Baby flopNon basta l’immigrazione a compensare il declino delle nascite in Italia

Gli ultimi dati Istat smentiscono le false narrazioni sulla sostituzione etnica: i tassi di fertilità delle donne straniere stanno diminuendo più rapidamente di quelli delle italiane. E persino in molti Paesi di origine degli immigrati la natalità è in calo, allineandosi con le tendenze occidentali

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Non c’è nessuna «invasione» di immigrati, e questo, almeno a voler leggere i numeri, si sapeva già. Non c’è, però, neanche nessuna «sostituzione etnica» dovuta agli stranieri già presenti in Italia. I dati sulla demografia del nostro Paese sono chiari: negli ultimi anni la percentuale di nuovi nati da almeno un genitore straniero ha smesso di crescere: dopo essere salita dal 16,8 al ventidue per cento tra 2008 e 2018, è poi persino scesa, seppur di poco. L’anno scorso era del 21,3 per cento, il 78,7 per cento dei bambini, invece, è venuto al mondo da una coppia interamente italiana, mentre quelli che sono nati da una totalmente straniera erano il 13,5 per cento, meno di dieci anni fa.

Dati Istat

Questo è solo uno degli stereotipi sfatati dai dati dell’Istat sulle nascite in Italia, che nel complesso presentano il solito quadro tragico. Nel 2023 sono state trecentosettantanove mila e ottocentonovanta, il 3,4 per cento meno che nel 2022, il 26,1 per cento meno che nel 2014 e il trentaquattro per cento meno che nel 2008. Assieme ai nuovi nati è sceso il numero di figli per ogni donna in età fertile, ovvero il tasso di fertilità o fecondità, passato dagli 1,44 del 2008 agli 1,2 l’anno scorso, ma non solo ogni donna ha fatto meno figli, è anche diminuita la platea di potenziali madri, innescando ormai un circolo vizioso: meno bambini nascono, meno madri ci saranno in futuro e quindi meno parti.

Dati Istat

Questi sono dati piuttosto noti, a essere rilevante è il fatto che non sembrano esserci molti appigli per una possibile ripresa o anche solo per impostare una strategia a favore della natalità. Per esempio, un luogo comune un tempo vero, il fatto che a mancare all’appello fossero soprattutto i secondi e i terzi figli, mentre i primi erano stabili, non è più valido da diverso tempo, sicuramente dal 2010. Anzi, dal 2014 in poi sono stati proprio i primi a diminuire di più, al punto che nel 2021 la discesa rispetto al 2003 era stata per loro del 30,4 per cento, mentre quella dei secondi del 24,5 e quella dei terzi, quarti, quinti, ecc, del 17,3 per cento. Dopo il rimbalzo del 2022, quando sono stati procreati alcuni primi figli rimandati dalle coppie durante la pandemia, la diminuzione è ripresa anche per loro e non è stata dissimile da quella media.

Dati Istat

Significa che non è più vero che in fondo chi vuole un figlio lo fa e che il problema sia incentivare, soprattutto economicamente e con più servizi, a farne uno in più. Ormai è in crescita la quota di donne che non hanno mai partorito e che non lo faranno mai, secondo il demografo Gianpiero Dalla Zuanna è all’incirca del ventitre per cento tra quelle nate nel 1975, e arriverà al ventotto per cento fra dieci anni tra quelle della classe 1985.

Come si intuiva dai dati sui nati per origine dei genitori, poi, non è vero neanche che «gli stranieri ci salveranno». In realtà il tasso di fertilità delle donne immigrate è sceso più velocemente di quello delle italiane, anche se rimane superiore, e non è accaduto solo perché partiva da livelli alti, come i 2,79 figli per donna del 2006, dato che ormai non si raggiunge neanche in Marocco, dove è di 2,3. Nei quindici anni tra 2008 e 2023 il tasso di fecondità delle straniere è sceso del 29,3 per cento, contro un calo del 14,3 per cento di quello delle italiane, ma anche facendo partire il conto dal 2013 la diminuzione del primo, del 14,4 per cento, è stata maggiore di quello del secondo, dell’11,6 per cento.

