Minoranza UrsulaAvviso ai navigant europei: nebbia fitta tra Bruxelles e Strasburgo

Non sappiamo quando entrerà davvero in funzione la prossima Commissione europea, ma per evitare il rischio di perpetuare uno status quo improduttivo, il Parlamento Ue dovrebbe elaborare presto una risoluzione programmatica che delinei le priorità strategiche di questa legislatura

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Non sappiamo ancora come si concluderà fra Bruxelles e Strasburgo la saga della formazione e dell’entrata in funzione della nuova Commissione europea che non è “il Governo” dell’Unione europea ma non è più da tempo un organo solo tecnico come qualcuno la qualifica ignorandone le crescenti funzioni politiche. Se la nuova Commissione entrerà in funzione il 1° dicembre saranno trascorsi sei mesi dalle elezioni europee che si sono svolte agli inizi di giugno con un tempo di formazione che non differisce molto dai tempi lunghi dei negoziati che caratterizzano la formazione dei Governi in alcuni Paesi con sistemi multipartitici come il Belgio, i Paesi Bassi ma anche la Germania Federale.

Per chi non conosce bene le complesse procedure europee vale la pena di ricordare che la formazione della Commissione europea avviene attraverso ben nove tappe che coinvolgono i Partiti europei (1), gli elettori e le elettrici (2), il Consiglio europeo (3), il Parlamento europeo (4), i Governi nazionali (5), il Consiglio dell’Unione (6), le commissioni parlamentari (7), di nuovo il Parlamento europeo (8) e infine di nuovo il Consiglio europeo (9) con un mosaico di maggioranze che va da quella semplice dei votanti nel Parlamento europeo a quella qualificata nel Consiglio europeo prevedendo anche una maggioranza di 2/3 per approvare o respingere un candidato-commissario in una commissione parlamentare.

La saga inizia con la nomina dei “candidati di punta” e cioè gli Spitzenkandidaten secondo la formula inventata nel 2013 dal socialdemocratico tedesco Martin Schulz nella non tanto segreta speranza di poter conquistare la poltrona di Presidente della Commissione europea sottraendola ai Popolari europei con un metodo non previsto dai trattati, non integrato nelle procedure elettorali europee esclusivamente nazionali e non condiviso dal Consiglio europeo.

Dopo le elezioni europee del 2014 il Consiglio europeo, che agiva per la prima volta sulla base del Trattato di Lisbona entrato in vigore nel dicembre 2009, nominò il lussemburghese Jean-Claude Juncker indicato come Spitzenkandidat dal PPE che fu eletto con una larga maggioranza europeista dal Parlamento europeo e che assunse l’incarico con la propria Commissione il 1° novembre 2014.

Nel 2019 il Consiglio europeo non ha accolto la scelta degli Spitzenkandidaten fatta dai Partiti europei e ha proposto al Parlamento europeo – su suggerimento di Emmanuel Macron e Angela Merkel – la popolare tedesca Ursula von der Leyen la cui Commissione è entrata in funzione il 1° dicembre 2019 con una maggioranza chiamata “Ursula” che comprendeva non solo i Popolari, i Socialisti ed i Liberali ma anche i conservatori polacchi del PiS e non i parlamentari di Fratelli d’Italia con un voto che spaccò il gruppo ECR.

Nel 2024 quattro Partiti europei (PPE, S&D, Verdi e Sinistre) hanno eletto i loro Spitzenkandidaten e la scelta del Consiglio europeo è caduta a maggioranza qualificata su Ursula von der Leyen, candidata del PPE sulla base di un negoziato condotto dai primi ministri popolari (Donald Tusk e Kyriakos Mitzotakis), socialisti (Olaf Scholz e Pedro Sanchez) e liberali (Emmanuel Macron e Mark Rutte) non a nome dei propri Governi ma delle loro famiglie politiche avendo annunciato preliminarmente Giorgia Meloni che ella avrebbe agito nel Consiglio europeo non a nome del suo Governo ma del Partito europeo ECR da lei attualmente presieduto con l’obiettivo di rovesciare la tradizionale grande coalizione fra Popolari e Socialisti.

