Questo novembre, l’Istituto Luce ha celebrato il centesimo anniversario della sua fondazione. Un traguardo che porta con sé la responsabilità di custodire e valorizzare un patrimonio culturale inestimabile, composto da reportage, cinegiornali, documentari, cortometraggi d’autore, mediometraggi e lungometraggi di finzione che hanno contribuito a rendere grande il cinema italiano. Un patrimonio che, ancora oggi, rappresenta uno strumento fondamentale per interpretare la complessità della nostra società.
Da qui nasce il desiderio di Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, di celebrare questo anniversario così significativo con un film a episodi in stile commedia italiana dal titolo “100 di questi anni”, affidato non a uno, ma a ben sette registi, tra cui Michela Andreozzi, Massimiliano Bruno, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Francesca Mazzoleni, Rocco Papaleo e Sydney Sibilia. Ciascuno di loro ha avuto l’opportunità di confrontarsi con il vasto materiale dell’Archivio Luce, reinterpretandolo per dar vita a finte autobiografie, storie surreali e vicende improbabili che oscillano tra passato e presente, realtà e finzione, esplorando temi che spaziano dal cinema allo spettacolo, dal costume alla bellezza, dal cibo alla musica.
Una scelta intraprendente che ha permesso «di portare i materiali dell’Archivio Luce al più vasto pubblico possibile», spiega la stessa Sbarigia. Questo straordinario repertorio visivo, fatto di video e fotografie, non si limita al ventennio in cui l’Istituto è nato, ma si estende agli anni del boom economico, diventando la base narrativa per dei cortometraggi che raccontano storie locali ma particolari, capaci di restituire una visione integrale del nostro Paese. «Abbiamo scelto i registi, e a loro volta i registi hanno scelto gli attori coinvolti nel progetto. Il primo, in ordine cronologico, è stato Massimiliano Bruno, ma tutti hanno aderito subito con grande entusiasmo, insieme alla produzione Luce e a Groenlandia, con cui abbiamo co-prodotto il film», aggiunge Sbarigia.
Da questa collaborazione sono nati i cortometraggi “100 Modi di Essere Bella”, una disamina leggera ma pungente sui canoni tradizionali della bellezza, e “100 Ciak”, un viaggio nostalgico tra le vie di Roma seguendo i ricordi di una famiglia di comparse del cinema, sempre sotto il riflettore, ma mai come protagoniste. Con “Campare 100 Anni – La Scuola delle Mogli”, una donna centenaria e stravagante dispensa consigli improbabili per vivere a lungo – tipo allenarsi a scendere le scale con un tomo sulla testa. “99 Ingredienti + 1”, invece, ci trascina nella cucina di uno chef geniale e fuori dagli schemi, impegnato a preparare i piatti della tradizione.
Poi ci sono le storie, fatte di ansie, sogni, paure dei protagonisti di “100 Di Questi Giorni”, che emergono nello studio di uno psicoterapeuta, riportano in vita ricordi e immagini del passato. Ancora, si aggiumge “100 Note” che ci conduce in un viaggio intimo attraverso la musica italiana, sotto la guida di un chitarrista malinconico. Il cerchio si chiude con “100% Criminale”, che con la sua comicità irresistibile racconta le disavventure di un truffatore tanto maldestro quanto esilarante, che per falsificare le cinquemila lire, ne spende cinquemilacinquecento e allora decide di mettere in commercio le nuove seimila lire.
Ogni cortometraggio è un piccolo mondo, una storia che sullo schermo scorre veloce, ma che ci riporta alla splendida e tragicomica lentezza con cui il nostro Paese ha costruito la propria identità, capace di farci ridere, emozionare e spesso le due cose contemporaneamente.
Presentato in anteprima assoluta alla “Festa del Cinema” di Roma, Chiara Sbarigia ha condiviso con me i retroscena della creazione di questa produzione corale, raccontando gli aneddoti che hanno arricchito ogni fase del progetto e riflettendo sul ruolo dell’Archivio Luce. È stato emozionante constatare attraverso le sue parole come questo patrimonio non venga considerato solo per il suo inestimabile valore storico, ma anche per quello di potente strumento sociale, capace di veicolare bellezza, cultura e consapevolezza e connettere le generazioni.
In che modo i registi hanno interagito con i materiali d’archivio? Quali criteri hanno seguito per reinterpretare le immagini storiche?
Innanzitutto, abbiamo messo a disposizione dei registi il nostro team di ricercatori, guidato da Natalie Giacobino, la nostra ricercatrice senior, che ha selezionato e organizzato una grande quantità di materiali, raggruppandoli per tematiche e mettendoli a disposizione dei registi. Quindi il team dei ricercatori ha collaborato con quello degli sceneggiatori e degli autori, creando una base tematica e visiva da cui far scaturire i soggetti. Arrivati alla stesura, i registi hanno iniziato a lavorare sui materiali, trasformando il processo in un vero e proprio laboratorio creativo. Con l’eccezione di Francesca Mazzoleni, già esperta nell’uso di repertori d’archivio, la maggior parte dei registi proveniva dal cinema di finzione e non aveva mai avuto occasione di confrontarsi con questo tipo di risorse. Come spesso accade nell’incontro tra un creativo e questi materiali d’archivio, ne sono scaturiti risultati davvero originali e inediti.
