Mentre il mondo è in preda a una drammatica escalation militare, l’Assemblea delle Nazioni Unite (Unga) ha approvato il 22 settembre “per consenso” – dopo un lungo negoziato facilitato da Germania e Namibia – il “Patto per il Futuro” insieme al “Global Digital Compact” e alla “Dichiarazione per le generazioni future”, a conclusione del vertice ispirato nel 2021 dal segretario generale Guterres a cui hanno partecipato centocinquanta leader e oltre quattromila rappresentanti di organizzazioni da tutto il mondo.
L’approvazione è avvenuta grazie alla compattezza del gruppo dei paesi africani e nonostante il voto contrario di Russia, Bielorussia, Nicaragua, Corea del Nord, Argentina, Siria e Iran insieme all’astensione di Cina, Algeria, Bolivia e Thailandia, sancendo così un’evidente spaccatura fra i dieci membri del nuovo gruppo dei Brics e l’isolamento dei paesi ostili al “Patto” all’interno del G20.
Con cinquantasei proposte non vincolanti di «azioni» suddivise in cinque grandi temi (pace e sicurezza; sviluppo sostenibile, clima; finanza per lo sviluppo; cooperazione digitale; giovani e future generazioni; diritti fondamentali e equilibrio di genere), il “Patto” e i due documenti allegati riprendono e rilanciano parte dei diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile adottati dall’Assemblea nove anni fa nel quadro dell’“Agenda 2030”, la cui scadenza si avvicina in un disordine mondiale e con drammatiche incompletezze e significativi ritardi.
Rispetto all’Agenda 2030, il “Patto”, insieme ai due testi complementari, include questioni di cui si discuteva senza risultati da anni: il tema della governance multilaterale con particolare riferimento al ruolo del Consiglio di Sicurezza, alla sua rappresentatività, alla sua efficacia e ai rapporti con l’Assemblea; l’impegno poco meno che volenteroso sulla riduzione delle armi nucleari insieme al disuso di tecnologie belliche letali; l’idea della riforma dell’architettura finanziaria internazionale a cominciare dal FMI e dalla Banca Mondiale insieme al ruolo del Wto; il tema dei debiti pubblici nazionali e un livello minimo di tassazione globale; l’uso delle nuove tecnologie digitali per tutti; la partecipazione dei giovani al processo decisionale nel quadro delle Nazioni Unite.
Sembrerebbe l’inizio di un nuovo “multilateralismo” per sostituire il disordine di un crescente multipolarismo conflittuale con un processo dove il futuro – ancora indefinito nei tempi e senza l’indicazione di strumenti adeguati per renderlo concreto – dovrebbe preludere al passaggio da una governance fondata sulle sovranità assolute degli Stati (peraltro ribadita dai governi nelle parti più sensibili del “Patto”) a una governance fondata su una sovranità tendenzialmente condivisa.
Essa renderebbe vincolanti alcune decisioni inizialmente legate alla materia ambientale (il processo di decisione nelle “Conferenze delle parti” o Cop), alla dimensione finanziaria nelle organizzazioni internazionali e alla sicurezza nelle cooperazioni regionali (Europa, Medio Oriente, Asia, Africa).
Frutto di un compromesso – che aveva suscitato negli ultimi giorni prima della sua approvazione la delusione di Antonio Guterres – il “Patto” è stato da una parte largamente ignorato dalla stampa internazionale, che si è concentrata in Italia sulla bonne entente fra Elon Musk e Giorgia Meloni (convinta che «non dobbiamo vergognarci delle parole nazione e patria»), ma è stato giudicato invece dagli addetti ai lavori e da molti partecipanti come la base «per il governo dei futuri equilibri mondiali futuri».
Sui grandi temi che riguardano il funzionamento delle Nazioni Unite, a partire dalla riforma del Consiglio di Sicurezza, il processo sarà lungo e irto di ostacoli se si tiene conto delle divisioni fra i paesi sostenitori del Patto, dell’ostilità russo-cinese con i loro alleati e del diritto di veto dei membri permanenti che paralizza ogni decisione.
Vogliamo attirare l’attenzione su alcuni preoccupanti silenzi e lanciare una proposta a livello dell’Unione europea che si prepara a fissare le sue priorità per la legislatura 2024-2029. Il primo silenzio assordante riguarda il tema della democrazia – o meglio, del declino della democrazia nel mondo e della crescita degli autoritarismi – come condizione essenziale per la realizzazione dì una nuova governance mondiale.
