BipopulismiChe cosa può dirci del nostro futuro la trumpificazione americana

Per l’Economist Harris ha adottato gran parte delle politiche del suo rivale, che a sua volta si è ulteriormente radicalizzato. Strane convergenze di cui a pagare il prezzo sarà per prima l’Ucraina, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

La «trumpificazione» della politica americana di cui parla l’ultimo numero dell’Economist è una descrizione che dovrebbe suonare familiare al lettore italiano. La convergenza tra i due candidati alla Casa Bianca sull’immigrazione, tanto per cominciare, con Kamala Harris ormai schierata a favore della proposta di riforma bipartisan più restrittiva del secolo, dovrebbe ricordare qualcosa anzitutto al lettore europeo, considerati i passi indietro compiuti dall’intera Ue, oggi degnamente rappresentata da Viktor Orbán e dalle sue proposte, sempre più largamente accettate, di trattenere i richiedenti asilo in centri posti al di fuori dell’Europa (il «modello Albania» tanto caro alla nostra presidente del Consiglio).

Quanto al lettore italiano, dovrebbe bastargli pensare al tempo che ci mise il Pd, nel secondo governo Conte, prima di ottenere la revisione dei decreti sicurezza varati da Matteo Salvini (per non parlare della sua “dottrina” in materia di soccorsi in mare, a lungo silenziosamente adottata anche dai suoi successori al Viminale, con il pieno sostegno dei democratici).

L’analisi dell’Economist prosegue citando l’intenzione di tenere gran parte dei dazi voluti da Donald Trump, e anche dei suoi tagli fiscali, da parte di una candidata democratica che anche nel campo dell’energia si è convertita al fracking (controversa tecnica estrattiva eseguita attraverso la cosiddetta fratturazione idraulica) ed è parte di un’amministrazione che ha estratto petrolio e gas come mai prima. Insomma, Harris avrebbe adottato in molti campi politiche storiche di Trump, che nel frattempo, peraltro, si è spostato su posizioni ancora più estreme. Nonostante tutto tenderei a considerare questa lettura un po’ ingenerosa nei confronti di Harris, ma il fenomeno mi pare comunque degno di nota (tu chiamalo, se vuoi, bipopulismo).

In ogni caso, l’aspetto più inquietante di questa convergenza riguarda senza dubbio la politica estera. Ferme restando le ovvie differenze nel rapporto con gli alleati e con la Nato, infatti, anche qui non mancano le inquietanti sovrapposizioni. Trump ha usato parole molto bellicose con la Cina, sebbene le sue politiche siano state meno ostili di quel che suonassero; l’amministrazione Biden non ha usato toni altrettanto aspri, ma ha proibito le esportazioni tecnologiche e messo pesanti dazi sulle auto elettriche cinesi. Quanto al Medio Oriente, Harris è stata ben attenta a non farsi scavalcare (troppo) da Trump nel sostegno a Israele, resistendo alle pressioni di chi tra i democratici chiedeva maggiore fermezza con Benjamin Netanyahu.

Il punto meno convincente del ragionamento mi sembra però quello riguardante l’Ucraina, su cui l’Economist non esclude che alla fine possa essere Trump a convergere sulla posizione dei democratici, per timore che un trionfo di Vladimir Putin possa farlo apparire debole. A me sembra semmai che stia da tempo accadendo il contrario, sia in America, dove gli aiuti all’Ucraina sono rimasti bloccati un anno, con conseguenze terribili sul terreno, sia in Italia, dove la convergenza dell’intero arco parlamentare contro il permesso agli ucraini di colpire le basi russe da cui partono gli attacchi è ormai un fatto compiuto e consolidato. E questo, purtroppo, dice molto del futuro dell’Ucraina, e anche del nostro, comunque finiscano le elezioni americane.

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