La spesa militare della Russia sta mostrando segnali di esaurimento, creando un «impatto negativo sulla economia particolarmente evidente intorno all’estate del 2025». A dirlo è Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence della difesa ucraina, durante il ventesimo incontro della Yalta European Strategy a Kyjiv. Secondo Budanov, il Cremlino vorrebbe cercare di concludere la guerra entro l’estate prossima a causa degli effetti negativi della spesa bellica sull’economia. Se il conflitto dovesse continuare, la Russia si troverebbe a dover scegliere tra mobilitare più uomini a discapito della stabilità economica del Paese e ridurre l’intensità dei combattimenti.
Come spiega l’analista di Riddle Russia Nick Trickett, dopo la ripresa post-Covid, il governo russo ha dovuto affrontare l’ondata di inflazione derivante dai lockdown e dall’aumento dei costi delle materie prime. Uno dei principali problemi è la quota dei servizi nella spesa complessiva dell’economia, che si attestava sotto il quaranta per cento. Un numero abbastanza basso, soprattutto se paragonato al cinquanta-settanta per cento registrato in Europa e Nord America.
Inoltre, la Russia si trova ad affrontare un grave problema demografico: la forza lavoro è in diminuzione, mentre la popolazione in età avanzata sta crescendo. Secondo i dati di Rosstat, tra il 2010 e il 2023 i cittadini tra i venti e i sessant’anni sono diminuiti in media dello 0,7 per cento, mentre gli over sessanta sono aumentati del due per cento all’anno. Una situazione che da un lato riduce la capacità produttiva del paese e dall’altro aumenta la pressione su un sistema già in sovraccarico e che ha bisogno di mobilitare altri soldati per il conflitto.
Le spese per la guerra non hanno soltanto un impatto sull’economia, ma influenzano anche in maniera concreta la vita quotidiana dei cittadini russi. L’uso di incentivi economici per reclutare soldati, insieme a un alto tasso di mortalità tra i combattenti, contribuisce a una scarsità di manodopera. Questo porta a una maggiore pressione nella sfera lavorativa: le imprese, per attrarre lavoratori, sono costrette a offrire stipendi più alti, e questo alimenta ulteriormente l’inflazione. In più, il «keynesismo militare» adottato dal Cremlino, che cerca di stimolare l’economia attraverso la spesa per la difesa, si sta rivelando insostenibile. Le sanzioni internazionali, la pressione demografica e le inefficienze strutturali amplificano i problemi economici, rendendo difficile per il governo mantenere un equilibrio tra spesa pubblica e stabilità economica.
Il Cremlino ha annunciato l’ultimo aumento dei tassi di interesse al diciannove per cento, ma Elvira Nabiullina, presidente della Banca centrale della Federazione Russa, non esclude che la cifra aumentare presto di un punto percentuale per poter riportare l’inflazione al quattro per cento entro il 2025. In più, il rallentamento della crescita dei prestiti al consumo e l’aumento dei costi dei beni importati indicano che il potere d’acquisto dei russi sta diminuendo. E anche la produzione interna, in particolare nei settori chiave come quello dei metalli, non riesce più a soddisfare la domanda crescente. Molti beni vengono assorbiti dal settore militare, che accede al credito a tassi di interesse inferiori rispetto a quelli di mercato, a scapito delle esigenze della popolazione civile.
Secondo i dati di Rosstat, la produzione dei metalli, alimentata dalla guerra, è raddoppiata rispetto a quando è cominciata l’invasione in Ucraina. Ma la produzione manifatturiera complessiva, nello stesso periodo, è aumentata solo del 10,4 per cento. Il settore dei metalli e dei prodotti metallici ha ricevuto circa il 3% degli investimenti totali in beni fissi dal 2018. Tenendo conto dell’inflazione, gli investimenti netti in beni fissi sono cresciuti di circa il diciannove per cento annuo nel 2022 e 2023, portando a un aumento complessivo del quarantadue per cento rispetto al 2021.
La produttività però è aumentata principalmente perché le persone hanno cominciato a lavorare di più, in modo da guadagnare salari più elevati. Ma questo aumento non è andato di pari passo con gli investimenti. La domanda di acciaio, ad esempio, è cresciuta solo del sette per cento nel 2023 rispetto al 2022, nonostante l’aumento significativo della produzione di metalli. E nei primi sei mesi del 2023 l’aumento è stato solo dello 0,6 per cento, mentre la produzione netta è scesa rispetto ai livelli del 2021.
Le tensioni internazionali sono un altro fattore che sta influenzando le prospettive economiche di Mosca. L’isolamento economico e le sanzioni imposte dai paesi occidentali stanno creando un ambiente di incertezza, limitando le opportunità di commercio e investimento. La Russia sta cercando di rafforzare i legami commerciali con paesi non occidentali, ma queste alleanze non possono compensare completamente la perdita di accesso ai mercati globali.