Mettiamo in fila gli indizi. Le débâcle elettorali alle Europee e Regionali, dopo l’imprevisto successo alle Politiche come vero partito del Sud, dove il voto di scambio e quello di opinione, l’impudenza e la querimonia, la corruzione e il vittimismo sono, purtroppo da sempre, due facce della stessa cattiva coscienza. Le crisi di nervi e di fiducia dell’elettorato tradito e in rotta, e per questo disposto a votarsi a nuove e pure peggiori illusioni, purché, appunto, nuove, e non riciclate dai rifiuti delle distopie casaleggiane e dall’originalismo dei Meetup.
L’ammutinamento della residua ciurma vetero-grillina e la rivolta alla trasmutazione dorotea dell’anima populista, nell’alternativa grottesca tra le diverse maschere del trasformismo antipolitico, tra Danilo Toninelli e Stefano Patuanelli, tra «vaffanculo» e «pretermesso», tra l’ignoranza barbarica dei picchiatelli e la cavillosità imbrogliona dei parafangari.
Le botte da orbi tra l’Elevato e l’ex raccomandato da Alfonso Bonafede e prestanome del governo sovranista, assunto nell’empireo del firmamento progressista per un concorso di cause e di colpe, di cui praticamente nessuno, in Italia, può dirsi innocente. E infine, l’imborghesimento di deputati e senatori al primo e secondo mandato, comprensibilmente animati da uno spirito di auto-conservazione parlamentare e naturalmente portati a guardarsi intorno, a esplorare nuovi mondi, a sfondare vecchi confini e magari a scoprire di essere sempre stati, senza saperlo e volerlo, democratici, forzisti o post-fascisti.
Tutto sembra congiurare verso la fine dell’equivoco del Movimento 5 stelle e verso il risveglio dall’incantamento, in cui la politica italiana è rimasta imprigionata per oltre un decennio e che i partiti cosiddetti tradizionali (magari ce ne fossero) hanno provato un po’ ad arginare e un po’ a sfruttare, senza mai davvero provare a dissolverlo. Invece no. Non sta finendo un bel nulla, e quel che finirà non finirà bene.
Guardando alla situazione con un minimo di realismo politico e di rigore politologico, il caso Cinquestelle è ben lontano dalla soluzione. Per quando esca ridimensionato dai voti locali, il consenso nazionale dei post-grillini rimane tutt’altro che irrilevante e capace di condizionare, anche se non di determinare, tutti i processi politici.
Conte ha ancora tutti i numeri per fare il Ghino di Tacco del Campo Largo, anche perché il Partito democratico, fedele alla linea della possibile, ma sempre rimandata, romanizzazione dei barbari, rimane lontanissimo dall’idea di rottamare questa fallimentare esperienza neo-frontista, malgrado i ripetuti rovesci elettorali e l’evidente paralisi politica indotta dal potere di veto di Conte su tutte le scelte fondamentali, a partire da quelle di politica internazionale ed economica.
Il Movimento 5 stelle continuerà a essere una preziosa assicurazione sulla vita e sul successo della coalizione meloniana, visto che qualunque coalizione alternativa non ha i numeri per vincere e, qualora pure per miracolo li trovasse, non avrebbe quelli per governare e per decidere alcunché. La destra riesce almeno a far finta di stare dalla parte dell’Ucraina. La sinistra col M5s non riuscirebbe neppure a far questo.
C’è poi una ragione ancora più profonda per cui il fantasma del Movimento 5 stelle continuerà ad aleggiare a lungo sul destino della politica italiana ed è che, per paradossale che sembri, l’egemonia culturale per contagio conquistata dall’antipolitica grillina è stato il fenomeno politico più significativo della storia recente e rischia di essere pure il più duraturo, anche se il M5s (cosa improbabile) scomparisse da un giorno all’altro dalla scena.
Il Movimento 5 stelle in realtà ha già vinto tutto quello che doveva vincere. Ha già reso la politica italiana a propria immagine e somiglianza, ha già imposto la propria koinè gentista e fanatica come neo-lingua della chiacchiera istituzionale.
La suggestione totalitaria dell’autogoverno diretto e universale; la credenza superstiziosa in una volontà generale liberata dalle catene della rappresentanza partitica e della mediazione politica; la caccia al colpevole, al ladro o al traditore come sola forma ammissibile di partecipazione e militanza civile; la fiducia miracolistica in una fortuna propiziata dal sacrificio di capri espiatori scelti a caso nei depositi dell’odio e del pregiudizio sociale.
Tutta la politica ormai parla e pensa grillino, a destra come a sinistra, dentro e fuori dai partiti. Non a caso, il bipolarismo italiano è diventato un bipopulismo perfetto. Come l’eterno fascismo italiano non si concluse con la fine del Ventennio, il grillismo – un’altra straordinaria autobiografia politica nazionale – non si concluderà con la causa di lavoro e di divorzio tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte e si prepara a una propria diversa, perniciosa e speriamo relativa eternità.