In guardia La consulenza sui rischi climatici è ancora un privilegio per pochi (in Italia)

Sempre più aziende italiane vogliono un “Climate risk consultant”, figura multidisciplinare per eccellenza. Mentre la domanda cresce, però, il mercato dell’offerta rimane concentrato nelle mani delle grandi società di consulenza. Anche per questo è necessario un intervento del governo

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Nel 2024 l’European environment agency (Eea) ha realizzato il primo European climate risk assessment. In breve, il rapporto esamina la gravità dei rischi climatici che l’Europa dovrà affrontare, denunciando l’impreparazione di governi e aziende. In più, evidenzia gli effetti della crisi ambientale sull’economia europea: come emerge dai dati elaborati dall’Eea, tra il 1980 e il 2022 gli eventi estremi legati al cambiamento del clima hanno causato seicentocinquanta miliardi di euro di perdite economiche solo negli Stati membri dell’Unione europea. 

La comprensione e la mitigazione del rischio climatico non sono mai state così cruciali non solo per i governi, ma anche per il settore privato. Infatti, i costi derivanti dalla crisi non sono certo destinati a diminuire. Per questo, negli ultimi anni, numerose aziende si sono messe alla ricerca di figure professionali che siano in grado di guidarle. Tra tutte, anche quella del Climate risk consultant, un “consulente sui rischi climatici”. 

Climate risk consultant: chi è e cosa fa
Capire di cosa si occupa il Climate risk consultant non è semplice. Le informazioni che si trovano online sono poco chiare e le ricerche danno come unico risultato una serie di pagine di siti aziendali di società di consulenza che offrono il servizio. «Le aziende si sono sempre avvalse di figure professionali interne o esterne per prevedere, ridurre e gestire le varie dimensioni del rischio a cui l’attività di impresa è soggetta», spiega a Linkiesta Francesco Bosello, docente di Economia dell’ambiente e coordinatore del Master in Science and Management of Climate Change dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. 

«Il Climate risk manager, o consultant, è quella figura specializzata nel supportare l’impresa nel prevedere, ridurre e gestire i rischi per la sua attività che derivano specificamente dal cambiamento climatico o, eventualmente, a sfruttarne potenziali opportunità», continua l’esperto. 

Il Climate risk consultant, quindi, ha il compito di valutare il rischio climatico. In pratica, prende in considerazione una lunga serie di fattori e dice all’azienda quali pericoli legati alla crisi ambientale corre nel breve e nel lungo termine. A partire da modelli e dati, esamina le vulnerabilità attuali e future dell’azienda, quantifica le minacce e identifica gli impatti potenziali, così che sia possibile successivamente sviluppare delle strategie mirate.

Esistono diversi tipi di rischio climatico di cui tenere conto. Innanzitutto, i rischi fisici, che impattano direttamente l’operatività dell’impresa e che si verificano ad esempio quando eventi estremi colpiscono le infrastrutture, la catena logistica o la produzione. Ci sono poi i rischi di transizione, che derivano dal dover adeguare l’attività di impresa alle nuove norme o politiche per il contrasto alla crisi ambientale. 

Come lascia intendere il nome, possono risultare appunto dalla transizione dell’azienda verso processi meno inquinanti. Infine, il Climate risk consultant deve tenere conto del rischio reputazionale, che deriva dalla sempre maggior attenzione posta ai temi della sostenibilità ambientale. I clienti e gli investitori ormai richiedono alle imprese di essere trasparenti sul loro impatto climatico, sull’ottemperanza delle norme vigenti e sulle strategie adottate per il suo contenimento. Chi non si adegua rischia di essere lasciato indietro.

Una figura professionale richiesta, ma accessibile solo a pochi
In Italia la figura del Climate risk consultant non è ancora molto diffusa. «Diverse aziende, soprattutto le più importanti o quelle di maggiore dimensione, integrano nel loro risk management le competenze Esg (Environmental, social, governance) quindi anche quelle relative al rischio climatico», racconta Bosello. La maggior parte, però, ricerca questo tipo di professionalità all’esterno, affidandosi a “grandi” società di consulenza, da McKinsey & Company a Deloitte.

«Una figura con una preparazione multidisciplinare in grado di comprendere le problematiche del cambiamento sotto gli aspetti fisici, ambientali ed economici è richiesta in molti ambiti», evidenzia Bosello. «Per le imprese assicurative, ad esempio, è essenziale essere in grado di avere accesso o sapere come vanno usati i dati degli scenari climatici e collegarli ai rischi ambientali per aggiornare i profili di rischio, i premi o addirittura capire quali rischi diverranno più o meno assicurabili». Anche le banche, i fondi di investimento, le imprese che lavorano nell’agricoltura o nel turismo, così come i centri di ricerca o gli enti locali avranno presto bisogno di un esperto del rischio climatico. 

Ma mentre la domanda cresce, il mercato dell’offerta è per lo più concentrato nelle mani delle società di consulenza. Qual è il problema? In primo luogo, come denunciato da Clean energy wire, spesso «le società continuano ad aiutare le aziende inquinanti a sostenere le loro attività e a fare lobby contro le normative, facendo apparire loro e altre industrie più ecologiche di quanto non siano in realtà». 

Inoltre, i servizi da loro offerti non sono accessibili a tutti. Se molte delle informazioni sui pericoli climatici sono pubbliche, nella maggior parte dei casi si trovano all’interno di rapporti tecnici e lunghi centinaia di pagine. Le società di consulenza con le loro valutazioni del rischio colmano questa lacuna, ma a caro prezzo con il rischio che solo un numero ristretto di aziende possa permetterselo. 

«Io suggerirei alle realtà più piccole di cercare di acquisire queste competenze internamente “pescando” da un’offerta sempre più abbondante – consiglia Bosello –. Ad esempio, far confluire in una in una sola figura Quality manager, Risk manager, e Climate risk manager può essere una strategia vincente con costi di formazione relativamente più contenuti rispetto al ricorso alle consulenze».

È però necessario non sottovalutare l’importanza di poter disporre di team altamente professionali in circostanze particolarmente complesse dal punto di vista industriale o normativo. Scrive al riguardo Justin S. Mankin, uno scienziato del clima, sul New York Times: «Mentre il settore privato accelera gli sforzi per mercificare le informazioni sul clima proprio nel momento in cui l’umanità ne ha più bisogno, i governi a tutti i livelli devono intensificare gli sforzi per rendere ampiamente disponibili e comprensibili le valutazioni del rischio climatico e le strategie di adattamento. Le informazioni condivise liberamente salveranno vite», conclude.

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