Nuovo ordine mondiale La fine del mondo come lo abbiamo conosciuto

La mancanza di leadership carismatica e di una popolazione giovane, aperta ai cambiamenti, rischia di rendere la nostra Europa irrilevante rispetto a nuove potenze globali e modelli di governance autoritari. Riusciranno le democrazie occidentali a essere almeno parte del cambiamento?

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Ogni qualvolta spira con decisione il vento del cambiamento, balena l’ipotesi di un nuovo ordine mondiale. Mai come oggi la profezia cantata dai Rem È la fine del mondo per come l’abbiamo conosciuto si è rivelata giusta. Nella combinazione tra rivoluzione tecnologica e difficoltà economico-sociali in cui si dibattono ceti medi e proletariato urbano germina la tendenza, propria delle nazioni più avanzate, a ritenere la democrazia parlamentare uno strumento obsoleto, inadatto ad affrontare i tornanti della storia, un giudizio non diverso da quello espresso all’inizio del Novecento da movimenti massimalisti e di estrema destra dai quali figliano le ideologie fascista e comunista.

Di nuovo ordine mondiale parleranno, a distanza di pochi anni, sia Benito Mussolini che Lenin. Sarà Margherita Sarfatti, storica dell’arte, consigliera e amante del Duce, già nel 1925 a indicare la strada del futuro. Lo farà nelle primissime pagine di “Dux”, l’agiografia scritta per promuovere nel mondo l’immagine di Mussolini. Eccole: «Gli artefici del novus ordo, diversi tra loro come le basse gonfie cupole del Kremlino sono diverse dalle colonne e gli archi del Campidoglio: Nicola Lenin e Benito Mussolini, rappresentanti di due mondi, l’elemento orientale e l’occidentale nella civiltà d’Europa». Mussolini e Hitler, con parole in nulla diverse da quelle usate da Putin all’indomani della vittoria elettorale di Trump, fissarono l’obiettivo di un nuovo ordine quando venne firmato il patto d’acciaio col Giappone.

Non siamo lontani dal vero se scriviamo che il XXI secolo ora si è aperto davvero. E si è aperto sul tramonto dell’Europa, incapace di far fronte alle nuove sfide. I cambiamenti più significativi avvengono nei frangenti di crisi. C’è bisogno di classi dirigenti carismatiche che dettino il ritmo della storia, dotate di capacità di persuasione, e sono indispensabili popolazioni giovani, non atterrite dai mutamenti profondi che solcano le società contemporanee. L’Europa manca di entrambe.

C’è dell’altro. I Paesi chiave non concepiscono l’ordine universale fondato sull’attuale stabilità, spingono per un diverso assetto planetario indipendentemente dal ruolo esercitato dall’Unione Europea. Insomma, si sta avviando un nuovo ciclo e il vecchio continente è assente. Non sarà un processo breve e indolore come non lo fu cinquecento anni fa, quando l’Occidente europeo prevalse su Cina e Impero ottomano fissando un percorso esauritosi sul finire del Novecento. Mi chiedo se ci sia ancora il tempo, se non per invertire la rotta, almeno per esserne coprotagonisti.

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