Si tratta fra l’altro della difesa della libertà di stampa di cui non si parla nemmeno nel Digital Compact, dell’indipendenza della magistratura e dei principi della democrazia rappresentativa nei processi elettorali, della lotta alla disinformazione e alle ingerenze esterne, delle violazioni dei diritti politici e delle forme di repressioni delle organizzazioni rappresentative della società civile. In questo quadro si colloca l’assenza di strumenti per la creazione di un vero spazio pubblico internazionale al fine di andare al di là del sistema di riconoscimento delle organizzazioni non governative da parte delle Nazioni Unite.
Il secondo silenzio riguarda il tema della finanza etica come strumento per la realizzazione degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile che richiedono un forte partenariato pubblico/privato così come definito dal diciassettesimo Sdg. Il tema della finanza riguarda la riforma delle organizzazioni internazionali che evoca implicitamente l’alternativa fra la soluzione di una global currency svincolata da qualsiasi rapporto con un’entità statale emittente e affidata al controllo del Fmi opportunamente rinnovato e potenziato o la costituzione di una moneta internazionale “paniere” (basket currency) seguendo un percorso simile a quello che ha portato dallo Sme all’Euro lasciando aperta la questione della riforma dei diritti speciali di prelievo istituiti nel 1969 per individuare uno strumento di liquidità internazionale alternativo al dollaro.
Il terzo silenzio riguarda l’impegno a mantenere dritta la barra – o a considerare gli accordi di Parigi sul clima come la bussola – per la realizzazione di tutti gli obiettivi dell’Agenda 2030 nei termini e nei tempi concordati quasi dieci anni fa e sui quali si levano oggi dubbi e ostilità come sta avvenendo nella campagna presidenziale americana, anche da parte di Kamala Harris, o nell’azione demolitrice in corso nell’Unione europea sui temi della deforestazione e dei trasporti “puliti” di chi vuole riformare decisioni già prese o anticipare la loro revisione.
Il quarto silenzio assordante riguarda le politiche migratorie – le cui cause e i cui effetti sono strettamente legati ai temi della pace, della sicurezza, dello sviluppo sostenibile, dei giovani e delle future generazioni – sottoposte in misura crescente a una vasta azione securitaria di chiusure nazionali che minano la solidarietà internazionale, i diritti fondamentali e i principi della libera circolazione in palese contraddizione con la crisi demografica e l’invecchiamento delle popolazioni nei paesi sviluppati ma anche con il calo sostanziale degli arrivi irregolari nel 2024 (meno trentanove per cento nella sola Unione europea).
Il “Patto” ignora un altro patto onusiano e cioè quello sulle politiche migratorie sicure, ordinate e regolari approvato da centosessantadue Stati membri dalle Nazioni Unite a Marrakech il 10 dicembre 2018 come seguito della Dichiarazione di New York del 2016 sui migranti e sui rifugiati e poi formalmente adottato da centocinquantadue membri dell’Assemblea delle Nazioni Unite a New York il 19 dicembre 2018.
Ci furono il voto contrario degli Stati Uniti di Donald Trump, dell’Ungheria di Viktor Orban, di Israele, della Polonia e della Repubblica Ceca e l’astensione di Algeria, Australia, Austria, Bulgaria, Cile, Italia, Lettonia, Libia, Liechtenstein, Romania, Svizzera e Singapore ma salutato dalla Germania di Angela Merkel come un «successo evidente per il multilateralismo per garantire ai migranti condizioni umane» e dalla Francia di Emmanuel Macron che ha salutato «la consacrazione della cooperazione internazionale come la sola via possibile alla gestione dei flussi migratori».
Poiché il “Patto per il futuro” e i due documenti complementari – nonostante questi silenzi – hanno avuto il consenso dell’insieme dell’Unione europea, le istituzioni europee dovrebbero dare un immediato e concreto segnale considerandoli politicamente vincolanti per la futura politica estera europea e per i suoi rapporti con le Nazioni Unite e sapendo che il Trattato di Lisbona (art. 34.1 TUE) prevede esplicitamente che «gli Stati membri coordinano le loro azioni all’interno delle organizzazioni internazionali».
Gli Stati europei che fanno parte del Consiglio di sicurezza (attualmente Francia come membro permanente e Malta, dal 2025 al 2026 Francia, Danimarca e Grecia) possono «chiedere all’Alto Rappresentante di esprimersi a nome dell’Unione europea» (art. 34.2 TUE) come è avvenuto il 26 settembre con l’intervento di Josep Borrell sulla situazione in Libano. Il Patto con i suoi documenti copre molti settori delle politiche europee e dunque le competenze di vari commissari e di varie commissioni parlamentari coinvolgendo nelle azioni di attuazione e di monitoraggio le organizzazioni della società civile.
Proponiamo al Parlamento europeo di creare un «intergruppo sul Patto per il futuro, il global digital compact e le generazioni future» come spazio di dialogo aperto, trasparente e regolare fra i deputati europei e le associazioni rappresentative a cominciare dalle organizzazioni giovanili.