Non fatevi ingannare dalle apparenze: secondo i dati Ismea l’importazione di vino pesa “appena” il sette per cento sui consumi degli italiani. “Appena”, appunto tra virgolette, perché per un grosso produttore come il Belpaese, bere una bottiglia di vino straniero su quattordici è un dato che la dice lunga sulla rilevanza delle produzioni estere. In cima all’elenco di nazioni che esportano il loro vino in Italia c’è prevedibilmente la Francia, che gode di una lunga e prestigiosa tradizione, oltre che di una produzione consistente.
Tra Roma e Parigi vige un’antica rivalità, con la tendenza a un’emulazione dei modelli da parte della prima, che si tratti di legislazione, stile produttivo, scelta dei vitigni…
Se i vini italiani pesano non poco sulle quote importate dalla Francia (circa 12-13 per cento dei volumi, con da un lato un arretramento ormai epocale del vino sfuso negli ultimi vent’anni, a favore dello sfuso spagnolo, d’altro canto il successo del prosecco), le importazioni di vini francesi in Italia registrano cifre analoghe in termini di volumi.
Bisogna però prestare attenzione al valore di questa categoria merceologica, perché i dati sono ben diversi! I vini italiani in Francia rappresentano infatti il 20-22 per cento circa del valore delle importazioni, mentre i vini francesi in Italia sono pari al 75 per cento di tutte le importazioni di vino dall’estero! Un dato eloquente: al di qua dalle Alpi l’amore per i nettari transalpini non tramonta mai. E si tratta essenzialmente di vini di pregio.
Certo, c’è un fuoriclasse: lo champagne. Tra i vini francesi in bottiglia acquistati in Italia, sette su dieci sono appunto champagne. Ma analizzando i dati forniti da Nomisma Wine Monitor (basati sui resoconti doganali) si scopre che, dopo l’imponderabile crisi Covid, quasi tutte le regioni viticole francesi hanno visto crescere le loro esportazioni verso l’Italia. Quali sono i gusti dei nostri connazionali?
Bianchi ed effervescenti
Due linee guida evidenti: agli italiani piacciono soprattutto i vini francesi bianchi e quelli mossi, siano essi frizzanti o soprattutto spumanti. Se è vero che la Champagne fa la parte del leone, con circa nove milioni di bottiglie entrate in Italia ogni anno tra il 2018 e il 2023, gli altri spumanti d’Oltralpe hanno ben saputo sfruttare questa scia. Crémant e affini sono infatti cresciuti costantemente, triplicando i loro volumi in breve tempo. Oggi valgono oltre tre milioni di euro esentasse.
Anche i bianchi fermi hanno compiuto un balzo in avanti: complessivamente i vini di pregio delle maggiori regioni produttrici, principalmente il centro-nord dell’Esagono, hanno sfiorato nel 2023 i 2,2 milioni di bottiglie importate.
A questi numeri vanno aggiunti più di sei milioni di litri di vino sfuso e un pochino di bag-in-box.
Borgogna, Loira…
Tra i bianchi fermi la Borgogna spadroneggia. Nel periodo in esame, ad eccezione degli anni Covid, la tendenza è stata permanentemente in crescita, con più di mezzo milione di bottiglie importate ogni anno. Anche se la Borgogna spinge soprattutto le sue denominazioni “base”, quelle meno costose, non si tratta proprio di vinelli da osteria, dato che il valore medio a bottiglia è di più di 13 euro esentasse (quindi verosimilmente tra 25 e 30 euro sullo scaffale).
Se gli italiani amano lo Chablis, il Meursault o il Mâcon, è nota anche la loro affezione per il Sancerre e, per i più attenti conoscitori, per i grandi bianchi da Chenin Blanc. Infatti è la Loira l’altra regione francese storicamente affermata in questo segmento di mercato. I dati parlano di circa trecentomila bottiglie l’anno approdate al di qua dalle Alpi, con una tendenza ben assodata e in aumento costante.
…e una sorpresa!
Meno prevedibile e più sorprendente è l’attenzione che in Italia si è finalmente iniziato a dedicare ai bianchi alsaziani. Spesso sconosciuti o mistificati, poiché sbrigativamente bollati come dolci e aromatici, i nettari della regione renana si stanno imponendo a poco a poco come una valida alternativa. A che cosa? Probabilmente innanzi tutto ai borgogna, divenuti spesso assai onerosi, ma di cui gli alsazia bianchi possono vantare caratteristiche analoghe: la tensione gustativa, la freschezza, la bevibilità: tutte virtù sempre più ricercate dagli intenditori, in Italia come altrove. Come che stiano le cose, Riesling, Pinot Gris, Gewurztraminer e soci sono passati da circa trecentomila bottiglie a quasi seicentomila l’anno scorso, per balzare addirittura a oltre ottocentomila nel primo semestre di quest’anno, nonostante i venti di recessione enoica. L’Alsazia si è così imposta come la regione bianchista più richiesta dagli italiani (probabilmente anche in virtù di un buon rapporto qualità/prezzo medio: meno di sei euro all’origine).
Il momento “ni” dei rossi francesi
Non tutti i vini transalpini possono vantare numeri così confortanti. I rossi della Loira, del Languedoc-Roussillon, del Rodano o del Beaujolais registrano un gradimento più altalenante. I primi pagano plausibilmente la loro scarsa notorietà; i vini del Midi invece una presunta minore originalità rispetto agli omologhi italiani, di cui vengono forse percepiti come un doppione; i beaujolais, infine, soffrono con ogni probabilità di un trend negativo generale e di una reputazione ancora semplicisticamente assimilata al novello, una tipologia ormai passata di moda.
Così-così anche la parabola dei bordeaux rossi, negli ultimi anni, in territorio negativo sia nel 2023 sia nella prima parte di quest’anno. Quanto meno nei quantitativi, perché gli châteaux bordolesi cercano di rintuzzare il terreno perso agendo sulla leva dei prezzi, anche se non sempre ci riescono. Certo, Bordeaux sta affrontando uno dei periodi più complicati della sua storia recente, con espianti massicci e un invenduto altissimo.
A strappare un mezzo sorriso ai produttori di rosso ci pensano di nuovo i borgogna, che “cadono sempre in piedi”. Se le quantità importate variano di anno in anno (comunque attorno a trecentomila bottiglie l’anno), il valore riesce a rimanere piuttosto stabile. Anzi, tendenzialmente in crescita. Con un valore medio all’origine che supera i 25 euro esentasse a bottiglia. E gli ultimi dati provenienti da Beaune parlano di una tendenza ancora al rialzo per l’anno in corso.