La vincitrice ucraina del Premio Nobel per la Pace, Oleksandra Matviichuk, in una delle sue interviste ha sottolineato un concetto importante:«La guerra riduce le persone in numeri. I crimini di guerra crescono così rapidamente che diventa impossibile raccontare ogni storia. Ma le persone non sono numeri. Dobbiamo restituire loro i nomi e garantire giustizia per tutti, indipendentemente da chi siano le vittime, dalla loro posizione sociale […]. Perché la vita di ogni persona conta». Cosa accade se conosciamo il nome di una persona, ma non sappiamo se sia una vittima? È difficile definirla tale senza conoscere la sua storia, specialmente se sua moglie, sua madre o sua figlia non sanno dove si trovi, se stia bene o se sia ancora viva. Se è scomparsa.
Ecco, prendiamo il caso di Serhiy, scomparso a Soledar, in Ucraina, nel 2022. Per due anni consecutivi, ogni mese mi sono imbattuta nello stesso post sulla mia timeline di Facebook: un appello della moglie di un mio compagno di scuola, condiviso dai nostri amici in comune. Ogni settimana, pubblicava disperatamente, ma con determinazione: «Amor noster in aeternum erit. Disperso a Soledar, 7 settembre 2022». Il post era accompagnato da un video pieno di foto di una giovane famiglia felice, con un bambino, il tutto sulle note della canzone del cantante ucraino Maksym Borodin: «Se non fosse per te, non crederei nell’amore. Se non fosse per te, non conoscerei il significato di una semplice vita terrena, del vivere».
Serhiy è partito come volontario per difendere l’Ucraina a marzo 2022 ed è scomparso a settembre dello stesso anno. Sua moglie ha affrontato tutti gli ostacoli della burocrazia: ha denunciato la scomparsa alla polizia e ha aperto un account online per monitorare l’avanzamento del caso, mentre i genitori hanno addirittura fornito il loro dna per facilitarne l’identificazione. Eppure, di lui ancora non c’è traccia.
La storia di Serhiy e di sua moglie non è l’unica. A luglio 2024, il registro unificato delle persone scomparse in Ucraina contiene informazioni su oltre cinquantunomila soggetti. Di questi, quarantaduemila sono completamente irreperibili. Serhiy è uno di loro. Su settemila persone invece ci sono alcune informazioni, ma nessuno di loro è stato ancora trovato. Le loro famiglie sono le più «fortunate».
Cosa rimane alla moglie di Serhiy? Continua a cercare disperatamente le foto di suo marito nei vari gruppi in cui i russi pubblicano immagini di prigionieri, fucilazioni e torture contro i soldati ucraini (e poi volete credere alla regista di “Russians at War”, che racconta che i Russi non commettono crimini di guerra). La moglie di Serhiy osserva tutto questo orrore e spera di ritrovare suo marito vivo un giorno.
Esistono intere comunità di persone (per lo più donne) che condividono informazioni sui dispersi e si aiutano a vicenda a identificare i loro parenti. Ma finora, lei non è riuscita a trovare nessuna foto e nessun video di lui. Forse è prigioniero, ma non è stato filmato. Forse… Nessuno lo sa. Non c’è stato nessun contatto con la Croce Rossa. E, da due anni, l’aggiornamento dello stato della sua ricerca online è fermo su «In cerca».
Tutti i messaggi che la donna scrive su Facebook sembrano vani, ma lei continua a sperare. Nel frattempo, cresce loro figlio di quattro anni, che non ha visto suo padre per metà della sua vita. Il bambino è l’unica cosa che impedisce alla moglie di Serhiy di perdere la speranza.
La moglie di Serhiy non si arrende. Continua a postare almeno un paio di volte al mese: «Amor noster in aeternum erit. Disperso a Soledar, sette settembre 2022. Ti amiamo moltissimo e ti aspettiamo a casa». Spera che un giorno riceverà una telefonata in cui le diranno che Serhiy era un prigioniero, e che tornerà presto a casa. La speranza è tutto ciò che le resta. È la stessa speranza a cui si aggrappano altre quarantaduemila famiglie ucraine, che non hanno alcuna informazione sui loro cari, ma che continuano a credere. E continuano a credere anche nell’amore. Come recita quella canzone ucraina: «Se non fosse per te, non crederei mai nell’amore».