La maggioranza “Ursula”, con l’esclusione del PiS polacco ma con il sostegno dei Verdi, si è consolidata nell’elezione di Ursula von der Leyen davanti al Parlamento europeo il 18 luglio a maggioranza assoluta con una coalizione occasionale pro-europea da cui si sono auto-esclusi i tre gruppi euro-ostili di destra (Patrioti, Conservatori e Sovranisti) ma anche le sinistre (Left e non iscritti). Sulla base dei suggerimenti fatti dagli Stati membri e d’accordo con Ursula von der Leyen il Consiglio dell’Unione ha adottato a maggioranza qualificata (ma di fatto senza opposizioni) la lista delle ventisei “personalità” che ha proposto al Parlamento europeo di approvare nella nuova Commissione.

Come sappiamo, i candidati-commissari sono stati auditi dalle commissioni parlamentari fra il 4 e il 12 novembre sulla base delle competenze (“portafogli”) loro assegnate da Ursula von der Leyen in una ripartizione – che qualcuno ha definito “caotica” – negoziata in molti casi con i Governi nazionali. Con il sostegno di una maggioranza parlamentare di 2/3 nelle audizioni in commissione diciannove candidati hanno superato l’esame ma resta ancora in sospeso l’accordo sul candidato ungherese Olivér Varhelyi – che dovrebbe avere il portafoglio della salute e del benessere degli animali – per le sue posizioni contestate sui diritti riproduttivi e sessuali delle donne.

Restano soprattutto in sospeso i sei candidati vicepresidenti – cosiddetti esecutivi – fra i quali la socialista spagnola Teresa Ribera la cui nomina e il cui portafoglio sulla transizione ambientale sono contestati dal PPE che vorrebbe scaricare su di lei in quanto vicepresidente del Governo spagnolo le gravi responsabilità del Governatore della Comunità valenciana Carlos Mazon sui gravi danni fisici e umani della recente alluvione.

In subordine rispetto alla nomina di  Teresa Ribera –  che Socialisti, Verdi e Liberali considerano dirimente per confermare la fiducia all’intera Commissione – il conflitto parlamentare riguarda anche la vicepresidenza esecutiva a Raffaele Fitto, di cui non è tuttavia in discussione il portafoglio della politica di coesione e delle riforme regionali attualmente nella competenza della socialista portoghese Elisa Ferreira, con il conseguente allargamento della maggioranza “Ursula” pro-europea al gruppo ECR e ai parlamentari europei di Fratelli d’Italia che il 18 luglio hanno respinto la fiducia a Ursula von der Leyen.

Di fronte a questa conflittualità insieme nazionale (spagnola ma condivisa dal PPE e in particolare dal suo capo gruppo Manfred Weber che ha bisogno del sostegno del Partido Popular per essere rieletto alla testa del PPE, che lavora da tempo dentro e fuori del PE per costruire una coalizione europea non occasionale di destra già battezzata maggioranza “Venezuela” e che guarda a questa vicenda europea anche in una logica tedesca in vista delle elezioni federali del 23 febbraio) ed europea legata alla eventuale conferma della maggioranza “Ursula”, tutti gli scenari sono possibili ed è impossibile fare previsioni oggi su quello che avverrà a Strasburgo nella sessione plenaria che inizia il 25 novembre. Prescindendo dagli scenari possibili, è invece importante che le forze europeiste nel Parlamento europeo diano avvio immediatamente all’elaborazione di una risoluzione programmatica che definisca le priorità della prossima legislatura 2024-2029.

Contrariamente a quel che è avvenuto in passato quando il Parlamento europeo ha preso atto approvandolo del piano di lavoro dell’Esecutivo, questa risoluzione dovrà evitare di far prevalere fra le istituzioni un “gattopardo europeo” accompagnando e condizionando invece il voto di fiducia alla prossima Commissione sui temi della riforma dell’Unione europea e dell’allargamento, della democrazia e del rispetto dello stato di diritto, della conversione ecologica e della transizione digitale, del welfare europeo, della autonomia strategica e del contributo dell’Unione europea alla pace, di una politica migratoria di inclusione e di accoglienza, della cooperazione con i Paesi del Sud del mondo e di un bilancio pluriennale 2028-2032 finanziato da risorse proprie e da debito pubblico che garantisca investimenti in beni pubblici europei.

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