«Signora Soncini, c’è un problema». Già la frase non mette di buonumore, perdipiù sono stanca, ho fatto quella che era così agile da arrivare dalla stazione a piedi, una passeggiata, che sarà mai, c’è pure il sole. Solo che il sole sull’abbigliamento autunnale ora fa di me una stanca e sudata, un tricheco spiaggiato che vuole solo la sua stanza, il suo frigobar, la sua doccia. Perché, tizio cui ho dato la carta di credito almeno due minuti fa, non mi hai ancora dato la mia chiave? Che problema può mai esserci?
«La sua prenotazione era per ieri, e oggi c’è la partita: non abbiamo neanche una stanza libera». Rido. Rido con la sicumera di chi prenota stanze da decenni, non scherziamo, questi errori li fanno i dilettanti, li fanno quelli che usano le agenzie di viaggi, li fanno i turisti: vuole che le racconti del settembre 2001?
A settembre del 2001 sarei dovuta andare al G8 di Genova a fare un reportage su come ci si vestiva al G8, sul dress code della rivoluzione no logo (ero giovane ma avevo già un grandissimo intuito per la notizia). Non ricordo per quale ragione poi decidemmo, con la vicedirettrice del settimanale per cui scrivevo, di non farlo. Andò come andò, e converrete sia un peccato che i miei ammiratori non possano oggi dire di me «quella scema che mentre ammazzavano di botte la gente scriveva “guardali, questi cretinetti in magliettecollescritte”, io l’avevo capito da allora quant’era ottusa».
Un mese dopo la vicedirettrice – che di tutte le pazze furiose per cui ho lavorato porta a casa il trofeo per la più pazza e la più furiosa – mi telefona ululando: come ti sei permessa di presentare una richiesta di rimborso spese per un servizio che non hai fatto? Devo aver dato una risposta intelligente tipo «Eh?».
Poi si è scoperto che, quando la segretaria di redazione aveva chiamato l’agenzia di viaggi per disdire l’albergo a Genova che aveva prenotato per me, le avevano detto qualcosa tipo «Guardi che ha prenotato per lo scorso fine settimana, mica per il prossimo», e quindi il giornale aveva dovuto pagare lo stesso la stanza in cui avrebbe dovuto dormire l’inviata al red carpet della zona rossa.
Insomma, questi sono errori che fanno gli altri, io questa cosa di sbagliare giorno non la faccio, io sono una viaggiatrice, guardi le mostro la mail di conferma, ho prenotato io con le mie manine sante, figuriamoci. E, i miei piccoli lettori avranno già capito nonostante la fitta suspense, è finita che ho aperto la mail e aveva ragione il tizio dell’albergo: avevo prenotato per la sera prima. Quindi sono andata a dormire allo sprofondo della città, in quegli alberghi di merda che nessuno vuole neppure quando ci sono le partite e la gente dorme proprio dappertutto, e ho passato i giorni successivi a dire ma com’è possibile, ma non mi era mai successo.
A me queste cose non succedono, io sembro distratta ma ho sempre la situazione sotto controllo, io compro agende inutilmente costose su cui poi non annoto mai niente, io non dico mai «mi metto un reminder sul telefono» come le mie amiche, io non perdo treni, io non sbaglio date, orari: al massimo sbaglio vestiti. Ho borbottato per giorni, con le amiche che annuivano annoiate e dicevano: ma certo, succede (e pensavano: andiamo avanti ancora molto con questo albergo sbagliato?).
Poi, alle sette di una sera feriale, ho citofonato a R. La quale R. organizzava una cena per un certo candidato a certe elezioni prossime venture. Mi aveva invitata con due settimane d’anticipo, mi sentivo lucidissima a ricordarmene, la mattina le avevo mandato un messaggino, «confermato?», «certo, ti aspettiamo!». Vedete? Ricordo tutto, ho la situazione sotto controllo.
Avevo organizzato tutta la giornata in modo da liberarmi presto, avevo prenotato il parrucchiere alle sei, poi sarei andata a piedi tanto ero vicina, non abbastanza da non dovermi fermare a comprare dei cerotti perché avevo sopravvalutato la mia capacità di camminare in scarpe autunnali, ma era una sera tiepida e piacevole, certo non abbastanza tiepida e piacevole da non farmi venire una crisi isterica in farmacia comprando i cerotti, «che cazzo di caldo», la farmacista con un dolcevita di lana aveva guardato il mio vestito di seta dicendomi che lei non aveva caldo; «si vede che non ha la menopausa», avevo sibilato.
