambiare le scemenze per tragedie.
Ai lettori è evidentissimo che queste vicende siano straordinarie commedie. A parte i disadattati che ne parlano sui social perché abbastanza disperati e privi di amici da non avere conversazioni private, e che quindi essendo disperati e privi di amici si scandalizzano per sentirsi per un istante vivi, qua fuori nel mondo si ride molto.
S’è riso molto di Bellicapelli, s’è riso molto di Sangiuliano, e si ride molto del nuovo pettegolezzo che un po’ vorrei raccontare, un po’ temo che arrivi una qualche Bernardini de Pace a chiedermi i danni; un po’ vorrei raccontarlo, e un po’ penso che quando finalmente qualcuno lo scriverà su un giornale, quando smetterà d’essere un pettegolezzo da cene delle élite e diventerà un dettaglio noto al popolo, partirà tutta la mimesi di scandalo, la simulazione d’indignazione, i toni da tragedia invece che da commedia.
Avrete notato che la signora Boccia viene spesso accusata di quella che in frasifattese viene chiamata «pesca a strascico». Annarita Patriarca, deputata di Forza Italia, l’altro giorno ha detto al Corriere «Ha chiamato quasi tutti, mi risulta. Mi dicono che avesse cominciato a farsi avanti già dalla scorsa legislatura», e precisa che lei non ci è cascata perché è di Gragnano, come dire che in Campania tra ambiziose ci si riconosce. Aggiungeva anche un delizioso «oggi, con lo scandalo, sta piena di follower», che il Corriere metteva in corsivo acciocché sapessimo che l’intervistatrice aveva concluso con profitto le elementari e riconosceva un’espressione dialettale.
Dicono – lo dicono altri, io sia chiaro che non ci credo, avvocati tutti, notate questa riga, io so che è un pettegolezzo privo di fondamento, io mai mi permetterei di riportare questa voce come verità – che ciò cui alludono coloro che alludono all’aver la Boccia provato in ogni modo a trovare un suo posto al sole prima di approdare alla casella Sangiuliano nel gioco dell’oca dei tentativi d’ascesa, che il grande rimosso cui fanno riferimento è che, prima di Sangiuliano, ella avesse ottenuto accesso a un altro esponente del governo, e che insomma se una certa parente del governo ha di recente annunciato d’essersi separata dal marito è perché di mezzo c’era la solita bionda.
Ovviamente io non credo sia vero e non mi permetterei mai di dubitare dell’intelligenza e del buon senso di esponenti del governo che non siano loro stessi andati in tv a implorarci di dubitare della loro intelligenza e del loro buon senso.
Prima ancora che per proteggermi dalle correnti gravitazionali e dalle richieste di risarcimento, non ci credo perché, se fosse vero che due matrimoni di due esponenti del governo sono stati messi in crisi dalla stessa bionda, ciò dimostrerebbe un grave ammanco di forza lavoro nel settore bionde ambiziose. Possibile che sia rimasta solo Maria Rosaria Boccia da Pompei, a fare tutto in questa casa? Possibile che, in questo paese a corto di star system, ogni turpe notte dell’albergo Molise abbia una sola colei? Le altre che fanno, battono la fiacca?