Ed è subito Etna Un ossimoro territoriale

Di quella volta in cui qualcuno mi ha spiegato le eruzioni vulcaniche con una birra, alle falde dell’Etna

Foto di Andrea Moser

Una recente visita all’Etna mi ha fatto capire quanto qui vi sia l’incarnazione di un ossimoro territoriale. Sulle pendici del vulcano c’è, al contempo, creazione e distruzione: un terroir che genera sé stesso ma che ha anche il potere di distruggere e distruggersi. La vita e la morte convivono su questa nera montagna. Qui c’è l’antichissimo e il nuovissimo, ci sono le viti prefilosseriche nella terra antica, e i vigneti nuovi infilati su colate molto recenti, su terreni che si stanno ancora formando. Età del terreno a parte, qui convivono una viticoltura antichissima ad alberello e i nuovi impianti gestiti a Guyot, perché ogni epoca ha la sua forma di allevamento, i suoi modi e i suoi tempi.

La montagna e il mare sono opposti e vicini, uno guarda l’altro, fronteggiandosi. Le due varietà principali, il Carricante e il Nerello mascalese, sono espressione unica di questa zona così particolare, facile da comunicare e facile da capire. Una zona viticola ampia e ormai chiusa per la Doc, definita, con un profilo orografico che rappresenta la chiusura del cerchio, una sorta di C rovesciata che abbraccia Sud, Est e Nord, da circa 300 metri slm fino agli 800 metri. Il lato Ovest invece non è sfruttato, in parte per la presenza di terreni e colate troppo giovani e in parte per la presenza di colate ancora attive che minaccerebbero ogni forma di agricoltura.

Foto di Andrea Moser

Secondo Davide Puca, ricercatore in semiotica e docente del corso in “Comunicazione per l’enogastronomia” dell’Università di Palermo, l’attuale successo del terroir etneo e dei vini Etna Doc è motivato prima di tutto da un successo culturale. «L’identità dei vini dell’Etna ha saputo aderire e giocare col simbolo potentissimo del vulcano, ed è in continuità con una sua mitologia millenaria che è patrimonio comune. Che cos’è un mito? Da un punto di vista antropologico e semiotico, una soluzione narrativa agli opposti inconciliabili della nostra esistenza. Che cos’è l’Etna? Un simbolo mitico: morte e vita; nutrimento e distruzione; gaia e cton; abisso e altezza; peso ed etere; materia e spiritualità; acqua e fuoco; terra e gas; natura e cultura; un triangolo di profilo e un cerchio dall’alto.

Si potrebbe andare avanti a lungo, ma ciò che conta è che questa solida struttura simbolica sia migrata ed espressa nell’identità dei vini, nelle etichette, nelle architetture delle cantine, persino nell’esperienza organolettica: vini meridionali ma settentrionali; freschi ma caldi; cristallini ma materici; esili ma di spessore.

Il successo repentino dell’Etna mostra in modo eccellente come la comunicazione del terroir sia una materia di cultural branding. Oggi più che mai il terroir non va letto come un monologo tra suolo e bevanda, ma come una rete di fili rossi culturali che tengono il vino ben stretto con un intorno vario e articolato. E intorno al vino, o ancora meglio al di sotto, c’è quasi sempre più di quanto tendiamo a vedere».

E a questo proposito, l’unica difficoltà di narrazione e la futura sfida comunicativa della zona sono e saranno sicuramente “le contrade”: non sono infatti solo dei toponimi, ma rappresentano con le loro divisioni anche questioni politiche o per meglio dire di buon vicinato. Questa parcellizzazione è e sarà comunque un vantaggio per questa zona, perché permetterà di arrivare a una specificità di uve e terroir molto simile a quella che troviamo in Borgogna, parcelle che si coltivano e vinificano separatamente, definendo in maniera quasi scientifica le diverse provenienze e dando nel bicchiere le differenti caratteristiche di ciascuna piccola parte di vigneto e terroir. Un processo che richiederà sicuramente molto impegno e molto buon senso da parte di tutti gli attori che partecipano e parteciperanno alla loro definizione e comunicazione futura.

Se infatti l’Etna e le sue contrade vengono definite molto spesso “il Pinot Nero del Sud” o “la Borgogna del Sud” dobbiamo però tener ben presente che l’attuale definizione dei terroir di Borgogna è sì tale da tempo immemore, ma è stata così determinata grazie al lavoro certosino, continuo e preciso dei monaci che per decine e decine di anni hanno valutato, assaggiato, provato e definito ogni singolo metro del loro territorio. Un lavoro che è appena iniziato in questa giovane, ma al tempo stesso antica, terra viticola.

Foto di Andrea Moser

Questa montagna è affascinante e aspra, fatta di colate diverse, riporti di ruscelli, spostamenti di terra, ma anche costruzioni: un luogo modificato dalla natura ma anche dall’uomo, dove convivono nelle costruzioni il vecchio e il nuovo, architetti di grido e palmeti del 1600 si alternano senza mai osteggiarsi, ma anzi spalleggiandosi a vicenda per creare un mix armonico bello ed efficace.

Un luogo fuori dal tempo: qui ci sono passato, presente e futuro, del territorio e del vino. Ed è bello che a raccontare tutto questo sia proprio il risultato nel bicchiere.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club