Tra gli Stati europei la Francia è uno dei più recalcitranti a introdurre severe limitazioni normative all’intelligenza artificiale. Non a caso: è anche uno dei più attivi in ambito di ricerca e di conseguente applicazione industriale di questa tecnologia, investendo ingenti risorse e mezzi economici.
Tra i campi di utilizzo che forse meno immediatamente vengono in mente quando si pensa all’IA c’è l’agricoltura. Eppure da molti anni ruralità e tecnologie avanzate convivono nella ricerca di selezioni genetiche funzionali, di rese più elevate e regolari, di maturità del frutto più soddisfacenti, di contenimento delle fitopatologie, eccetera. Uno dei primi servizi per la stampa enoica specializzata realizzato da chi scrive, nel 2002, affrontava il cosiddetto precision farming satellitare in Franciacorta.
A Reims e dintorni, invece, non si tratta di foto da satellite, ma di immagini molto più ravvicinate. L’imaginig digitale è uno degli strumenti principali su cui si sta investendo per sviluppare algoritmi dedicati alla viticoltura. In un comparto tra i più redditizi del panorama francese: quello dello champagne, di gran lunga il primo segmento vinicolo del Paese per risvolti economici.
Da una decina d’anni l’Université de Reims Champagne Ardenne (Urca – un acronimo quanto mai eloquente!) lavora con tre sue unità di ricerca (Crestic, Liciis e Ribp) sullo sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale dedicati alla viticoltura. A sostenere gli sforzi dell’ateneo si sono uniti il Comité Champagne (Civc), organizzazione semi-pubblica che governa, programma e disciplina pressoché tutto ciò che accade in campo viticolo regionale, il gruppo Louis Vuitton Moët Hennessy (Lvmh), colosso del lusso con ben ventitré maison (tra cui alcune delle più produttive o prestigiose: Moët & Chandon, Veuve Clicquot, Krug, Ruinart… per un giro d’affari annuo di oltre due miliardi di euro), e infine il gruppo Vranken-Pommery (oltre 270 milioni di euro l’anno).
Il progetto, spiega l’Urca, si prefigge di generare «strumenti capaci di “vedere” e di “predire”. L’obiettivo? Consentire ai viticoltori di comprendere meglio e di anticipare i bisogni delle loro vigne, identificando le malattie, nonché altri fattori di produzione che consentano di prevedere le rese finali». Punto estremamente importante e sensibile, quello delle rese, in una regione in cui i volumi d’uva prodotti sono determinati innanzi tutto dall’andamento del mercato e dalle tendenze della domanda.
Concretamente questi dispositivi uniscono le immagini digitali e l’informatica, grazie alla straordinaria potenza di calcolo di un super-elaboratore battezzato Roméo. «Per ciascun tipo di dati – precisa l’Urca – c’è un tipo di algoritmo e un tipo di IA». L’intelligenza artificiale può così, a partire da immagini acquisite, riconoscere una patologia della vite a uno stadio molto precoce e su vaste superfici vitate, suggerendo dunque anticipatamente il tipo di trattamento fitosanitario. Tra le applicazioni più attese, assicurano dall’Università, l’IA sarà impiegata per lottare contro la flavescenza dorata, un virus estremamente temuto, con conseguenze sempre più drammatiche per tutta la viticoltura europea.
L’IA può anche stimare, a partire dall’immagine di un grappolo, il livello qualitativo misurabile di un intero raccolto. Altre innovazioni sono in fase di perfezionamento, come una cartografia dei vigneti in grado di fare precise previsioni sulle rese finali. «Ciliegina sulla torta, questi strumenti sono evolutivi e adattativi, migliorando sé stessi di anno in anno, in funzione del numero di dati raccolti», aggiungono gli universitari. Alcuni modelli sono anche già stati brevettati.
Da parte sua, il polo ricerca e sviluppo di Moët Hennessy (che ha inaugurato in pieno Covid il futuristico centro di ricerca “Robert-Jean de Vogüé” a Oiry) sta sperimentando l’IA nel monitoraggio delle fermentazioni alcoliche dei vini.
In ultima analisi, uno degli obiettivi principali del progetto accademico è individuare in vigna anomalie prima ancora che siano percepibili dall’occhio umano, attraverso un procedimento predittivo delle reti neurali. «I primi risultati – assicura l’Urca – sono molto positivi: non solo l’intelligenza artificiale è più rapida dell’osservazione umana, ma può anche coprire una superficie più vasta» di quella che può monitorare l’uomo. Anche perché gli algoritmi sanno analizzare immagini in uno spettro elettromagnetico che l’occhio umano non percepisce, come ad esempio gli infrarossi.
Stiamo intravvedendo il crepuscolo del romantico rapporto tra umano, pianta e terra? Forse in parte sì. Di sicuro queste applicazioni hanno tutti i presupposti per adattarsi alle necessità di una produzione agroindustriale su larga scala, com’è quella dello champagne, nel tentativo di preservare una qualità costante e irreprensibile, quanto meno in una logica di standardizzazione globalizzata dell’offerta.