Dati Istat

Solo tra il 2016 e il 2019 la fertilità delle immigrate è cresciuta oppure è scesa meno di quella delle italiane, negli altri casi, e soprattutto dopo la pandemia, ha avuto un andamento ancora più negativo e l’anno scorso era di 1,79 figli per donna, che scende a 1,47 nel Lazio, a 1,31 in Sardegna ed è in generale inferiore alla media al Centro e in alcune aree del Mezzogiorno.

Dati Istat

La fecondità delle straniere, per quanto in calo ovunque, rimane più bassa laddove le condizioni economiche sono più difficili, con un crollo, negli ultimi due anni, in Sardegna e Sicilia. Al contrario, per le donne italiane non sembra più valere, soprattutto recentemente, quell’altro luogo comune che voleva la natalità e la fertilità in discesa nel Mezzogiorno, mentre rimaneva stabile laddove le donne lavorano di più e guadagnano meglio, ovvero al Centro Nord, che poi è quello che a grandi linee accadeva anche in Europa. Si tratta di una tendenza che è stata vera fino a circa il 2015, da allora il tasso di fecondità del Sud e delle Isole è diminuito meno di quello del resto d’Italia, andando, tra 2015 e 2020, da 1,27 in entrambe le aree a 1,21 e 1,22, per poi rimanere stabile. Al contrario in particolare al Centro e al Nord Ovest c’è stato un crollo. Qui i figli per donna delle italiane erano nove anni fa 1,24 e 1,27 e sono scesi, rispettivamente, a 1,11 e 1,13 nel 2020 e poi a 1,07 e 1,09 nel 2023, dopo un effimero rimbalzo.

Dati Istat

Proprio in queste aree c’è stato un cambiamento a trecentosessanta gradi. Tra il 2008 e il 2013 il numero di figli delle italiane, nonostante la crisi, o era salito o, se era sceso, lo aveva fatto meno che nel Mezzogiorno e tra le straniere. Tra il 2013 e il 2021, poi, ha cominciato a diminuire visibilmente, ma sempre meno di quanto accadesse tra le immigrate. Tra 2021 e 2023, però, ha visto un calo persino superiore a quello del tasso di fertilità di queste ultime, mentre nelle regioni meridionali, invece, aumentava.

Dati Istat

Il grande incremento del tasso di occupazione che negli ultimi anni ha caratterizzato i giovani, e in particolare le donne laureate, non ha avuto ancora nessun effetto. Questi numeri fanno pensare che difficilmente lo avranno se nelle aree più ricche, quelle con più lavoratrici, le nascite crollano più che altrove. In Trentino Alto Adige dove tasso di fertilità e di occupazione sono sempre stati da record, proprio qui in due anni il primo ha visto una riduzione di quasi il dieci per cento, la maggiore in Italia, mentre in Campania e Calabria è salito.

Di quali incentivi economici parliamo se a fare meno figli sono proprio coloro che se la cavano un po’ meglio? Se non rinunciano solo a fare il secondo o il terzo, ma anche il primo? Come puntare sull’immigrazione se nel sud del mondo da cui provengono gli stranieri ormai ci si avvicina a grandi passi alle abitudini occidentali? Basti guardare i dati del Sudamerica e dell’Asia, persino in Bangladesh si è scesi sotto i due figli per donna.

Del resto i numeri delle donne immigrate in Italia lo dimostrano ampiamente. A livello politico e mediatico fa sempre comodo parlare di stimoli alla natalità e di lotta alla denatalità, ma forse sarebbe il momento di pensare anche all’adattamento e a come contrastare, magari con l’uso della tecnologia, gli effetti quotidiani del calo demografico e della forza lavoro che peggioreranno rapidamente.

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