Chiunque negli ultimi trent’anni non abbia vissuto sulla luna sa che in Italia esiste un fiorente mercato dei ricatti legato alla diffusione (o non diffusione) di intercettazioni legali e illegali, foto e video compromettenti, dati bancari e atti giudiziari che puntualmente «spuntano» o «trapelano» sulla stampa da questa o quella indagine, o in modi ancora più misteriosi, e che non potrebbero né esistere né trapelare senza un’ampia rete di complicità che comprende spezzoni delle forze dell’ordine, dei servizi segreti, della magistratura e del giornalismo. E ovviamente della politica, che tuttavia in questo sistema sembra avere un ruolo più che altro da «utilizzatore finale», per usare un’espressione appropriata.
È il modo in cui da tempo nel nostro Paese si conduce la lotta per il potere, come dimostra l’ennesimo scandalo oggi sulle prime pagine di tutti i giornali a proposito di una società specializzata nell’attività di spionaggio e dossieraggio, di cui sembra si servissero in tanti, praticamente tutti. Dal rampollo miliardario della grande famiglia del capitalismo italiano, per sapere se la fidanzata lo tradiva, al fratello oggetto di un falso documento della polizia di New York costruito per screditarlo, nell’ambito della lotta per l’eredità paterna, al responsabile sicurezza di una grande azienda desideroso di spiare i dipendenti per capire chi passasse informazioni ai giornali.
Tra i mille episodi raccontati dalle carte, uno dei più illuminanti mi pare quello riportato oggi dal Corriere della sera, dove dà conto della conversazione tra i capi dell’organizzazione a proposito delle richieste di una giudice di Corte d’appello, nonché ex capo di gabinetto della sindaca Virginia Raggi. Giudice che avrebbe chiesto accertamenti su un suo familiare, dopo che quelli da lei già fatti fare ai carabinieri non avrebbero dato risultati, esortando i suoi interlocutori (stando alle loro conversazioni) a «intercettarlo abusivamente».
Il tentativo del governo e della maggioranza di attribuire anche i risultati di questa inchiesta al grande complotto contro il centrodestra si scontra con il fatto che ai vertici della società sotto accusa ci sarebbe un manager da loro nominato alla guida della Fondazione Fiera di Milano, Enrico Pazzali, peraltro amico di vecchia data di Ignazio La Russa (su cui pure sarebbe stato preparato un dossier). E andrebbe comunque ricordato che uno dei primi e più clamorosi casi di utilizzo politico di intercettazioni abusive fu quello relativo alla famosa telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte sulla scalata Unipol, intercettazione illegale acquistata da Silvio Berlusconi e fatta pubblicare sul Giornale nel pieno della campagna elettorale del 2006, per cui il fondatore di Forza Italia ricevette anche una condanna in primo grado (poi arrivò la prescrizione). Ma naturalmente ciò non toglie che qualunque serio provvedimento il governo vorrà prendere per porre un freno a questo meccanismo infernale sarà benvenuto, o almeno dovrebbe esserlo.
Leggi l’articolo di Mario Lavia su questo argomento
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