Eccezione vulcanica I vini dell’Etna se la passano meglio di molti altri

In un contesto di mercato difficile su scala mondiale, la produzione vinicola posta sulle pendici del più grande vulcano attivo d’Europa riesce a posizionarsi bene e vive una fase di crescita

Vigneti vista Etna, azienda Alcantàra, foto di Eugenia Torelli

Stretta sul potere d’acquisto, giovani-chimera che bevono meno alcolici, campagne anti-alcol. Ormai è cosa nota, in termini di consumi il settore del vino non sta passando un bel momento. In questo contesto però ci sono denominazioni che sembrano viaggiare in controtendenza e tra queste c’è l’Etna Doc, che da dieci anni a questa parte è protagonista di una vera e propria ascesa, registrando risultati importanti soprattutto in termini di posizionamento, come dimostrano i dati relativi al mercato statunitense presentati dall’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv) in occasione degli Etna Days 2024.

Se da una parte i vini del vulcano fanno presa a livello sensoriale, dall’altra possono giocare la carta di un terroir difficilmente eguagliabile – il più grande vulcano attivo d’Europa – che non funziona soltanto da carattere distintivo per il territorio, ma anche da brand ambassador.

Calo sì, ma con moderazione
Un esempio interessante viene dal mercato statunitense, una piazza chiave per l’export vinicolo italiano. Qui, secondo i dati della piattaforma americana SipSource analizzati dall’Osservatorio Uiv, nella maggior parte degli esercizi commerciali le vendite di vino del primo semestre di quest’anno risultano in calo dell’8,8 per cento, con il made in Italy a -6,4 per cento. Se si osservano i vini dell’Etna, il calo si riduce drasticamente: solo -0,2 per cento, tra bianchi, rossi e rosati. «Le premesse per un 2024 difficile c’erano tutte» dice il presidente del Consorzio Etna Doc Francesco Cambria. «Una vendemmia a meno 42,5 per cento, calo del prodotto imbottigliato, un rallentamento globale dei consumi e in particolare negli Stati Uniti, nostro principale mercato di sbocco. Invece nel primo semestre la denominazione ha tenuto e si è consolidata».

Infatti, nonostante la denominazione produca appena il sei per cento del totale del vino Doc e Docg imbottigliato in Sicilia, negli Stati Uniti l’Etna Doc rappresenta il ventotto per cento del vino siciliano consumato. E se dai volumi si passa a ragionare di valori, la percentuale sale.

Vigneti nella tenuta Feudo dell’azienda Girolamo Russo, ph. Eugenia Torelli

La leva del posizionamento
Il fatto è che i vini Etna Doc arrivano sul mercato con un posizionamento medio piuttosto buono. Sempre secondo i dati dell’Osservatorio Uiv, nella distribuzione statunitense, ad esempio, il prezzo medio si attesta intorno ai ventisei dollari al litro – vale a dire circa il triplo rispetto alla media degli altri vini siciliani – e questo incide anche sul canale di approdo delle bottiglie. Mentre più di tre quarti dei vini italiani vengono venduti nella grande distribuzione e nei liquor store, i vini etnei trovano come primo canale di consumo quello del fuori casa, ovvero ristoranti, bar e hotel. Un canale in cui, a differenza dei vini italiani (in calo del 4,5 per cento), crescono nelle vendite del 2,6 per cento. Migliore, seppur nella negatività, anche la performance nel canale retail, in cui le vendite di Etna Doc si riducono meno rispetto a quelle del vino italiano e della categoria vino in generale (in cifre, un calo del 4,5 per cento contro il 7 per cento del vino italiano e il 9 per cento della categoria).

Produzione ed enoturismo in crescita
Grandi acidità, sapidità potenti, ma anche un fascino immateriale che trascende il prodotto e si lega a un mito, quello del vulcano, che da sempre esercita sull’uomo un richiamo ancestrale. Il boom dei vini dell’Etna sembra giocare su una duplice forza attrattiva, quella dei sensi, sollecitati da caratteristiche organolettiche distintive, e quella del territorio di origine, un ambiente naturale in grado di stregare.

L’ascesa che ha interessato i vini dell’Etna negli ultimi dieci anni è stata importante: superficie vitata ampliata del settanta per cento e imbottigliato quadruplicato fino agli attuali sei milioni l’anno. Non sono certo cifre da grandi volumi, ma sono bastate perché il Consorzio di tutela corresse ai ripari, contingentando l’iscrizione di nuovi vigneti per rallentare l’aumento della produzione. Oggi tra gli obiettivi c’è quello di passare da Doc a Docg.

Grappoli di Carricante nell’azienda Terre di Montalto, ph. Eugenia Torelli

Proprio la particolarità del territorio traina anche l’enoturismo. Negli ultimi otto anni gli arrivi nei comuni della Doc sono cresciuti del tredici per cento, raggiungendo quota duecentomila, con poco meno di mezzo milione di presenze ufficiali, di cui due terzi provenienti dall’estero, tra cui gli americani.

Effetto Etna
Seppur con le dovute e sostanziali differenze, per certi versi il fenomeno Etna ricorda un po’ quello della Toscana, il cui immaginario fatto di paesaggi bucolici, borghi e città dalla bellezza struggente trasforma da solo il nome della regione in un vero e proprio brand. Ecco, per il vino il vulcano ha tutta l’aria di giocare da brand, oltre che come territorio, con tutto il suo portato narrativo legato alle difficoltà – reali – di fare viticoltura eroica sulle pendici di un vulcano attivo (ecco un articolo per approfondire il tema).

In un periodo difficile per il mercato del vino come quello attuale, il forte appeal del territorio è un asset da non sottovalutare. Oggi la denominazione raggruppa un insieme piuttosto eterogeneo di aziende, molte delle quali parecchio giovani, nate (o rinate) negli ultimi dieci-quindici anni e ancora al lavoro per approfondire le potenzialità dei propri terreni e delle proprie uve. Servirà necessariamente del tempo prima di raggiungere una maturità produttiva condivisa e le scelte del Consorzio di tutela saranno fondamentali, da una parte per favorire una crescita omogenea di tutti i produttori e dall’altra per controllare la fase di ascesa, senza cedere alle lusinghe dei volumi.

Vigneti nella tenuta Sciara della nuova azienda Planeta, ph. Eugenia Torelli

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