Secondo voi, cosa definisce oggi la commedia all’italiana e quali sono i nuovi temi o le nuove sensibilità, rispetto ai classici filoni del passato?
La commedia è il genere per eccellenza del cinema italiano. Recentemente Cinecittà ha restaurato “L’Oro di Napoli” di Vittorio De Sica, un grandissimo modello di commedia all’italiana che intreccia toni decisamente drammatici. È un genere che, insieme al realismo, ha saputo meglio raccontare le storie del nostro Paese, ed è riuscito a farlo così bene da portarle anche al di fuori dei nostri confini. La commedia è un po’ lo specchio degli italiani e ci è sembrata il linguaggio ideale, nell’accezione più popolare e positiva, per rappresentare e raccontare i cambiamenti sociali. I cortometraggi affrontano le ansie e le sfide del presente: il ruolo delle donne, il lavoro, i mutamenti nelle relazioni personali e sociali, così come le nostre paure e tabù. È una piazza di confronto, dove il Paese si riscopre, si prende in giro e trova un modo di sdrammatizzarsi.
Come avete selezionato i materiali d’archivio da includere? C’erano elementi o scene iconiche che sentivate fossero imprescindibili per raccontare la storia del cinema e della cultura italiana?
Abbiamo lasciato la massima libertà agli autori di scegliere i filmati e le immagini che si coniugassero meglio con la qualità dei loro racconti; naturalmente, come dicevo prima, offrendo loro una guida nella “navigazione” di questo grande mare, in cui noi per primi abbiamo scoperto nuove cose. Io stessa non lo conosco tutto, e anche questa occasione mi è servita a scoprire delle scene mai viste, per esempio, immagini di naturisti che credo siano le prime apparse sullo schermo.
I cortometraggi spaziano tra truffe, superstizioni, amore e storia del cinema. Come avete deciso i temi da trattare?
Come detto i temi da trattare sono stati frutto di un dialogo creativo tra la produzione, gli sceneggiatori e i registi. Anche le interazioni tra regista e attori o attrici hanno dato risultati preziosi. Per esempio nell’episodio diretto da Claudia Gerini con Paola Minaccioni si parla del ruolo delle donne e quindi hanno portato un loro vissuto. Paola, dice di essersi ispirata a una sua nonna; e anche Rocco Papaleo che nel suo episodio parla di musica (nel doppio ruolo di attore e regista), racconta in qualche modo di sé attraverso i materiali d’archivio, alcuni molto divertenti, come quelli sui bambini cantanti. Ne emergono temi profondamente legati alla tradizione comica italiana, che abbiamo messo a confronto con i materiali storici e dunque con i cambiamenti sociali che hanno segnato il nostro tempo rispetto alla commedia italiana classica.
Quale significato ha per voi il recupero delle immagini d’archivio dell’Istituto Luce, e come pensate che queste possano parlare alle nuove generazioni?
L’archivio Luce è la biografia visuale del nostro Paese, e noi lo conserviamo con grandissima cura, perché la conservazione è la prima cosa importante a cui pensare quando si deve gestire un archivio. Ma è altrettanto importante portarlo “fuori”, farlo conoscere alle persone, perché non è un tesoro privato, ma un bene collettivo, soprattutto per le giovani generazioni. Se un ragazzo del 2024 ha desiderio di sapere, di vedere – più che leggere sui libri – la sua storia, cosa facevano i suoi nonni e i suoi bisnonni, come è stato costruito il mondo in cui vive oggi o da dove derivano alcune svolte epocali, come la rivoluzione femminista, l’Archivio Luce diventa uno strumento straordinario, immediato, accessibile e formidabile per fare questa conoscenza. Per questo teniamo le porte aperte ai ragazzi, agli studenti, alle università, e attraverso mostre, film, documentari e pubblicazioni cerchiamo di avvicinare le nuove generazioni a queste immagini e memorie.
Quali sono state le prime reazioni del pubblico e della critica alla Festa del Cinema di Roma?
Ha suscitato grande divertimento, con il pubblico in sala che ha reagito positivamente. È stata apprezzata la dimensione giocosa del film, accompagnata dalla grande bravura degli interpreti e dei registi, oltre che dalla freschezza della scrittura. L’Archivio, poi, ha saputo inserirsi con forza in queste narrazioni pensando al grande pubblico, che avrà l’occasione di vederlo nelle sale a partire da marzo 2025.
Guardando al centenario dell’Istituto Luce, quali sono le vostre speranze per il futuro dell’Archivio e per la conservazione del patrimonio storico del cinema italiano?
La speranza per il futuro dell’Archivio è quella di portarlo a un pubblico sempre più vasto. Raccontare la nostra storia, ma anche il futuro: ibridare l’archivio con altre forme d’arte, come stiamo già facendo. Abbiamo una grande mostra in programma dal prossimo 3 dicembre, dedicata alla costruzione dell’Autostrada del Sole, un momento epico della nostra storia che racconteremo con le immagini del nostro Archivio, materiale di altri archivi storici e con grandi commissioni affidate a fotografi contemporanei.