Quando ho citofonato a R., mi hanno aperto il primo cancello. Al secondo, c’era qualcuna che non era R., che dal buio mi chiedeva chi fossi. Ho pensato: che razza di modi, prima organizzi una cena e poi neanche accendi le luci nell’ingresso. Ho dichiarato le mie generalità. La signora, assai più sveglia di me, ha capito subito che non ero lì per vendere Torre di Guardia: ah, ha sbagliato sera. Mogol avrebbe detto: ricordo, sono morto in un momento.
La frase successiva la signora (che poi ho appreso essere la madre di R.) l’ha detta voltandosi verso un rumore: la bambina dormiva. Sono arrivata la sera sbagliata, vestita a festa come una cogliona, ho svegliato una bambina di pochi mesi e pure la povera R. che si riposava – in una sera in cui poteva farlo, invece di accogliere venditori porta a porta di elettrodomestici.
Uscita da lì – dopo aver promesso di tornare la sera dopo, sera dopo in cui mi sarei sentita in dovere di fare l’autoironica dicendo a tutti con simulata allegria «ma vi rendete conto, sono venuta la sera sbagliata», mentre dentro ero ancora morta dall’imbarazzo – ho telefonato a chiunque: la lezione di Nora Ephron vale sempre, le figuracce bisogna raccontarle per primi. Più muori dentro più è materiale, più muori dentro più corri a fare la spiritosa prima che qualcun altro si appropri della storia.
A un certo punto un’amica mi ha detto: così impari a essere contenta della menopausa. Ma cosa c’entra la menopausa. Brain fog. Ma brain fog non è quella che ti viene quando partorisci? Non dovrebbe avercela R., che invece tiene in bilico tutti i birilli, cene elettorali, trasferte di lavoro, allattamento, pisolini solo quando c’è la madre in visita? Macché, mi dice l’amica: brain fog, tipico della menopausa.
Torno a casa e la prima cosa che faccio è andare su Web MD, il più autorevole sito di sintomi. Mi dà un elenco di ragioni per la nebbia nel cervello, non ho capito se in ordine di plausibilità, di diffusione, di spavento.
Al primo posto la gravidanza, e direi che possiamo escludere. Al secondo posto la sclerosi multipla, e spererei non fosse neanche quella la causa. Medicinali di cui la nebbia può essere controindicazione. Chemioterapia. Cancro al cervello. Mentre sto pensando «quale allegria», arriva finalmente la menopausa. Seguita da altre ragioni possibili di nebbia al cervello, tra cui il lupus, che per quante puntate di “House” abbia visto non ho mai capito cosa fosse. E pure il sonno. Il non dormire abbastanza ma anche l’aver dormito troppo. Oddio, ma io in effetti quella mattina mi ero svegliata alle dieci, una cosa che non mi era mai capitata nella vita adulta.
Ora devo solo ricordarmi a che ora mi fossi svegliata il giorno in cui ho prenotato l’albergo sbagliato, e capire se esiste una terapia per questa nebbia, e la terapia è tornare me stessa, cioè insonne. Però, se poi invece la causa è la menopausa e io continuo a non sapere che giorno sia anche dormendo tre ore invece di dieci, sai che smacco.
Certo, c’è sempre una possibilità, ma non voglio prenderla in considerazione se proprio non ci sono costretta. C’è la possibilità di sapere che giorno devi andare nella tal città, che giorno è programmata la tal cena, che giorno è quello in cui scrivo questo articolo e che giorno è quello in cui esce, di sapere le date giuste semplicemente perché i numeri dei giorni ti costringe la vita a saperli, e non passi il tempo a chiedere «ma oggi non è sabato?, ah, credevo fosse sabato» come da decenni faccio io, come facciamo noi felici pochi che non abbiamo mai avuto un lavoro vero e quindi non possediamo una sveglia, un calendario, un senso del dovere, un superio, un cane da portare a pisciare, un figlio da portare a scuola.
Ripensandoci, questo doppio errore a distanza ravvicinata è stato sì un trauma, ma non abbastanza devastante da trasformarmi in quella che non sono, non posso essere, non voglio essere. Un membro produttivo della società. Una persona efficiente. Una che sa che giorno è oggi.