Non solo soldiAlla Cop sulla finanza si inizia a parlare di combustibili fossili

Per quanto criticabili, le parole del presidente azero (ha definito il petrolio «un dono di dio») hanno riportato l’attenzione sulla riduzione delle emissioni all’interno della Cop29, dove il tema cardine è di natura economica

Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan (ph. Rafiq Maqbool, AP Photo-LaPresse)

Sulle note di un balaban, strumento tradizionale azero, simile a un oboe, le parole di Ilham Aliyev, presidente azero, suonano come una preghiera: «I combustibili fossili sono un dono di dio per l’Azerbaijan». L’area petrolifera più vasta del mondo si trova qui, nel Paese affacciato sul mar Caspio, ex repubblica sovietica, che dall’11 al 22 novembre ospita a Baku la ventinovesima conferenza delle Nazioni unite sul cambiamento climatico. 

Le dichiarazioni di Aliyev hanno dato avvio ai due giorni – 12 e 13 novembre – dedicati ai discorsi dei capi di Stato e di governo, finora raccontati soprattutto per le assenze. Mancano Joe Biden, Emmanuel Macron, Ursula von der Leyen, Xi Jinping e Vladimir Putin (che, nonostante si faccia vedere poco fuori dai confini nazionali, è di casa in Azerbaijan).

Il discorso di Aliyev ha in parte riportato l’attenzione sui combustibili fossili e sulla mitigazione delle emissioni, fino a quel momento poco citati nei discorsi sui negoziati. Non solo perché l’Azerbaijan ha un Pil che dipende largamente dalle esportazioni di greggio e non ha nessun interesse nell’abbandonare le esportazioni di gas, soprattutto verso l’Europa; ma anche perché il mandato principale di questa Cop è trovare un accordo su quasi tutto quello che riguarda la finanza climatica

È il mandato principale in agenda: un’intesa sulle risorse economiche necessarie alla transizione dei Paesi in via di sviluppo, su chi deve versarle e con che modalità. «Non è un atto di carità, ma un dovere nell’interesse di tutti», ha detto Simon Stiell, segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni unite sul cambiamento climatico (Unfccc). Le parole di Stiell sono la sintesi di un’analisi pubblicata ad aprile sulla rivista scientifica Nature: i danni economici della crisi climatica sarebbero di sei volte maggiori rispetto agli investimenti necessari a mitigare le emissioni e mantenere la temperatura del pianeta al di sotto dei due gradi di riscaldamento rispetto all’era pre-industriale.

Lo hanno capito in Spagna dopo la drammatica alluvione di Valencia. Il primo Ministro, Pedro Sánchez, è arrivato al summit dei leader di Cop29 con una sola idea in testa: «Smettiamo di pensare che la transizione minacci la classe media», ha detto. «Ci salveremo solo se investiremo nella transizione e se lo faremo tutti, perché l’atmosfera è unica». Le emissioni, dunque, non restano all’interno di confini. 

Questa storia è nota ai piccoli Paesi insulari. Le Maldive, ad esempio. «Al tasso attuale di aumento della temperatura media, l’ottanta per cento delle Maldive potrebbe diventare inabitabile entro il 2050», ha detto in plenaria il presidente Mohamed Muizzu, ricordando però che lo Stato asiatico è responsabile di appena lo 0,003 per cento delle emissioni globali di gas serra. Per il presidente dei ventisei atolli a largo dell’India, «il nuovo obiettivo di finanziamento per il clima deve riflettere la vera scala della crisi climatica». 

In parte, questi Paesi insulari possono contare sull’Unione europea, da sempre tra le delegazioni più ambiziose sulle politiche climatiche. Nel 2023, le emissioni totali dei Paesi membri si sono ridotte dell’otto per cento rispetto all’anno precedente e anche se gli obiettivi al 2030 sono ancora lontani e l’Unione europea non è esente da contraddizioni fossili, come sottolineato proprio dal presidente azero che ha ricordato il patto di duplicare i metri cubi di gas inviati in Ue entro il 2027. 

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel ha comunque affermato: «Potete contare sull’Unione europea. Stiamo facendo la nostra parte con un finanziamento di trentuno miliardi di dollari». Misure ambiziose erano attese anche dal Regno Unito, che, dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti e il conseguente probabile disimpegno americano sul clima, ha l’occasione di diventare uno dei Paesi di riferimento nella lotta alla crisi climatica. «Ridurremo le emissioni dell’ottantuno per cento entro il 2035, e sarà solo il nostro punto di partenza», ha detto il Primo Ministro Keir Starmer. 

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